L’urlo di Draghi terrorizza l’occidente

Mario Draghi come Bruce Lee. Schiaffeggia chi prova a mettersi sul cammino del Governo più del celebre attore nella pellicola con Chuck Norris. Gli schiaffi a Salvini ed al M5S. Che finisce alle corde. Ma anche quelli a Letta. Il ritorno di Oronzo Arcuri e Attila Fornero

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Dopo la conferenza stampa del presidente Draghi un importante quotidiano del nord in un editoriale titolava “L’urlo di Draghi era necessario”.

Ormai siamo abituati ai titoli roboanti nei confronti dei potenti, lodati sperticatamente anche solo per il fatto che respirino la nostra stessa aria. Che ovviamente respirano molto meglio. Ma la ripresa di concetti come addirittura l’urlo riporta più che alla moderazione, attuale cifra presidenziale, addirittura al film cult di Bruce Lee “L’urlo di Chen terrorizza l’occidente”.

Tra l’altro girato a Roma, unico tra i film del karateka cinese, con la mitica scena del combattimento dentro al Colosseo nientepopodimeno che con un giovane Chuck Norris poi destinato alla mitologia dei social come uomo indistruttibile per eccellenza.

Ed il paragone seppur ilare non è peregrino perché pur non urlando, come suo consueto stile, Draghi versione Bruce Lee  in questa conferenza di botte ne ha distribuite a destra e manca. Non si sa se più a Salvini con la tirata sulle vaccinazioni o a Conte con gli interventi in materia di Giustizia o a Letta con le conseguenze di questa. Tutti di diritto candidati a fare la fine di Chuck Norris, presi a pizze all’ombra del Colosseo. (Leggi qui Le randellate di Draghi a Movimento Cinque Stelle e Lega).

Il Train de Speranza

Marta Cartabia, Mario Draghi e Roberto Speranza

Intanto Draghi Lee si presenta con a fianco i ministri Roberto Speranza e Marta Cartabia la cui presenza fa intuire subito si parlerà di giustizia.

Ormai quando vediamo Speranza invece sappiamo già ci sarà qualche iattura sanitaria infatti ci mollano quest’altra patata del green pass che ci allieterà per l’estate e forse oltre.

Ogni volta che vedo Speranza col Presidente del consiglio da quando è Ministro della Salute penso ad un film premiato a Venezia negli anni novanta che ho trovato bellissimo “Train de vie” una piccola tragicommedia originale ed in perfetto umorismo yiddish in cui un villaggio ebraico dell’Est alla notizia dell’arrivo dei tedeschi decide di anticipare tale evento fuggendo. Il Consiglio dei Saggi si riunisce e decide di organizzare un falso treno di deportati per sfuggire ai nazisti. La comunità prepara la partenza in gran segreto per la Terra Promessa ed ovviamente questo prevede dei costi.

Allora ogni volta c’era la scena in cui si recavano a chiedere fondi al capo villaggio ed entravano nell’ufficio in ordine il rabbino, i dirigenti e per ultimo il medico. E come il capo lo vedeva esclamava: “il medico? allora mi dovete chiedere soldi!” e gli prendeva un malore immediato, descritto sempre con divertente autoironia.

Ecco io quando vedo entrare Speranza accodato a Draghi inizio a sentire subito un malessere nello stile di Train de vie perché è certo che arrivino misure il cui senso ed efficacia è sempre difficile se non impossibile riconoscere. Ed il green pass si inserisce a pieno diritto in questa tradizione.

Non vaccinarsi significa morire

Mario Draghi

Difatti in questi giorni si sono alternate in circa ottanta città italiane manifestazioni come non se ne vedevano da molti anni. Con una massiccia partecipazione popolare del tutto inusitata in questo periodo storico. Al di là di chi abbia ragione e su cosa, vedere piazze piene di gente incazzata non è mai un segnale positivo.

Ma il dato politico è ancora più pesante perché, ad una sibillina domanda specifica del giornalistica di Repubblica Tommaso Ciriaco, che comprendeva la citazione di una frase di Matteo Salvini, sostanzialmente contraria all’obbligo vaccinale per alcune fasce di età, la risposta di Draghi è tranchant  «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire, sostanzialmente. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire: non ti vaccini, ti ammali, contagi, qualcuno muore».

A parte la cadenza che più di assomigliare ad un urlo da combattimento sembrava maggiormente la litania del fratacchione di “Non ci resta che piangere” intento, come tradizione dei Trappisti, a ricordare ogni volta possibile “ricordati che devi morire” al povero Massimo Troisi.

Infatti al terminare del “memento mori” si sono diffusi gesti apotropaici nella sala e non solo. Io ad esempio ho provveduto in streaming, non si sa mai. Ma al finire dello sgomento tutti si sono accorti dell’impatto verbale di tale dichiarazione.

Una risposta non certo in politichese che è suonata a tutti, anche al diretto interessato, come uno schiaffo sonoro, inferto inoltre ad un importante membro della maggioranza come il segretario leghista. Infatti a stretto giro lo stesso ha fatto sapere anche con un certo broncio “ci sono rimasto male, poteva dirmelo in faccia”. Forse provando la stessa sensazione di Chuck Norris preso a pizze senza ritegno nella città eterna.

I ceffoni della Cartabia

Il ministro Marta Cartabia

Ma seppur con connotazioni verbali diverse anche la presenza della Cartabia, presentatasi in conferenza cinta da un vestitino color rosso combattivo,  l’annuncio della richiesta della fiducia sulla legge di riforma della Giustizia è suonata come un ceffone altrettanto potente a chi come Giuseppe Conte ed i cinque stelle poche ore prima avevano posto un argine invalicabile al cambiamento delle leggi recentemente approvate dai pentastellati attraverso il mitico Guardasigilli Fofò Bonafede.

Ma il colpo non era unico, era doppio, nel pieno stile Bruce Lee, perché all’annuncio della richiesta di fiducia entra immediatamente in fibrillazione anche la dirigenza del Pd presa in contropiede e resasi conto in un colpo di non essere più così influente nelle dinamiche di governo, tanto da subire misure non concordate di tale peso.

La mossa di Conte sulla Giustizia infatti è ben più pesante dello schiaffo a Salvini. È quasi uno scacco matto per i Cinque Stelle che, qualsiasi mossa scelga di fare l’ex avvocato del popolo, rischiano di implodere e trascinare a fiondo con loro anche il Pd se Enrico Letta non avrà il coraggio di affrancarsi dal nuovo leader (si fa per dire) dei grillini.

Doppio calcio volante

Mario Draghi e Sergio Mattarella

Adesso staranno pensando “chi ci va a dire al duo Draghi – Cartabia che ha appena chiesto la fiducia, che non si è d’accordo su questa impostazione?”. Considerando pure che la ministra inizia il suo intervento testualmente con “l’Europa ci chiede di fare questa riforma”, che, come sappiamo, è ormai il minaccioso passe-partout del potere costituito a cui è praticamente  impossibile opporre resistenza.

Ma soprattutto chi fronteggerà la Cartabia pupilla di Mattarella, uno e bino, Presidente della Repubblica e del Consiglio Superiore della Magistratura che evidentemente avalla in toto l’azione governativa in corso sulla giustizia.

Ecco che si capisce che invece di un semplice schiaffo questo è un doppio calcio volante degno del miglior Chen, sempre quello che terrorizza l’occidente, perché la scelta di Conte in qualsiasi direzione vada avrà certamente conseguenze, rottura di governo o alternativamente perdita di credibilità verso la base.

Un tappeto chiodato per Letta

Enrico Letta

Come quella di Letta già incalzato dall’opposizione interna come Marcucci l’ex capogruppo di provenienza renziana, che chiosa subito sibillino alle parole di Draghi “Il Governo ha ragione a volere una particolare rapidità sulla riforma della Giustizia. La maggioranza deve sapere che il testo condiviso in Consiglio dei Ministri non può essere stravolto. La richiesta di fiducia è la naturale ed obbligata conseguenza“, facendo sentire Letta ancora di più su un tappeto chiodato da fachiro piuttosto che su una comoda poltrona.

Così tutto il Pd, o almeno le sue correnti, ragionano sul fatto che l’alleanza con i pentastellati sia effettivamente redditizia in ordine di consensi, vedendo ogni giorno scendere le proprie quotazioni nei sondaggi al pari dei numeri negativi di Conte in netta discesa dopo la pantomima con Grillo, culminata col pranzo finto riparatore al mare, in cui i coltelli c’erano ma ben nascosti sotto il tavolo ed i sorrisi erano più falsi di una banconota da trenta euro.

In tutto questo va sottolineata l’abilità più unica che rara del trio Draghi Cartabia Speranza che in un’unica conferenza riesce a fare infervorare le piazze come non succedeva da anni e contemporaneamente mandare in fibrillazione quasi tutto il panorama politico nazionale.

Il tutto però fregandosene soavemente delle conseguenze, che ovviamente non subiranno, vista la debolezza endemica dell’attuale classe politica, e con una serenità che fa invidia al migliore Bruce Lee, sempre imperturbabile pure quando sferra colpi ferali umiliando chi gli si oppone.

Il ritorno di Oronzo Arcuri e Attila Fornero

Domenico Arcuri (Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica)

Volete un altro paio di esempi al volo? In questi giorni, nonostante gli italiani se potessero li prenderebbero a male parole, sia la professoressa Elsa Fornero, l’Attila delle pensioni per gli amici, ed il mitico Oronzo Arcuri, fresco reduce dei disastri commissariali sono diventati entrambe consulenti del sottosegretario alla presidenza Mauro Tabacci. Reazioni? Zero.

Tutto questo all’ombra della decisione più importante presa in questo Consiglio dei Ministri. Assolutamente passata sotto silenzio. La proroga dello stato di emergenza fino al 31 dicembre. Decisione assunta senza alcuna reale giustificazione sanitaria ma solo ed esclusivamente per comodità politica di azione, che porta l’uso di tale dispositivo di legge alla sua soglia massima utilizzando un anno e undici mesi questo strumento quando la legge ne prescrive un massimo di due anni, che scadranno il 31 gennaio 2022.

Sarà quella la soglia in cui dovremo capire se questa bolla giuridico politica in cui stiamo vivendo sia servita realmente a combattere la pandemia, abbia portato veri frutti alla salute ed all’economia degli italiani.

Draghi, tutto fiducia e schiaffioni

L’Urlo – Edvard Munch, 1893, oil, tempera and pastel

Questo lo sa bene Draghi. Che infatti procede a colpi di fiducie e di schiaffoni. Ma che, prima o poi, dovrà tirare una linea e dare realmente conto agli italiani. Che fanno domande certamente più incisive di quelle della stampa abbuonata che di fronte a questo marasma nella conferenza appena tenuta ha raggiunto il massimo dell’incalzare nella mitica domanda, posta praticamente alle soglie di agosto: “presidente Draghi che estate sarà?”. Da premio Pulitzer.

E così avvolti dall’afa assistiamo pigri alla celebrazione dell’urlo di Chen nella versione Draghi Bruce Lee.

L’importante che un giorno non ci rendiamo conto, improvvisamente, che dall’urlo di Chen non ci troviamo invece nell’urlo di Munch.

(Leggi qui tutti i corsivi di Franco Fiorito).