Dire la verità anche se è scomoda

Dire la verità rende scomodi. Perché la gente preferisce ascoltare ciò che gli fa piacere. Meglio una lite tra influencers che una riflessione. Cercare di capire invece è ciò che ci rende liberi

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

(…) sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro – (Ez 2,5)

Tutti noi abbiamo sperimentato la sensazione, amarissima, che Gesù prova nella sinagoga del suo paese: a Nazareth, nessuno sta attento a quello che dice, tanto che si meraviglia della loro incredulità. Esperienza già presente nell’insegnamento dei grandi profeti.

Ezechiele capisce che spesso chi vuole indicare agli altri la direzione da prendere perché migliorino la loro condizione, chi dà un consiglio ai figli, agli alunni, ai fratelli minori, ai ragazzi della squadra, sente che questo suo sforzo rimane ìnane, incapace apparentemente di incidere sulla realtà, parole a vuoto… Con la conseguente tentazione di lasciar perdere, di pensare che non serva a niente, dimenticando che le parole lasciano sempre un segno, che magari in quel momento non sembra essere percepito ma che potrebbe riemergere più in là, magari dopo anni, magari in un momento di necessità.

La verità è scomoda

Foto: Igor K@rpov / Pexels

Insomma, il ruolo del profeta è scomodo, si rischia di fare una brutta fine, o comunque di non godere dell’apprezzamento della maggioranza che invece ama essere blandita, ascoltare soltanto le cose che fanno piacere, impazzire per una lite fra influencers e non pensare a chi è nella sofferenza o rischia il lavoro, o la vita stessa.

È la contraddizione insanabile dell’opinione pubblica che abili oratori, demagoghi, possono facilmente convincere di una cosa e poco dopo del suo esatto contrario, purché siano capaci di non dire cose spiacevoli.

Non è una novità: più di 2500 anni fa Aristofane, nelle Nuvole, accusava lo stesso Socrate di comportarsi così. L’aggettivo sofistico intende proprio questa capacità di imbrogliare a parole. Il profeta invece non imbroglia: anzi, si sforza di parlare in nome di Dio, non perché questi gli telefoni, ma perché cerca di capire che cosa Dio direbbe in quel momento e in quella determinata situazione.

I tre doni

Foto: Emma Bauso / Pexels

È il ruolo dei bravi genitori, dei bravi educatori, degli amici più cari, di chi vuol davvero bene ad un altro. Senza preoccuparsi dell’effetto immediato ma soltanto della presenza della voce profetica.

Nel battesimo i cristiani credono di ricevere tre doni, cui corrispondono tre compiti: sono re, cioè  persone libere, sacerdoti, capaci cioè di trasformare il mondo secondo il piano di Dio, e profeti, in grado di parlare al posto di Dio.

E oggi occorre far sentire la voce di Dio!

(Leggi qui tutte le meditazioni di Pietro Alviti).