I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 24 novembre 2022
I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di giovedì 24 novembre 2022
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LUIGI GERMANI
Le chiamano ‘Riserve della Repubblica‘: sono quelle figure di alto spessore e dal consenso unanime che è meglio tenere da parte, pronte per qualsiasi evenienza. Non si riesce a raggiungere l’intesa sul nome del Presidente della Repubblica? C’è Giuliano Amato o se risulta meglio una donna c’è Marta Cartabia. Non si trova il candidato governatore del Lazio per il Centrodestra? Un Maurizio Gasparri molto navigato ma sempre come nuovo è lì disponibile. Ora anche la Provincia di Frosinone scopre di avere la sua Riserva: Gino Germani, sindaco di Arce.
Il suo nome è stato individuato ieri sera nel pieno dello stallo che si è determinato all’interno dei blocchi di centrodestra e di centrosinistra, impegnati a definire il loro candidato per la successione ad Antonio Pompeo.
I veti incrociati stanno bruciando le pur autorevoli candidature di Riccardo Mastrangeli (sindaco di Frosinone), Giuseppe Sacco (Roccasecca), Luca Di Stefano (Sora). L’incontro dei coordinatori del centrodestra regionale ha chiesto lo stop a Mastrangeli e Sacco per individuare una figura terza, capace di aggregare drenando anche voti al centrosinistra. (leggi qui: Provinciali: la soluzione Germani ed il dilemma ‘Peppe pe’ Peppe…’).
Il nome di sintesi è quello di Gino Germani: sindaco con maggiore anzianità di servizio (se fosse stato in carica Filippo Materiale di Castrocielo, non ci sarebbe stata partita): civico ma organico al Partito Democratico, espressione di un piccolo Comune (cioè l’ossatura amministrativa della provincia), territorialmente di un Sud che deve essere riequilibrato dopo che i deputati sono tutti espressione del Nord Ciociaria. Il centrodestra sarebbe pronto a votarlo, il centrosinistra pure (i rumors dicono che proprio una manina all’interno della Commissione Pd avrebbe scritto il messaggino con il nome di Germani ad un contatto in FdI).
In politica, i candidati del mattino sono già storia passata quand’è ora di pranzo: se accade con l’elezione del Capo dello Stato figuriamoci con il Presidente della Provincia di Frosinone. Se la candidatura Germani arriverà a questa sera sarà lui il portabandiera di un ampio schieramento trasversale. A prescindere da come finirà, Germani da oggi indossa la fascia virtuale di Riserva della Provincia: e moralmente vale tanto quanto quella di Presidente.
Sono soddisfazioni.
MATTEO RENZI
“Se dico una cosa su una persona del PD quella cosa verrà inevitabilmente usata contro quella persona“. Matteo Renzi di solito è abbastanza chiaro nell’argomentare in ordine a politica generale e ruvidezze col Nazareno ma stavolta si è voluto superare ed è stato chiarissimo.
Perciò a scanso di equivoci ha ripetuto lo stesso concetto attaccandoci un nome ed un cognome. E l’ha detta meglio: “Se dico qualcosa su Stefano Bonaccini nel Pd la useranno contro di lui“.
E ovviamente, a contare che Bonaccini è il più “renziano” dei non renziani, al segretario di Italia Viva la cosa non conviene, oltre che essere ottimo viatico per una battuta al curaro sui lettiani.
Renzi ha da sempre una sua visione di scacchiera: quella per cui il Pd è stato perdente soprattutto perché ha messo i nemici sempre prima degli avversari. E per la quale il partito di Enrico Letta deve “imparare a vincere“.
Stavolta però la battuta ha fatto il paio con la visione prospettica e un Bonaccini candidato alla segreteria del Pd è una sponda troppo ghiotta per un leader che è grande enunciatore ma risicato attrattore.
E Renzi ha deciso di stare zitto, forse per avere più cose da dire una volta che l’ipotesi sia diventata realtà.
“Nulla saccio”.
FLOP
GIUSEPPE CONTE
Non è cambiato. È lo stesso Giuseppe Conte che ha insegnato a farsi disistimare nei mesi in cui è stato Presidente del Consiglio dei Ministri. Quando alla sera diceva una cosa ai giornalisti ed al mattino dopo la negava o faceva l’esatto contrario. Non era tattica, né un modo per confondere gli avversari: Giuseppe Conte è fatto così. Dice una cosa, vede come va, poi dice l’esatto contrario: tanto gli elettori italiani sono talmente anestetizzati da non farci caso.
Nelle ore scorse ha fatto saltare l’ennesimo ultimo ponte di dialogo con il Partito Democratico per le elezioni Regionali in Lazio e Lombardia. A costruirlo ci avevano provato i genieri dei partiti della sinistra ambientalista, cattolica e movimentista. Ma proprio mentre erano in riunione con gli ambasciatori a Cinque Stelle, Giuseppe Conte rilasciava dichiarazioni con lo stesso effetto dei missili rissi lanciati da Putin su Kiev. Game Over, incontro chiuso. Ognuno alle elezioni con il suo candidato. (leggi qui: Regionali: verso il Game over nella partita Pd – M5S).
Poi, come se nulla avesse detto, è andato sornione negli studi di Controcorrente a Rete 4. Dove ha detto “Il Pd ha indicato D’Amato nel Lazio e Majorino in Lombardia: noi dovremmo essere la succursale del Pd? Io dico: partiamo dai programmi e poi insieme decidiamo insieme l’interprete migliore, ma non mi chiamate per mettere un sigillo sulle vostre correnti interne e lotte intestine“.
Il caso rasenta lo Psichiatrico. Perché nel Lazio non solo gli è stato proposto di partire dai programmi: gli è stato proposto di partire dal suo programma, cioè quello che prima della crisi di Governo proprio il M5S aveva contribuito a scrivere con il Pd e gli altri alleati.
Se lo fa per dimostrare ai suoi che sta bastonando il Pd ha un senso. Se lo fa perché ci crede davvero allora è molto preoccupante
Re Tentenna gli fa un baffo.
PAOLO BROSIO
Il loop è e rimane quello: bullizzato da Emilio Fede 30 anni fa davanti al Palazzo di Giustizia di Milano per Tangentopoli che raccontava, era più simpatico.
Oggi Paolo Brosio è uno strano mix di ortodossa quaresimale e mainstream scollcacciato in cui personaggio e persona diventano indistinguibili.
In merito alla ridicola proposta della Lega di elargire 20mila euro agli italiani che si sposino in chiesa Brosio ha detto la sua. E non l’ha detta sbagliata: “Gli incentivi economici potrebbero essere controproducenti, il matrimonio è un sacramento, un percorso di fede“.
Poi però Brosio, nella sua foga di scimmiottare figure di vertice dell’ambito indirettamente chiamato in causa dalla botta di genio del Carroccio, ha scarrocciato. Aggiungendo: “Dobbiamo invece sostenere la famiglia naturale, formata da un uomo e da una donna“.
Attenzione, con quanto dichiarato, Brosio non si è messo automaticamente in casella di discutibilità; a ben vedere si tratta di opinioni e si quelle nessuna scure deve mai calare. No, l’errore di Brosio è stato l’ineleganza e la ubris nel non accontentarsi di una motivazione già sufficientemente esaustiva e blindata, attaccandoci in appendice la sotto categoria del credo “di bottega’.
E così facendo ha perso due ottime occasioni: una per esprimere un concetto che è piaciuto anche agli atei ed un’altra per ribadire un principio che governa i laici. Laici come laico è lo Stato in cui Brosio vive.
Onesto ma pedante.