La rivoluzione in una semplice parola: Pace

C'è un significato diverso della parola 'pace' tra quello che gli attribuiamo noi della tradizione romana e quello orientale. Per questo viene pronunciata appena Gesù incontra i discepoli dopo la Resurrezione

Pietro Alviti

Insegnante e Giornalista

stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»

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Così Gesù si presenta ai discepoli dopo la resurrezione: si trova di fronte un gruppo di persone spaventate, terrorizzate dalla paura di poter subire la stessa sorte del loro maestro. Si sono chiuse dentro quella sala che li aveva visti riuniti un’ultima volta per mangiare insieme la Pasqua in quella serata terribile di commozione, di tradimento, di terrore, di completo disorientamento. Avevano subodorato il peggio, portato con sé le armi, provato anche a difendersi ma… E Gesù si presenta con una parola così semplice: pace a voi.

Ma come: pace? Dopo le giornate precedenti di sangue, di dolore, che hanno visto il tradimento di uno di loro, hanno sperimentato la loro pusillanimità.  Non hanno il coraggio di guardarlo in faccia, l’hanno abbandonato nel momento del pericolo, nelle ore in cui il potere politico religioso lo ha schiacciato, incurante della sua innocenza, preoccupato soltanto di preservare i propri privilegi.  

Non hanno creduto alle donne, non si sono fidati di quei due ragazzi di Emmaus: sono andati anche al sepolcro, l’hanno trovato vuoto, hanno sentito strane parole sulla Galilea: il maestro vi aspetta lì… Tutte fandonie. E Gesù se la cava con una semplice parola: pace.

Un po’ poco, a meno che non cerchiamo di comprendere che cosa voglia dire il maestro con questa parola e che cosa capiscono i suoi discepoli.

Per noi occidentali, per la nostra tradizione romana, la pace è la semplice assenza della guerra, anzi la guerra stessa è funzionale al raggiungimento di uno stato di pace: si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra. La spada di Roma garantiva la pace, le legioni di Augusto avevano tacitato i nemici e così, finalmente non c’erano state più guerre, appunto la pax augustea.

È molto simile a quello che accade oggi: diciamo di essere in pace ma attorno a noi contiamo decine e decine di guerre che imperversano con il loro indicibile carico di dolore e di sofferenza che riguarda soprattutto gli innocenti, le vittime, la popolazione civile.

Invece quella parola che Gesù pronuncia, forse in aramaico Heshusha, con la stessa radice del suo nome proprio Yeshua, l’ebraico shalom, vuol dire ben di più: indica non soltanto l’assenza della guerra ma la prosperità, la completezza, il rispetto della persona nella sua interezza, la giustizia. Gerusalemme stessa ha nel suo nome questo concetto di pace di gran lunga più impegnativo di quello occidentale: Yreushalaim., città di pace e di giustizia.

Non c’è pace senza giustizia avrebbe detto quasi 2000 anni dopo il santo papa Paolo VI. È quello che Gesù annunzia ai discepoli: non è soltanto scomparsa la lacerante violenza della croce, non è soltanto finito l’indicibile dolore della sepoltura, la delusione del tradimento, il non essere stati capaci di star vicino al maestro. Gesù presenta loro un mondo rinnovato in cui tutti noi possiamo costruire la pace che si fonda sulla giustizia, sul rispetto, sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri, non sulla spada del più forte.

Pace a voi!