Il silenzio su Montecassino e quel libro di Tasciotti “osservato” speciale

Le prove documentali dell'indolenza vaticana e di Pio XII nel fermare il bombardamento, l'articolo del Guardian sul libro del cassinate e la versione de L'Osservatore romano

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Che quella di Eugenio Pacelli fosse una figura controversa è fatto noto. Lo è nella misura in cui nel calibrare storicamente i rapporti tra Papa Pio XII e le aberrazioni massime della Seconda Guerra Mondiale gli specialisti sono in bilico. Parliamo del pontefice che disse come “non v’erano prove di veri abusi” quando gli si parlò di cosa i tedeschi facevano agli ebrei. Quel calibro è basculante perché i suddetti rapporti non sono mai giunti alla massa critica e unanime di una posizione nettamente assolutoria.

E ci sono pieghe dell’operato del Papa che già si lamentava per la sconfitta della Germania nella Grande Guerra che rimandano sempre allo stesso cupo registro, una cosa più aleggiante che immanente ma perfida. E’ quello del silenzio. Inteso non come assenza di lessico ma come assenza di azioni utili. Di quello e di una certa “indolenza” nell’agire contro scenari palesi che portavano dentro già il seme della distruzione che avrebbero messo ad epifania.

L’inferno sull’abazia e quel che lo determinò

Foto: US Air Force 232-6 / Collection if the National WWII Museum

Scenari come quello di Montecassino bombardata dagli alleati il 15 febbraio del 1944 malgrado tutto gridasse che non andava bombardata: in strategia prima ancora che in etica. Quel filone di suspicione malcelata è parte integrante di un libro. Lo ha scritto il cassinate Nando Tasciotti, per anni storica firma a Roma del quotidiano Il Messaggero, con una seconda edizione che ha palesato un focus ingombrante. Non a caso il libro si intitola “Montecassino 1944, un’abbazia torturata. L’inganno di Hitler, il tragico errore di Churchill e Roosevelt, il silenzio di Pio XII”. Lo stesso Tasciotti starebbe approntando ulteriori considerazioni di replica a margine di ciò che gli si “contesta” blandamente.

Sta tutto compresso in una domanda: quanto fece il Vaticano per scongiurare il bombardamento e fino a che punto lo fece? Questo assicurandosi una casella di impotenza forzosa che fosse almeno equiparata alla bona fides in quella tragedia di cui ricorre quest’anno l’80mo anniversario?

Un articolo de L’Osservatore Romano affronta il tema e lo fa in posizione blandamente antitetica a quella dello scrittore cassinate. Lo ha scritto Matteo Luigi Napolitano ed è un pezzo di estremo rigore documentale che forse trova qualche step di affanno proprio in virtù della sua pignola struttura argomentativa. Come fosse un’arringa davanti al Tribunale della Storia.

L’analisi storica di Tasciotti, che replicherà

Nella sua opera Tasciotti, citato nel pezzo, “teorizza la responsabilità del Vaticano nel non aver saputo fermare la tragedia”. Cardine dell’intera faccenda è un documento che lo stesso britannico Guardian ha posato a mo’ di pietra miliare di teorema. Quello per cui Roma non fu abbastanza determinata nel fermare il bombardamento. Titolo e sommario la dicono lunga. “Nothing was done”, che tradotto sommariamente significa “non è stato fatto nulla”. Ma che ad abbrancare le sfumature di linguaggio sta per “non ci si è provato fino alla fine”. E ancora: “Una nota vaticana suggerisce una parte di responsabilità nel bombardamento di Montecassino.

L’articolo è del 13 febbraio e cita le carte del pontificato di Pacelli, franche dal segreto da 4 anni, e che conterrebbero la prova delle responsabilità vaticane nel non aver impedito il bombardamento di Montecassino. Ci sono prove desunte, prove palesi di logica o prove regine, cioè in forma di ammissione?

Il Guardian cita una “ammissione da parte della Santa Sede che il bombardamento avrebbe potuto essere evitato”. Questo “se essa avesse intrapreso un’azione decisa per rafforzare la zona neutrale intorno al monastero”.

Lo scenario: Roma, il D Day e la fretta alleata

Definiamo il quadro di quello slot cruciale della Campagna d’Italia del 1943/’44. Dopo una serie di attacchi massivi quanto inutili il comando della V armata del generale Mark Clark decise di bruciare il timing per raggiungere Roma. L’ostacolo tra gli alleati e la Città Santa era Montecassino e il domino di dislocazione delle truppe per il già deciso D-Day in Normandia aumentò urgenza e barbarie. Lungo la Gustav i tedeschi resistevano con agghiacciante efficacia e con la rotazione dei comandi operativi toccò al generale neozelandese Bernard Freyberg decidere. E tra avversione sommersa al “papismo” ed endorsement con la strategia di Londra il generale decise. L’abazia andava rasa al suolo perché era farcita di tedeschi arroccati a difesa inoppugnabile. Non era vero ma si procedette lo stesso e nei nostri cieli fiorirono i pinnacoli fumosi della distruzione di un sacello della cristianità occidentale. Fu uno sconcio macellaio, punto.

Il “silenzio” di Pio XII sarebbe condensato a silloge nella prima versione di un “appunto manoscritto di quattro pagine redatto da un diplomatico vaticano di origini molisane, monsignor Armando Lombardi. Questo “subito dopo la liberazione di Roma”. Il sunto è che sì, per l’abazia si poteva fare di più e meglio. “Per esempio, insistere sul rispetto della zona di sicurezza e per un cessate il fuoco fra tedeschi e alleati. L’Osservatore “osserva” però che la versione di Tasciotti non sarebbe congrua, e chiama in causa l’attendibilità totale di monsignor Lombardi.

La restituzione delle opere portate via da Montecassino. Sullo sfondo i dodici autocarri della Goering

Descritto come uditore di nunziatura di seconda classe alla Prima Sezione della Segreteria di Stato. Un funzionario amministrativo che nel turbine degli eventi italiani del 1943-1944 si trovò a occuparsi di ciò che restava di Montecassino dopo il bombardamento”. Che significa secondo la chiave di lettura? Che la situazione era “turbinosa” e che ad occuparsene era un secondo livello.

Il promemoria di monsignor Lombardi

Poi la citazione di monsignor Domenico Tardini, Sostituto della Segreteria di Stato. “Bisognerà raccomandare agli alleati le rovine di Montecassino. Me lo disse monsignor Lombardi. Io assentii ben volentieri. Poi Lombardi non mi ha dato nessun appunto, nessun progetto, nulla. E allora? Coraggio! Darmi qualche cosa. Il frame sembra suggerire che il principale “accusatore” dell’indolenza vaticana sul bombardamento fosse poco ligio. Tuttavia chiama in causa un momento secondo in cui l’abazia era già rovina.

La celebre foto di papa Pio XII che consola la popolazione a San Lorenzo

E il quotidiano romano crea una liaison tra le “lamentele” ed il manoscritto citato dal Guardian. Cosa scriveva Lombardi? “La Segreteria di Stato nelle trattative svolte per salvare il Monastero di Montecassino, si è limitata, una volta fatto il primo passo con una Nota di scarso valore…”. A cosa? “A trascrivere testualmente alle Rappresentanze diplomatiche le assicurazioni date dall’altra parte belligerante. Poi la deduzione logica: “Non sembra però che il tenore e la portata di tali assicurazioni siano stati attentamente vagliati”.

Fermiamoci un attimo. Abbiamo uno scritto che accusa la Santa Sede di aver fatto ben poco ed uno scrittore cassinate che ci imbastisce un’analisi rigorosa a corredo. Poi un media britannico che solleva la questione ed uno romano che cassa il merito e lo derubrica a “lamentela” con poca polpa. Perché dell’atto d’accusa ce n’è una versione bis, a ben vedere frutto di un “cazziatone” all’autore sul merito della prima.

Omissioni e leggerezze: chi ha ragione?

Chi ha ragione? Lombardi ha scritto che “si ha l’impressione che dopo la prima decade di gennaio, e cioè nel periodo più critico, la Segreteria di Stato si sia disinteressata della questione. Il momento topico è quello, quando cioè i tedeschi eliminarono la zona di protezione intorno all’abbazia. Una scelta simile era palesemente indicativa di un aumentato rischio. Tuttavia “non si fece e non si disse nulla al riguardo. Chi studia serenamente la questione si inclina a credere che il Monastero si sarebbe forse potuto salvare se il principio della zona neutra fosse stato accettato e rispettato da entrambi i belligeranti. Con un’azione energica la S. Sede avrebbe forse potuto ottenere ciò”.

Foto: Capt. Tanner / Collections of the War Imperial Museum

Sembra tutto difficilmente oppugnabile ma l’Osservatore cita un cambio di prospettiva. Quale? Quella secondo cui Tardini segnò con due “vistosi punti interrogativi” la parte relativa al fatto che si sarebbe potuto fare di più. Ed a margine la nota per cui bisognava “tener presente anche la Nota n. 34 degli Stati Uniti, in data 25 gennaio, per poter dare un giudizio completo”.

Spunta il memoriale bis, che è più “light”

Insomma, il sunto è che le colpe egemoni del comando alleato e le provocazioni di quello tedesco avrebbero contenuto, sovrastato e quindi emendato quelle eventuali/parziali/concorsuali della Santa Sede. Obiettivamente non regge. I due ne avrebbero parlato a giugno del ‘44 e Tardini avrebbe ingiunto a Lombardi di “studiarsi la documentazione su Montecassino”. E lì sarebbe scattato il secondo appunto dell’accusatore. Che è simile ma non eguale al primo. Ma è concettuale, come nella parte in cui “le preoccupazioni dei monaci per la sorte di Montecassino erano condivise dalla Segreteria di Stato. Che fra il 23 e il 25 ottobre 1943 aveva chiesto ai belligeranti di non fare dell’abbazia un campo di battaglia, rischiando così danni irreparabili”.

Foto © Tonino Bernardelli

Ovvio che il Vaticano fosse preoccupato per l’abazia, ma il merito non è che non lo fosse stato, piuttosto che non lo sia stato abbastanza da giungere ad un risultato. Le prove a discolpa sarebbero quelle per cui la Santa Sede reagì con immediatezza quando da Londra si iniziò a parlare di “contromisure”.

E per cui “si affrettò a comunicare ciò ai tedeschi, che assicurarono di aver raccomandato alle loro autorità militari ‘la preservazione dell’Abbazia’”. Poi un dato a metà tra diplomatico ed ecumenico. Anche Washington rassicura il Vaticano che non si sarebbe proceduto al “bombing” e da Roma la cosa viene girata al “comando tedesco del fronte sud”. Un ecumenico “state boni”, insomma.

Le proteste dell’abate Diamare

Il rappresentante americano in Vaticano, Tittmann ribadisce che non ci saranno azioni avventate e la Santa Sede ci cade appieno. Come una qualsiasi parrocchietta e non come massima concrezione di uno Stato sovrano che conosce bene le capriole del lessico diplomatico. Quando poi partono i lavori crucchi per fortificare i paraggi del monastero l’abate Gregorio Diamare avvia rimostranze. Ma quelle lagnanze in Vaticano ci sarebbero arrivate tardi, troppo tardi almeno per innescare contromisure di massimo rango. “Il 7 dicembre 1943 fu effettuato un nuovo passo dalla Santa Sede presso i belligeranti, ricordando loro le assicurazioni già date”.

Il colonnello Schlegel con l’abate Gregorio Diamare (Bundesarchiv)

I dati chiave che “assolverebbero” Vaticano ed azione papale sarebbero: la solerzia nel ricordare alle parti di non scantonare e le difficoltà di comunicazione con i monaci. Difficoltà che avrebbero ritardato e vanificato l’azione deterrente contro la decisione di bombardare degli alleati e quella di ergere casematte a disfida dei germanici. Quando il 5 gennaio i tedeschi resettarono la zona di protezione da 300 metri ci fu il rifiuto di Diamare. Il resto è storia tragicamente nota: dal 20 gennaio in poi nel monastero non vi era traccia di un solo elmetto “Stahlhelm” ma era già partito il “fuoco erratico” degli alleati sulle adiacenze immediate. La nota bis di Lombardi, quella che smentirebbe Tasciotti, è un loop di interesse, ma non aggiunge iniziative determinanti.

La “premura della Santa Sede”

“Quando più grave si profilò la minaccia per il Monastero, la Segreteria di Stato ebbe premura, in conversazioni orali, di richiamare al riguardo l’attenzione dei Rappresentanti diplomatici delle Nazioni belligeranti.

Insomma, secondo l’Osservatore lo scrittore cassinate avrebbe attinto “solo” alla prima stesura del memoriale Lombardi, accreditando quindi un colpevolismo che poi la versione bis avrebbe stemperato in una lunga teoria de “La Santa Sede si è preoccupata”. Ma il quadro resta sostanzialmente lo stesso.

La colpa che continua ad aleggiare

Foto: Collection if the National WWII Museum 2002.337.524

Quello di belligeranti già decisori da un lato e consci delle decisioni dall’altro, di un promemoria numero due che non sovverte il primo, semmai lo “annacqua”. Ed infine quello di un Pio XII che, anche in forza del suo chiaro battage ideologico, non riesce ad emendarsi appieno da una colpa né di rango massimo né di infima caratura.

Quella di aver fatto poco, di quanto era nelle possibilità di un Capo di Stato e responsabile massimo della struttura, per evitare una tragedia. E moltissimo per dimostrare ai posteri che invece aveva fatto tutto il possibile.

E se dire o scrivere che “nulla fu fatto” è un errore formale, proclamare che “non fu fatto abbastanza” non appare un errore. Piuttosto la doverosa messa a fuoco di una tragedia che l’oncia di verità in più di Nando Tasciotti la meritava. Perché, lo dice anche l’Osservatore, “Unicuique suum”: a ciascuno il suo. Anche ai Papi proclamati “servi di Dio”.