Ponti e pontieri: ecco come Salvini ha tenuto al Centro ed ora punta al Sud

Quello che "non ti aspetti" da un leader che non segue solo l'usta dei social. E che ha in animo ed in atto una precisa strategia politica

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Quella del Ponte sullo Stretto di Messina per Matteo Salvini non è solo una benevola e brutalista ossessione cementizia. Il leader della Lega ha la tendenza a dare il suo “imprinting” ad ogni cosa che fa o che gli capiti tra le mani. Perciò tutte le volte che l’attuale ministro e vicepremier ricopre un ruolo di vertice istituzionale l’ago in bussola alle sue “battaglie” si orienta esattamente verso il tema chiave. E non segna più il Nord.

Il tema è quello che vede Salvini esattamente al centro di un’azione, di una svolta normativa, di un concetto che siano meritevoli di traghettare il suo nome ai posteri. Insomma, il dato di superficie è che Salvini non “brandizza” opere o leggi, ma se stesso. E lo fa perpetuando la sua immagine di leader dovunque ci sia concime per dare vigore alla chioma e forza alle radici della sua centralità.

La prima lettura è superficiale

Ma questa è solo la prima lettura. Ed è superficiale perché Salvini ed una certa superficialità di approccio ormai vanno a braccetto in mainstream da sempre. E quel comparaggio impedisce, spesso colposamente, di percepire il disegno politico, strategico e di respiro più ampio che la Lega ha e che Salvini persegue. UPer il leader leghista certe iniziative non sono solo icone pubblicistiche del suo egotismo, ma precisi step di una strategia che lo vede “colonizzatore”.

Di cosa? Di quelle aree geografiche dove la Lega ha dovuto vincere la diffidenza atavica di popolazioni che in essa ci vedevano solo un becero e nordico “nemico”. Il modello Berlusconi, quello con cui a suo tempo il Cav usò Bossi al Nord e Fini al Sud per ascendere a Palazzo Chigi nel ‘94, non esiste più.

Oggi ci sono due obiettivi, uno di sistema e l’altro strategico ma a medio corso. Il primo è quello per cui la Lega di Salvini non può che essere salviniana. Questo perché a ben vedere gli altri uomini forti del Carroccio o stanno bene dove stanno o sono di cabotaggio decisamente inferiore.

Il modello Ciacciarelli nel Lazio

Pasquale Ciacciarelli con Matteo Salvini

Perciò da ministro e vicepremier il segretario non proclama solo che farà il Ponte, ma di ponti ne sta gettando da tempo. Lo sta facendo tra l’argine sicuro di dove la Lega è forte e quello limaccioso di dove la Lega forte ci vuole diventare. E per farlo, secondo una ruvida ma forzuta direttrice geografica, ha bisogno di pontieri.

Il Lazio in questi anni è stato un terreno minato. Sul quale è saltata la parte maggiore di coloro che pensavano di trovare una terra burina in attesa di farsi colonizzare. Impossibile: questa è terra su cui prosperò Giulio Andreotti ed in quanto tale si lascia ammaliare dalla forma ma poi vuole la sostanza.

Si spiegano così i 14.030 voti ottenuti da Pasquale Ciacciarelli in Ciociaria. Ed i 107.112 voti al collegio Nord del Senato Lazio grazie ai quali Claudio Durigon è entrato a palazzo Madama. Sono uomini ereditati dalla capillare distribuzione forzista nel primo caso; dalla altrettanto capillare organizzazione sindacale di Ugl nel secondo. Personaggi retorici quanto basta ma più tridimensionali, abituati al solido facchinaggio politico che nei territori paga. E che rappresentano la quinta colonna di maquillage sintattico e di un nuovo linguaggio pratico.

È un racconto, il loro, che ha bandito Po, ampolle, elmi cornuti e paralleli. Quella è roba che in revanscismo sornione funziona oltre il Rubicone ma a polarità invertita. Un neo “brand” che punta ad equalizzare un Partito a trazione ecumenica, nazionale da tempo ma con steccati territoriali ancora altissimi.

La porta per il Sud e la chiave per entrarci

Il secondo obiettivo di Salvini è arrivare alle Elezioni europee del 2024 con una solida base elettorale anche al Sud. Con quel bacino la sua collocazione d’area in Europa potrebbe diventare molto meno “oltranzista” di quella contrabbandata oggi. E in questo modo il vicepremier andrebbe all’incasso maggiorato grazie ad ambiti in cui di solito la pesca è stata sempre modello Malavoglia. Ma i numeri dicono che il Sud e di Fratelli d’Italia. E fino a poco tempo fa, in parte era anche di Forza Italia ora orfana del fondatore Silvio Berlusconi.

Lucia Borgonzoni (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

La porta è il Sud e la chiave è il Ponte. Lo è perché con esso andrebbe a significarsi un qualcosa di talmente tridimensionale e pervasivo che, al di là dell’impossibilità di far coincidere la tempistica, il solo intestarselo farebbe massa. E la farebbe anche con innesti di uomini. Ha “richiamato Pietro Ciucci come Ad della società Ponte sullo Stretto”. Poi il “il senatore messinese Nino Germanà dovrebbe essere nominato Segretario regionale”. E ancora: “In Calabria, ogni giorno, Salvini chiama invece il vice di Molinari, Domenico Furgiuele. E lo sprona a spiegare che l’autonomia differenziata sarà ‘la medicina del Mezzogiorno’”. Perché “non deve passare come una battaglia esclusiva del nord”.

Ci sono altri step tattici: “In televisione Gianluca Cantalamessa, senatore campano, è sempre più ospite. Mentre il neo deputato Attilio Pierro, altro campano, si fa valere in commissione Agricoltura che è il vero asset di FdI insieme al Turismo”. Esattamente lì dove la sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni inonda le agenzie di spottoni in gloria sui fondi del Pnrr per il Sud. Insomma, lo scopo è chiaro: si getta l’amo e si pesca dove nuotano ancora i lucci dello statalismo post democristiano. Ed a renderlo più fluido è stata la “quiete” di un Nord dove Salvini ha ritrovato la fedeltà di Attilio Fontana e la quiescenza dei super-governatori miglioristi di Friuli e Veneto.

Ambiguo sul Mes, ma con uno scopo

Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Foto: Imagoeconomica © Stefano Carofei)

E con quella “serenità” rinnovata, dopo i numeri alla “ascoltaci o Signore” degli anni passati, Salvini può permettersi molte cose apparentemente senza senso ma messe a bouquet in uno scopo unico. Un linguaggio politico a corrente alternata con Giorgia Meloni, oggi pungolata sul Mes e domani blandita sullo stesso. Una fermissima determinazione a parlare sempre e solo di ciò che la mission governativa di turno gli ha assegnato.

Perfino un ritorno in sordina della “Bestia” e di quel Luca Morisi che prima di scioglierla la toelettava per bene. Solo che stavolta ed oltre ad un Salvini basico e malpancista che prima c’era sempre ce n’è un altro acido e stratega. E che forse c’è sempre stato, ma stava nascosto nelle pieghe di ciò che tutti vedevano più facilmente. E che si sono fatti sfuggire inseguendo pignoli iperboli e supercazzole social del primo.