L’industria arretra in Ciociaria: «Colpa del clima ostile»

L'analisi Cisl mette in evidenza l'arretramento dell'Industria in provincia di Frosinone. Il presidente degli imprenditori Giovanni Turriziani: «C’è un problema relativo all’ambiente con un contesto che preferisce dire no al manifatturiero. E c’è un territorio con infrastrutture rimaste agli anni ‘80»

Il rapporto Cisl diffuso qualche giorno fa dal segretario provinciale Enrico Coppotelli (leggi qui Più lavoro ma meno prospettive: la Ciociaria allo specchio) ha evidenziato, fra i dati più allarmanti, quello di un arretramento pesante dell’industria manifatturiera in provincia di Frosinone: in dodici mesi ha perso ben 200 realtà produttive, pari al 5,7% dell’intero comparto.

Giovanni Turriziani, presidente di Unindustria Frosinone – «Innanzitutto ringrazio la Cisl per aver prodotto questa analisi. Molte volte vediamo dei dati isolati e subito oggetto leggiamo analisi superficiali. Ma in questo caso non è stato così. Certo, ci sono settori che trainano l’export come il farmaceutico e situazioni peculiari come Fca. Ma se guardiamo a tutto il settore industriale, è ovvio che emerga un difficile processo di trasformazione della vecchia alla nuova manifattura. Non riusciamo a cambiare modello».

 

L’inchiesta Quotidiano – E’ un nodo locale e non certo una tendenza nazionale.
«Infatti, dipende soprattuto dai fattori ambientale e territoriale. Tante volte si crea un conflitto nella convivenza tra mondo dell’industria ed il resto delle attività umane.

La manifattura non trova più difensori ed il resto del contesto appare sostanzialmente poco favorevole se non perfino ostile. Alla fine risulta essere più facile per tutti dire no, organizzare comitati di protesta, rinunciare al mondo dell’industria nonostante crei ricchezza e operi perfettamente nel quadro delle regole.

Oltretutto manca la pianificazione territoriale, sono condizionanti i vincoli paesaggistici, senza considerare le case costruite vicino ad industrie autorizzate, la delimitazione del Sin».

 

Il Sin Valle del Sacco è un problema per i cittadini non solo per gli imprenditori.

«Unici in Italia ci siamo visti delimitare un Sin in via preventiva: a differenza di Taranto e Marghera, nella Valle del Sacco nessuno ha trovato i responsabili. Non abbiamo capito quel che andiamo cercando. Di sicuro abbiamo il Sin e iniziative come quella che ha salvato i posti di lavoro ex Ideal Standard ancora non hanno tutte le autorizzazioni.

Tutto è troppo lento. Mancano questa accettazione e questa consapevolezza che industria significa avere benefici ma accettare di vedere insediato sul proprio territorio un comparto produttivo con tutto quel che comporta».

 

C’è un problema di comunicazione anche per associazioni come la sua nel farsi comprendere e nel dialogare con l’opinione pubblica. Come intendete rimediare?
«Utilizzando la massima chiarezza, la trasparenza e la competenza. Invitiamo tutti i soggetti protagonisti ai vari livelli a scendere nel merito delle questioni e ad approfondire i temi. A non generare falsi timori, ad essere molto prudenti nelle proprie affermazioni, specialmente quando si forniscono dati e quando si affrontano temi riguardanti la salute pubblica.

È importante avere un approccio laico e ragionato. Noi siamo aperti ad un confronto su queste basi, discutendo di dati oggettivi e riscontrabili. Tante volte abbiamo chiesto di dibattere ma non abbiamo mai ottenuto risposte. Anche sul Sito di Interesse Nazionale bisogna misurarsi: siamo nel Sin e non c’è una misura che ci dica precisamente cosa comporti».

 

Un altro elemento che spicca dal rapporto Cisl è quello relativo all’istruzione ed alla formazione: insomma, alla circostanza che in provincia è più semplice trovare un posto con la scuola dell’obbligo anziché con la laurea.

«E’ un discorso parallelo a quello che facevo. Se giustamente i nostri giovani si devono scolarizzare al massimo e puntando tutto sul loro grado di professionalità è anche vero che il comparto produttivo e la relativa offerta di lavoro devono crescere. Ma non è stato così.

Sono poche le industrie che riescono a trasformarsi. Ho visitato nei giorni scorsi un’azienda farmaceutica che ha laboratori molto innovativi nel campo delle biotecnologie: impiega laureati e si fanno assunzioni ma riguardano pochi esempi. Parliamo di un sito che è stato rilevato e trasformato e sta avendo un deciso sviluppo.

C’è Siderpali che sta ripartendo dopo aver ottenuto una commessa importante. Ma sono pochi esempi positivi, il ricambio è lento: per 3-400 posti che perdi in fretta hai un ricambio molto lento, perché servono industrie tecnologicamente innovative. Ma se non siamo veloci con le autorizzazioni, se le infrastrutture sono rimaste a 50 anni fa, non possiamo pretendere niente.

Ci sono altri poli industriali, collegati con interporti e aeroporti, dotati di intermodalità avanzata che attraggono subito le industrie ad alti contenuti di innovazione. Con le nostre infrastrutture siamo rimasti agli anni ‘80».

 

Intanto restiamo in attesa della call di Invitalia per l’area di crisi complessa, con 19 manifestazioni di interesse e 500 posti di lavoro potenziali.

«Parliamo di strumenti di incentivazione utili solamente se tutti marciano nella stessa direzione. Strumenti capaci di attrarre capitali ma ricordiamoci che essere in una zona Sin o far parte di un’area di crisi complessa non sono belle cose, non sono elementi che attraggono iniziative imprenditoriali. Se c’è stato bisogno di questa “medicina” della dichiarazione di area di crisi, è evidente che qualcosa non funziona, se ci sono autorizzazioni da sbloccare idem. Restiamo comunque fuori dall’obiettivo 2 e una multinazionale che deve fare un investimento ci pensa 70 volte prima di insediarsi da noi».

 

Il presidente della Provincia ha convocato la scorsa settimana il tavolo per l’emergenza lavoro. Degli undici eletti solo due si sono presentati: solo un episodio o un sintomo di cui preoccuparsi?

«Ai nuovi eletti va dato tempo per avviare il loro lavoro e non è un episodio a poterci far dare dei giudizi. Sicuramente va anche detto che serve un coordinamento tra i soggetti economici e sociali del territorio ed i nuovi parlamentari nazionali e regionali affinché possano essere edotti della situazione corrente per cercare di far applicare le misure di cui la provincia ha bisogno. Insomma vanno messi nelle condizioni di agire nell’interesse del territorio, dopo averlo analizzato, studiato, capito.

Tutte le istituzioni e le parti sociali devono avere un dialogo con loro affinché si possa tentare di fare qualcosa contro il declino. Ora è importante strutturare un rapporto organico con gli eletti. Anzi, urge impegnarsi a farlo».

 

La Saf rischia di collassare e l’intero ciclo dei rifiuti di andare in crisi. Che valutazione dà?

«Credo di più nell’iniziativa privata. Sicuramente bisogna dare la possibilità di investire in questi settori per accelerare sulla strada della prospettiva dell’economia circolare, col recupero di materiali che vengano reimmessi nel ciclo produttivo. In un consorzio come la Saf subentrano poi altri problemi relativi al dover conciliare le necessità e le idee di 91 sindaci costretti a stare insieme in una società pubblica».

 

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