Dheni lascia il ring. Dalle Olimpiadi di Sydney all’esilio ai Caraibi e ora l’annuncio: «Farò l’attore»

Storia di Dheni Paris. Da pugile mancato ad allenatore del Toro Bianc:o Sven. Da Frosinone alle Olimpiadi di Sydney fino all'esilio ai Caraibi. Dove crea un team. E ora l'annuncio: molla. Farà l'attore.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Dheni Benedict Paris getta la spugna e lascia il ring. Volta le spalle al mondo dei combattimenti ed entra in quello del cinema: abbandona le illusioni costruite su cazzotti, sangue e sudore per credere nei sogni di celluloide. Finzioni tutt’e due. Nelle quali una verità te la devi costruire e solo quando ci sei dentro sai quanto può costare. Periferia del mondo ancora una volta: niente Hollywood per l’allenatore ciociaro, così come non c’è stato un Cesar Palace per lui negli ultimi anni. Ancora Santo Domingo, l’isola caraibica nella quale si è rifugiato da tre anni, da quando ha deciso di voltare le spalle a tutto e tutti. E ricostruirsi una vita. Lasciandosi dietro i ring nazionali e non solo, il quadrato olimpico di Sydney, quello di Alatri nel quale suo figlio Sven ‘Il toro bianco’ entra nella storia con l’incontro più veloce di sempre ed impiega appena 7 secondi per mettere al tappeto l’avversario, oppure quello nel quale il suo ragazzo ha vinto la corona italiana dei superwelters, o quello nel quale ci si è giocati il titolo Intercontinentale WBO dei welter.

Niente gloria facile per Dheni, il ragazzo che negli anni Ottanta faceva branco con i coetanei più difficili in circolazione per Frosinone. E pure lui non è che studiasse dalle Orsoline. La boxe, i guantoni, il sacco in palestra sono la sua salvezza e gli evitano di mettersi nei guai. Ma non ha il fisico, ci è arrivato tardi a capire che poteva essere quello il suo mondo. Punta tutto su Sven, alleva suo figlio per farlo diventare quel campione che sarebbe stato lui se avesse fatto la vita dell’atleta: e con Sven ci riesce, aiutandolo a costruire un pezzo di storia che lo vede protagonista alla XXVII Olimpiade, lo fa crescere fino a diventare Professionista e quando il White Warrior chiude la carriera ha all’attivo uno score di tutto rispetto fatto da 31 vittorie e 6 sconfitte, due rimediate con il polacco Krzysztof Bienias che gli ha impedito di diventare Intercontinentale.

Poi un giorno di tre anni Dheni fa molla tutto. Se ne va da Frosinone, sparisce dalle palestre con i ring. E riappare a Santo Domingo. Per allenare i ragazzi che non hanno mai visto un mister europeo, i giovani che sono stati meno fortunati di lui e sono finiti nelle carceri dominicane. Dheni fonda una sua accademia pugilistica a santo Domingo, si chiama Team Boxe Promocion. E scopre tre piccoli campioncini, si chiamano Man Black, El Campeoncito e Pit Bull: nomi d’arte con i quali calzano i guantoni sotto i quali ci sono la pelle e le anime di Marco Antonio Acevedo, Donny Garcia e Alfredo Ramirez. Tutti e tre diventano campioni nazionali della Repubblica Dominicana in poco tempo. Man Black e il Campeocito, oltre a vincere il titolo nazionale, hanno sostenuto anche una difesa; Pit Bull non c’è riuscito perché nessuno ha accetta di affrontarlo. Man Black diventa pure campione internazionale Federcaribe della WBA e Campione Mondiale WBF.

Frosinone sembra New York in confronto a La Ciénaga cioè il posto scelto da Dheni per il suo esilio. Settantamila abitanti ma appena dodicimila case, costruite a ridosso del Rio Ozama che in quel punto ha già percorso 148 miglia prima di andare a tuffarsi nel Mar dei Caraibi. La sua palestra non ha né parquet né linoleum: chi c’è stato racconta di pareti in lamiera e zinco arroventate dal caldo, sedie rotte e pavimento lercio di sudore dove quasi nessuno va a lavare. Le zanzare sono grosse come fagiani e per buttarle giù ci vorrebbe la contrarerea: ma sono troppe e la battaglia è persa in partenza. Quando piove o il Rio si ingrossa, l’acqua esce dagli argini ed allaga tutto trasformando la città in un pantano sul quale galleggiano immondizia e animali morti.

Nessuno ha mai saputo perché Dheni abbia deciso di lasciare Frosinone e andarsene in quell’ultimo angolo di mondo. Ma lì ha disputato 22 match stando seduto all’angolo. «Tutti vinti» rivendica ora nella lettera d’addio affidata ad un periodico dominicano quando in Italia ormai è notte. Non saranno match come quello di Sydney alle Olimpiadi ma valgono altrettanto perché combattuti dai «miei campioni creati giorno dopo giorno, ragazzi presi dai quartieri più malfati e portati nel mondo del professionismo». A chi un giorno gli chiede ‘Perché‘ lui racconta una storia: «Mi sono messo in gioco. Dovevo capire se in Italia avessi avuto solo la fortuna: dovevo capire quanto dei miei risultati appartenesse a Sven, alla fortuna,oppure se fossi un tecnico capace di costruire un campione».

Cercava una conferma Dheni. E l’ha trovata nei Caraibi dove nel 2015 è stato dichiarato Allenatore dell’anno. Robetta? «Santo Domingo ha più di 600 professionisti su una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. Vuoi capire quanti sono? Fai il paragone con l’Italia: non arriva a 300 professionisti prò con una popolazione di 60 milioni di abitanti».

Scrive storie che stanno al confine tra il libro Cuore ed il codice penale. Come nel caso di Alfredo Ramirez: è una promessa della boxe caraibica ma un giorno il suo maestro viene ucciso durante una rapina. E Alfredo molla tutto, scappa da quel mondo e si infila in un brutto giro, dorme per strada, combatte per scommessa e raccattare quesi quattro soldi che gli servono per non morire di fame. Dorme per strada, si riempie di cicatrici in tutto il corpo: nulla rispetto a quelle che ha nell’anima. E’ Dheni Paris a proporgli una scialuppa con la quale traghettare verso la vita. Sono la mamma e il nonno di quel campioncino alla deriva a supplicare l’italiano di prendersene cura, gli fanno vedere i documenti dai quali risulta che boxava da peso gallo, che è stato nazionale dominicano. E Dheni se ne occupa, ricostruendolo come uomo e come sportivo, insegnandogli quella disciplina senza la quale sei solo uno che tira cazzotti e magari li incassa pure bene ma non sei un boxeur. Lo porta fino al professionismo. Due incontri, altrettante vittorie. E poi la sfida per il titolo nazionale.

Ma la storia ed il destino sono strani. Danno l’impressione di tornare puntuali: come la circolare che attraversa la parte alta e quella bassa di Frosinone, può tardare un po’ ma comunque ritorna sempre. E così Dheni all’improvviso decide di mollare tutto. L’annuncio lo da a Dario Torromeo, cronista di sport che si era occupato di lui nel passato. Gli scrive una lettera: «Dopo un periodo di riflessione ho preso la grande decisione: basta con la boxe. Mi piange il cuore, ma sono veramente stanco. Negli ultimi tre anni il mio modo di allenare mi ha logorato, chi mi conosce sa quali siano i miei metodi e quanta sia la mia passione. Così alla fine sono scoppiato. Ho 55 anni è arrivato il momento di godermi la vita. Sabato 3 settembre 2016 ho ceduto i miei pugili ad un’altra società e ho quindi siglato la chiusura di ogni attività legata a questa disciplina».

Ora, come i campioni scesi dal ring ma che non riescono a fare a meno dei riflettori, punta sul cinema. C’è arrivato per caso: ha interpretato il ruolo di un allenatore di boxe in Golden Boys, per la regia di Israel Cárdenas e Laura Amelia Guzmán. «Mi sono messo a studiare, cosa credi? Mi sono messo in gioco in questo mondo per me totalmente nuovo. Voglio vincere anche questa battaglia. Sono stato scelto per due nuovi film. Uno su mafia, politica e chiesa. L’altro sulla boxe. Per il prossimo anno credo che farò un film con produzione Italo-Dominicana assieme all’attore Ettore D’Alessandro. Abbiamo già lavorato in “Golden Boys”: andatelo a vedere, c’è una grande sorpresa per il popolo ciociaro che ho sempre nel mio cuore».

Godermi la vita… Non ci crede nessuno Dheni