Serve una Rai nuova ma il problema Rai è antico e l’Ue lo sa benissimo

Il Commissario Breton risponde ad una interrogazione e accusa le "interferenze politiche". Ma il guaio è sistemico. E non solo di questo governo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La questione è controversa, controversa e antica almeno quanto il suo oggetto: la Rai è a servizio dei cittadini italiani o della politica che dei cittadini italiani è espressione indiretta? Bruno Vespa, titolare della terza Camera dopo Montecitorio e palazzo Madama, quando fu direttore del Tg1 risolse la cosa in maniera lapidaria: “La Dc è il mio editore di riferimento” disse, scatenando il putiferio. Lo accusarono di realizzare un’informazione asservita agli interessi di quello che all’epoca era il Partito dominante.

In realtà, il titolo era quello ma Vespa disse una cosa ben più articolata ed intelligente. E cioè che il Parlamento è l’editore della Rai ed un accordo di lottizzazione tra i Partiti aveva assegnato alla Dc l’influenza sul primo canale, al Partito Socialista quella sul secondo ed al Partito Comunista quella sul terzo. Ineccepibile.

La governance per delega della politica

Bruno Vespa (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

La Politica è espressione indiretta dei cittadini: vale come regola. Con i meccanismi della democrazia parlamentare c’è poco da fare: la delega che l’elettore affida al parlamentare sfianca la genuinità originale dell’intento di votare. E di farlo sperando che il nostro pensiero abbia traiettoria diretta fino a luoghi dove si condensa in legiferato. No, non funziona così.

E quello che segue poi è un continuo stemperarsi di quell’intenzione originaria in un oceano di aggiustamenti. Soluzioni d’area e segreteria che poco hanno a che vedere con quello che il cittadino ha voluto esprimere in urna. Vale per tutto ciò che è sotto tutela del governo “figlio” di quel quadro parlamentare e la Rai non fa eccezione.

Si era posto quindi il problema di affidare la governance della televisione pubblica a professionalità che erano, sono e saranno espressione diretta della composizione politica della governance dell’Italia. Con distinguo, iperboli e a volte upgrade poco graditi. Solo per citare l’ultimo: nel 2014, con Matteo Renzi premier, la facoltà di nominare i vertici ed i quadri Rai passò dal Parlamento al Governo.

Fu un maledetto guaio perché il Parlamento è comunque composito e plurale, mentre il governo è espressione di una sola parte: quella che ha vinto. L’uovo di Colombo era pregresso ed era stato quello della lottizzazione, cioè della spartizione in quote calibrate di reti ed ambiti. Ogni partito fra quelli grandi si prendeva la sua fetta e l’informazione era “garantita in pluralismo” almeno per grandi blocchi.

Ti lottizzo, così nessuno è troppo scontento

Matteo Renzi in senato (Foto: Sara MInelli © Imagoeconomica)

La lottizzazione era la cosa più vicina alla democrazia cencelliana che abbiamo saputo mettere in piedi per evitare che la Rai diventasse bivacco solo di chi stava sul gradino più alto del podio. Ma non funziona nemmeno così e la riprova arriva in queste ore dall’Ue. Arriva con alcune cose condivisibili e con altre su cui sarebbe bene riflettere con Cartesio al fianco, piuttosto che con Masaniello.

A dare una smossa alla mai sopita brace ci ha pensato Thierry Breton, Commissario per il Mercato Interno della Commissione europea. Che ha detto: “La Commissione è consapevole dei rischi di interferenza politica che incidono sull’indipendenza dei media del servizio pubblico in Italia”. Ma come mai Breton si è espresso sul tema? Lo ha fatto d’imperio perché gli è capitata la pratica Rai sul tavolo dopo che glielo hanno spazzato o ha avuto un input? Come disse il Quelo di Guzzanti “è la seconda che hai detto”.

C’era una interrogazione parlamentare e ci sono stati 15 Eurodeputati di area social democratica e Verdi/Ale. Tra di loro c’erano una decina di parlamentari del Pd ed il primo firmatario era stato Massimiliano Smeriglio. E il tema? Polarizzante, a voler guardare la vernice, ostico e un po’ boomerang a volerla scrostare solo di poco. “Ingerenze nei fornitori di media di servizio pubblico in Italia”.

Analizziamo il tutto: le “ingerenze” sono quelle per cui secondo una linea di parte il Governo Meloni avrebbe messo la mordacchia alla Rai, da cui poi sarebbe partita l’emorragia di professionalità, strette nelle pastoie di un’azienda colonizzata ideologicamente o addirittura costrette a mollare in virtù di quel nuovo status quo.

I casi scuola in Rai: stretti o costretti?

Roberto Saviano (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

I vari casi Annunziata, Augias, Fazio, Saviano & co. Avevano corroborato in macedonia una linea che forse sarebbe stata meritevole di una maggior capacità critica. Ad ogni modo il Commissario Breton l’ha messa giù con una certa durezza. E ha scritto: “A tale riguardo la relazione sullo Stato di diritto 20231 relativa all’Italia rileva che occorre rafforzare la salvaguardia dell’indipendenza editoriale e finanziaria di tali media”.

E c’è di più: “La relazione rileva inoltre che non si sono constatati sviluppi per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la governance e i sistemi di finanziamento della RAI-Radiotelevisione Italiana Spa.

Ecco una delle chiavi di lettura: in realtà è da tempo che la Rai è nel mirino dell’Europa per la sua porosità ai desiderata del pilota di turno. Quindi ad essere sbagliata non è questa situazione specifica, ma il metodo consolidato che a situazioni come questa sta continuando a condurre.

Era ed è sbagliato il metodo, non lo status quo

Giampaolo Rossi (Foto © Imagoeconomica)

Per Breton questa zoppia proseguirebbe “malgrado l’esigenza, menzionata nella relazione sullo Stato di diritto e nell’Osservatorio del pluralismo dei media, di una riforma”. Snodo due: è la Rai così come la concepisce la politica italiana che ha bisogno di essere riformata, non questa Rai in rapporto a questa politica. Serve dunque una “riforma che permetta alla RAI di resistere meglio ai rischi di influenze politiche e dipendenza finanziaria nei confronti del governo”.

E come? Su tutto aleggia lo spirito guida di un modello che grazie alla Brexit non è più modello Ue, ma modello planetario. E’ quello della britannica Bbc, che non dipende dal potere politico o dall’esecutivo in alcun modo e che è intangibile come un tabernacolo pubblico. In piedi c’è una “proposta della Commissione relativa a una legge europea per la libertà dei media”.

Era stata adottata il 16 settembre 2022 e attualmente è “oggetto di negoziati legislativi al Parlamento europeo e al Consiglio”. Lo scopo è arrivare ad un impianto normativo che puntelli più gagliardamente la naturale indipendenza della televisione pubblica e che a traino di essa ne preservi l’obiettività.

Sì, ma nel concreto? Andrebbero garantite le nomine trasparenti e non discriminatorie di dirigenti ed organi direttivi. Andrebbero motivati meglio i licenziamenti ed andrebbero previste risorse finanziarie adeguate e stabili. La mission è arrivare al pluralismo uscendo dal palcoscenico goldoniano delle lottizzazioni. E mettendo una volta per tutte Mamma Rai al sicuro ed al riparo non solo dalle mani della politica, ma anche dalle letture di convenienza che la politica ama usare. Per additare vittime e carnefici ma senza mai cambiare le regole che li fanno.