La bella Ale e la piazza in cui tornano tutti (di F.Dumano)

La bella Ale che negli Anni 70 fece perdere la testa a molti ragazzi di Arpino. L'arte che aveva già dentro di se. E che l'ha resa, oggi, un'artista affermata.

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

Correvano gli Anni 70 e proprio di corsa… Meno male che ad Arpino il nostro  Piero  Albery  con la sua protesi,  la sua macchinetta fotografica, ha fermato infiniti attimi. Ancora non siamo in grado di quantificare, ma possiamo iniziare una prima catalogazione per settori…

Un settore potremmo chiamarlo ”Le tempeste ormonali”. Accanto alle milanesi (leggi qui ‘Il fascino delle milanesi e l’arte che urlava in silenzio’)  un’ altra fanciulla più giovane è entrata nell’ immaginario dei sogni: la bella Ale.

Alessandra Martinelli al tempo viveva a  Roma ma veniva spesso ad Arpino. I suoi nonni avevano un importane ed elegante palazzo a pochi metri dal salotto di Arpino, la piazza municipio.

Ricordi in bianco e nero… lei frequentava il Liceo Classico, prima il Mameli e poi si è trasferita al Tasso o viceversa, i ricordi con il tempo si confondono. Il Mameli era il liceo nel cuore del Pincio e dei Parioli. Ma lei, nonostante frequentasse un liceo pariolino , nessuno l’ha mai chiamata ”pariolina”.

Portava con lei un vento artistico. In piazza Municipio ad Arpino svettava il celebre liceo classico Tulliano, noi ”favoleggiavamo ”sul liceo classico il Mamiani, il liceo dei protagonisti del libro cult di quegli anni, Porci con le ali‘ di Lidia Ravera.

Ricordi in bianco e nero… lascio a voi l’outing: chi non si è smarrito nelle generose tette della bella Ale?

Ale portava il vento dell’ arte, chissà cosa stava disegnando su quel foglio, che ha catturato il piè veloce di Piero. Oggi la Martinelli è un’ artista poliedrica, organizza anche corsi di ceramica, ha lavorato per ceramiche  Kudoku, la rete consegna  molti lavori originali dell’artista.

Voltandomi e guardando quegli Anni 70, ora vedo un salotto accogliente, teatro intenso, una piazza – per parafrasare Paolo Conte – che è stata il nostro Mokambo: giravi, andavi, esploravi, ma poi sempre li tornavi a raccontare cosa c’era oltre il confine di quella piazza. In quella piazza prima o poi tornano tutti, inconsapevoli di aver lasciato tracce indelebili.