Il segretario del Pd non vuole buttare a mare l’alleanza con i Cinque Stelle e con Leu. Ma così rischia di consegnare a Salvini e Berlusconi la golden share del Governo Draghi, soprattutto se il Movimento (come sempre finora) non dovesse aiutare i Democrat. E allora vale la pena riflettere bene, anche perché la Nazareno spirano venti di guerra.
Sostenere Mario Draghi ma non rompere l’alleanza con il Movimento 5 Stelle e Leu. E’ questa la strategia di Nicola Zingaretti, segretario del Partito Democratico. Ma non è affatto semplice. La domanda che al Nazareno si fanno è semplice: fino a che punto possiamo davvero fidarci dei Cinque Stelle? Perché senza i voti dei pentastellati le alternative sono soltanto due: o il Governo Draghi non ha i numeri per partire oppure si consegna la golden share al centrodestra qualora Matteo Salvini dovesse decidere di posizionare la Lega sul sostegno all’ex Governatore della Bce.
In entrambi i casi per i Democrat si tratterebbe di una seconda sconfitta devastante.
Autogol quirinalizio
Eppure in queste ore nel Pd c’è chi si esercita in sofismi vari. Senza capire, o facendo finta di non capire, che sul tavolo c’è l’appello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale in ogni caso è dal Pd che proviene. Dire no a Mattarella vorrebbe dire silurare il proprio Partito. In una pratica che lo stesso Tafazzi giudicherebbe azzardata.
Eppure la linea, all’interno della “war room” del Nazareno è apparsa chiara da ieri, quando ha iniziato a tratteggiarla Andrea Orlando, il numero due del Partito: vanno evitati «gli errori del passato», ha affermato.
Spiegando: «Non basta dire: c’è Draghi, viva Draghi. Serve piuttosto una convergenza sul programma e, in ogni caso, non dipende tutto dal Pd, che in Senato pesa per l’11%. La decisione verrà presa anche in relazione a quello che fanno le altre forze politiche».
Vuol dire che il Pd non intende prescindere dall’alleanza con Cinque Stelle e Leu. Il che è giusto e perfino strategico, per evitare di consegnare il Governo Draghi ai numeri del solo centrodestra di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
Alleanza si, ma anche la linea
Ma non basta cercare di salvare l’alleanza, occorre riuscire ad affermare la propria linea. Non continuare a subirla. Perché di fatto il Pd, anche e soprattutto per seguire le strategie di Goffredo Bettini, non è andato oltre il “rimorchio” a Giuseppe Conte e ai Cinque Stelle. Rinunciando perfino a poter indicare un proprio esponente (Dario Franceschini, Paolo Gentiloni) per Palazzo Chigi. (Leggi qui Il bivio di Zinga, tra la Caporetto di Bettini e il fortino del Lazio).
Nicola Zingaretti ha detto che «con l’incarico a Mario Draghi si apre una fase nuova, che può portare il Paese fuori dall’incertezza creata da una crisi irresponsabile e assurda». Aggiungendo che in ogni caso, però, «non bisogna perdere la forza e le potenzialità del patrimonio unitario costruito con M5S e Leu che rappresenta l’unica alternativa alla vittoria della destra».
Di qui la scelta di incontrare gli alleati, per cercare una convergenza possibile. Perché, per i Dem, non sarebbe affatto facile dire sì a un governo Draghi, se il M5S alla fine decidesse di votare contro. Soprattutto se la golden share sulla nascita del nuovo esecutivo l’avesse il centrodestra.
Soccorso cinquestelle cercasi
In realtà Zingaretti deve prendere il toro per le corna. I Cinque Stelle non hanno mai aiutato i Dem in questi anni. Anzi. Alle ultime regionali hanno espresso propri candidati e liste in alternativa. Poi il Pd ha vinto lo stesso, ma è un altro discorso.
Sergio Mattarella ha chiesto un Governo di emergenza per salvare l’Italia. Non ha chiesto un’ammucchiata, ma senso di responsabilità. Tratteggiando una fase simile a quella del dopoguerra, quando riuscirono a governare insieme Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
Nicola Zingaretti non può permettersi altri passi falsi. E l’abbraccio con i Cinque Stelle potrebbe rivelarsi mortale.