di RITA CACCIAMI
Vice direttore de L’inchiesta Quotidiano
Frosinone, correva l’anno 1963. In un appartamento al terzo piano di Corso della Repubblica 52 nasceva la secondogenita di una coppia di coniugi che fino a quel momento aveva al suo attivo un paio di traslochi. Negli anni a seguire sarebbero diventati cinque. I trasferimenti. I figli sempre e solo due, da condurre per mano in diverse città. Non senza prima mettere radici ed integrarsi perfettamente nel tessuto sociale e cultural-mondano.
Ho vissuto i miei primi sei anni di vita in quel suggestivo centro storico. All’epoca un susseguirsi di negozi. Di mercatini. Di artigiani. È li, salendo la lunga scalinata fino al temutissimo portoncino marrone, che ho stoicamente sopportato le vaccinazioni obbligatorie. E ottenuto, come premio o per capriccio, non so quanti pesciolini rossi da portare a casa imprigionati in una busta piena d’acqua. Da quel balcone del terzo piano ho guardato con occhi infantili tutte le processioni. Mentre mia madre mostrava il suo copriletto ricamato più bello al santo di turno. E quando urlavano i radecari a carnevale io ero sempre lì, terrorizzata in braccio a mio padre. Lo stesso che mi ha insegnato ad andare in bicicletta sull’enorme terrazzo che sovrastava il palazzo e dal quale si godeva uno splendido panorama.
Negli anni del boom economico, a Frosinone ho iniziato a suonare il pianoforte. Ho portato a spasso il mio panierino rosa a scuola dalle suore. Ho fatto la spesa alla Standa. Ho comprato i miei primi pattini a rotelle. E tante scarpe nelle quali sono cresciuta. A piccoli passi. Arrivando fin qui, a Cassino, dopo aver vissuto anche a Matera, dove ho lasciato tutti i miei ricordi di preadolescente.
Il Campanile, i Sassi e l’Abbazia. Ecco, sono questi i simboli della mia vita. E mai ho permesso che venissero denigrati. Caro Sindaco Ottaviani, 53 anni fa la mia foto era su un giornale nazionale che annunciava la mia nascita sotto il campanile. Oggi sono vicedirettore di un quotidiano sul quale mi viene concessa la libertà di scrivere tutto. Anche di me. E di quella città che lei vuole difendere come amministratore da nemici invisibili. E immaginari. Senza comprendere che le città non sono solo di chi le governa. O le abita. Ma soprattutto di chi le porta sempre con sé nel cuore.