Dopo le primarie, le gazebarie, la Meloni e Salvini, il Berlusca e Bertolaso, sale agli onori della cronaca la competizione per la seggiola.
Telecamere e riflettori accesi su Noi di Cassino e del Lazio meridionale, che di politica ce ne intendiamo. Eccome. Da mesi abbiamo dato il via ad una delle campagne elettorali meno avvincenti dalla ricostruzione post bellica. Tanto da squadernare l’elettorato, diventato d’un colpo passivo vieppiù.
A cadenza mensile sforniamo una nuova proposta di sindaco da immolare sulla piazza che porta il nome di De Gasperi. Essì. Perché ci vuole coraggio per aspirare a sedere su quella poltrona che scotta. E che rischia di essere occupata dal meno distratto. Colui (o colei perché no) che, cessata la musica, è il più veloce ad appropriarsene. Al momento, siamo a sei. Ma non disperiamo. Qualche concorrente da aggiungere in corsa è già pronto ai blocchi per raggiungere almeno il numero dei re di Roma. O quello della carta di denari che conta.
E’ mistero sul perché in tanti vogliano amministrare codesta strana città. Da sempre proiettata nel passato con le sue radici spezzate. E incapace di rendersi attrattiva se non con piccoli spot occasionali. Ad ogni tornata si pescano gli aspiranti nella società (civile dovrebbe esserlo a prescindere, quindi sorvoliamo).
Ma attenzione. Ogni candidato continua, da mesi, a ripeterci che è necessario ascoltare la gente. Incontrare i cittadini. Toccare con mano i problemi delle periferie. Perfetto. Noi, da altrettante mesate continuiamo a vederli, sì, per strada. Ma per la maggior parte del tempo con le loro truppe cammellate. E come usa nel gergo comune, verrebbe da dire: “Escilo questo programma, candidato. E facci vedere chi sei” .