Il vice presidente di Confindustria parla alla platea dell'Ucid. E dice che le imprese hanno l'obbligo morale di restituire al territorio. In termini di ricchezza, lavoro, opportunità di crescita sociale. No agli imprenditori miopi. In duecento all'iniziativa di Fabio Tagliaferri.
Un dribbling elegante tra i pilastri della filosofia, una discesa inarrestabile lungo le fasce dell’economia. E poi un tiro violento con il quale spiazzare tutti e fare goal. Il Maurizio Stirpe che non t’aspetti scende in campo nella sala stampa del suo Stadio.
Ci sono quasi duecento persone nella pancia di quel catino che è il monumento alla Frosinone che sa fare. Sono lì nel nome di una figura storica dell’imprenditoria ciociara: quell’Emilio Iaboni che per tutta la vita si è tormentato nella ricerca della giusta via tra etica e impresa. L’ha fatto sotto le insegne dell’Ucid, l’Unione Cristiana Imprentare editori e Dirigenti.
Ora al suo posto c’è Fabio Tagliaferri che ha scomodato i ricercatori Fabrizio Rossi e Maretno Agus Harjoto: sono gli autori dello studio su etica nel lavoro e religione pubblicato dal Journal of Business Research e finito nei giorni scorsi su un’intera pagina del quotidiano dei vescovi L’Avvenire. In sala c’è anche la responsabile Donne Impresa di Coldiretti, il senatore Riccardo Pedrizzi che guida l’Ucid regionale.
E c’è Maurizio Stirpe: capitano d’impresa, vice presidente degli industriali italiani, presidente del Frosinone dei Miracoli la squadra capace di arrivare in Serie A e poi di tornarci.
Da San Bernardino a Weber
L’uomo che si è preso sulle spalle il Frosinone quando tutto andava male, assicurandogli quell’attimo di tregua necessario per ritrovarsi e iniziare a fare punti.
Su SkySport analizza con competenza le partite, a Porta a Porta si confronta con Vespa sulle Relazioni Industriali. Ma di Filosofia non l’aveva sentito parlare nessuno.
Lo fa nel suo intervento di fronte alla platea dell’Ucid. Citando San Bernardino che nel XIV secolo «individuava i pilastri sui quali si deve fondare un’attività d’impresa. Devono essere la Responsabilità, la Laboriosità, l’Assunzione del rischio. E diceva che se c’è questo è lecito allora il profitto in un’impresa e non è usura».
Paragona quella visione dell’impresa a «quella calvinista: Max Weber che giustifica il profitto per il benessere individuale piuttosto che per il benessere collettivo».
Nella sala non c’è il minimo brusio mentre Maurizio Stirpe dribbla elegante tra i maestri del pensiero. Ma è solo l’inizio, opprima di una discesa inarrestabile sulle fasce dell’economia.
No agli imprenditori miopi
«L’attività imprenditoriale – dice – non può essere miope. Non può guardare solo all’interesse dell’imprenditore. Se l’interesse dell’imprenditore non viene coniugato alla collettività cui l’imprenditore appartiene non ci può essere nobilitazione nell’attività di impresa».
La sala esplode in un applauso spontaneo. Non immagina che tra poco arriverà il secondo gaol.
Maurizio Stirpe riprende la parola e dice «Il destino dell’imprenditore e della collettività in cui vive non possono essere disgiunti. O vanno avanti tutt’e due o arretrano tutt’e due».
Non cerca capri espiatori, non vuole facili colpevoli ai quali addebitare il conto per le cose che non hanno funzionato. Perché sa che – come in ogni cosa – la colpa delle cose che non vanno, seppure in proporzioni variabili, è sempre diffusa.
L’affondo è sottile e raffinato come una giocata di Causio. «La storia di questo Paese nei suoi ultimi 40 anni contiene la soluzione a tante domande che oggi la gente si pone senza trovare risposte».
Chi prende deve dare
Il terzo goal arriva subito. «Detto questo è evidente la stretta connessione che ci deve essere tra l’impresa ed il territorio in cui vive. L’impresa non può essere disgiunta dalla creazione del profitto: chi lo afferma non capisce che il motore deve essere il profitto. Poi si può discutere sul modo in cui il profitto deve essere ripartito».
«In una visione moderna, una parte deve rimanere sul territorio, si deve restituite per quello che il territorio dà. Il territorio non può essere solo oggetto dal quale prendere: deve essere anche un soggetto al quale poi l’impresa dà. Deve essere un giro che si chiude a zero. Non si può prendere se poi non si dà, in nessun posto del mondo avviene».
«I posti più evoluti del mondo sono dove l’impresa prende e poi restituisce. In termini di ricchezza, di sviluppo, di posti di lavoro, di crescita sociale...».
La partita di Fabio
L’impressione è che ci sia anche un’altra partita in corso. E che a giocarla sia Fabio Tagliaferri. Che è anche vice sindaco di Frosinone. In pochi avevano scommesso che sarebbe arrivato alla fine della settimana con la fascia ancora addosso: il suo attacco a viso aperto al sindaco Nicola Ottaviani nei giorni scorsi ha fatto rumore. (leggi qui «Nicò, i bambini che sabato vanno sulla ruota panoramica so’ gli stessi che lunedì ci piove in classe»)
La frattura non è ricomposta. Per niente. Lo si capisce al momento dei ringraziamenti. Tagliaferri ringrazia una dozzina di persone, poi l’assessore alle Finanze Riccardo Mastrangeli «per la sua presenza. Penso di non avere dimenticato nessuno e se lo avessi fatto nessuno me ne voglia».
Non cita Nicola Ottaviani. nemmeno il sindaco si vede: ma è assente giustificato, sta rientrando da Reggio Calabria dove è stato impegnato in udienza.
Le duecento persone allo Stirpe per ascoltare un discorso su etica e impresa non sono poche. Emilio Iaboni per lustri ha trasformato l’Ucid in una macchina del consenso costruito con discrezione. Chissà dove intende portarla il vice sindaco Fabio Tagliaferri.