Top e Flop, i protagonisti di martedì 13 giugno 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 13 giugno 2023.

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 13 giugno 2023.

TOP

SERGIO MATTARELLA

Sergio Mattarella

Quello che era previsto per oggi doveva essere un Consiglio Supremo di Difesa delicatissimo per Sergio Mattarella con il ciglio ancora umido per la morte di Silvio Berlusconi. Un cordoglio così sincero da decidere di spostare la seduta a dopo le esequie del Cav. Un rinvio che non diminuisce però né l’importanza né la delicatezza della riunione. Che per la terza volta si terrà con la rotta aberrante di una guerra in corso su suolo europeo. E si terrà per la seconda volta con il governo in carica erede della linea ortodossa ed atlantica pro Kiev del suo predecessore ma con una situazione sociale decisamente mutata.

Una situazione in cui molte fasce di cittadini non sono più particolarmente d’accordo con l’invio incondizionato di armi al Paese aggredito brutalmente dalla Russia di Vladimir Putin. E c’è un tema di corollario che corollario non è, perché fonda esattamente sull’argomenti chiave della faccenda: quello delle armi. Il sunto è che l’Italia non solo deve mandarne ancora all’Ucraina ma deve procurarsene di nuove e più efficaci per sé. Il Capo dello Stato lo ha “anticipato” ricevendo al Quirinale una rappresentanza della Marina Militare in occasione della Giornata della Marina Militare che si è celebrata sabato.

E ha detto: “L’aggressione della Russia all’Ucraina, minando le regole di convivenza internazionale faticosamente costruite dopo il Secondo dopoguerra, impone di definire, insieme ai nostri alleati, le nostre condizioni difensive, che richiedono alle Forze armate adeguamenti a questa nuova condizione“. Cosa significa? Che non siamo più in quiescenza difensiva da “solo” dettato costituzionale e che dobbiamo salire di un gradino.

L’Italia deve quindi ridisegnare metodi e mezzi con cui onorerà quel mandato che ripudia la guerra ma che non ne ricusa più l’incentivazione dall’esterno ove fosse una guerra “giusta”. E nel nome di valori che condividiamo e patti che rispettiamo. Mattarella ha poi chiosato su un tema di attualità strettissima ed altrettanto cruciale: “Desidero sottolineare la preziosa opera delle Capitanerie di Porto, con il quotidiano e tenace impegno di controllo dei fenomeni migratori via mare, e con il doveroso e meritorio soccorso ai migranti in difficoltà nel mare“.

Ma il tema chiave è e resta quello della guerra. Che non vogliamo e che non condurremo mai contro terzi che non ci attacchino in Patria. E che tuttavia da oggi sarà suprema necessità da prevedere in forza di una Storia che non è più la stessa. Per un Presidente della Repubblica rappresentare e garantire ciò che una Nazione è a volte è molto più difficile che sostanziare ciò che una Nazione decide e fa.

Perciò quelle di Sergio Mattarella sono state parole sofferte, ma come sempre illuminanti. Anche se stavolta tragicamente.

Corazziere.

ALFONSO SCACCIA

La presentazione di Ballaciò

Le radici sono tutto. Senza radici si è preda del primo soffio di vento, si finisce cancellati dal primo segnale di cambiamento. Non a caso i Romani, una volta conquistato un nuovo territorio ne cancellavano la storia, ne abbattevano i monumenti, ne sostituivano gli idoli. In questo modo, noi oggi pensiamo che non sia mai esistito un mondo civile prima di Roma. Invece non è così: domandare agli Etruschi, agli Egizi, agli Euganei, ai Reti, ai Sardi, alle loro civiltà antichissime che oggi conosciamo solo grazie a quelle radici scavate in profondità e dove Roma non riuscì ad arrivare.

Per questo è importante che Frosinone sia riuscita a dare vita a “Ballaciò, tradizioni cultura, eccellenze del territorio ciociaro”. È il titolo dell’iniziativa che si svolgerà nella Villa Comunale di Frosinone questo weekend. Con uno scopo poreciso e fondamentale: avvicinare le nuove generazioni alla tradizione popolare.

Un concetto che a Frosinone vale doppio. Perché tutti gli studi sul marketing territoriale hanno sempre individuato una debolezza nel capoluogo ciociaro: l’assenza di un’immagine, una storia, un passato. Al punto che leggenda vuole fosse stata scelta proprio per questo da Mussolini: facendola capoluogo dal nulla a dispetto di Caserta.

Invece Frosinone ha una storia ed un passato. Sul quale ora poco alla volta si torna a puntare. Come sta facendo la Pro Loco di Frosinone guidata da Alfonso Scaccia: «Si parla di turismo inteso come “storytelling” ed è per questo che vogliamo raccontare la nostra storia attraverso i valori di un tempo adattate alle esigenze attuali».

C’è tutto quello che non si sarebbe immaginato: Frosinone ha una sua tradizione gastronomica, un repertorio di brani folk, un gruppo polifonico. «La caratterizzazione del territorio – ha detto il sindaco Riccardo Mastrangeli – va sfruttata nel migliore dei modi e fatta conoscere. Alle nuove generazioni dobbiamo far capire questi valori legati alle radici, perché sono alla ricerca costante di un senso di appartenenza forte».

La forza delle radici.

FLOP

PAOLO ZANGRILLO

Paolo Zangrillo

Il focus è doppio e procede secondo una lettura che non passa solo per il dopo Covid: lavorare a distanza si è rivelato utilissimo, decisivo quasi, quando la pandemia mordeva il mondo. Ma lavorare da casa, ove fosse possibile, non è solo un salvagente emergenziale. Era uno step a cui l’Italia ci è arrivata in punto di attacco virale ma che conserva inalterata tutta la sua spaventosa utilità anche nel contesto di un futuro green, sostenibile e sempre meno dipendente dai combustibili fossili.

Se lavori da casa non devi prendere mezzi, tuoi o pubblici, per raggiungere lo spot di produzione. E se lo fai senza pregiudicare la resa per ciò che sei chiamato a fare vinci due volte perché con te vincono chi ti dà lavoro e lo Stato in cui lavori. Non è difficile da capire però che per affermare questa lettura al di là della sua semplice, tronfia ma blanda enunciazione concettuale bisogna che chi tiene la redini della nazione capisca che sullo smart working va creata una cultura di normalizzazione.

In poche parole: va incentivato non più quando ed ove servisse. Ma soprattutto quando le condizioni per attuarlo non ci sono, così diventa gradualmente patrimonio genetico di un sistema complesso che sul tema era molto, molto indietro. Ecco perché il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha fatto bene ma non benissimo a mettere la faccenda in punto di opportunità invece che in punto di cultura.

Dicendo al Messaggero: “Non siamo più in pandemia, per cui non credo ci sia più l’urgenza di intervenire con lo smart working sui genitori con figli under 14”. E ancora: “Auspico invece continui ad esserci la giusta attenzione nei confronti dei fragili“. Poi il sermoncino che rende la sua posizione più acconcia ma non ancora ottimale in senso prospettico: “Ho sempre sostenuto che il lavoro agile rappresenti un importante strumento e non vedo perché non possa essere in grado di funzionare anche nella Pa”.

Poi lo sprone: “Per evitare il racconto del lavoro agile come una sorta di semi-vacanza, serve però una vera e propria rivoluzione culturale, oltre che organizzativa, in grado di rendere lo smart working pienamente efficace, per non pregiudicare i servizi erogati a cittadini e imprese“.

E per farlo il ministro Zangrillo avrebbe dovuto capire, o dovrà capire a breve, che l’efficacia è figlia dell’abitudine e che l’abitudine non è quasi mai figlia della necessità, ma di un training che serve per quando la necessità coinciderà con una nuova Storia.

La sola storia possibile che il mondo può permettersi di vivere, se vuole avere ancora un futuro.

Più spot e meno sul pezzo.

BARBARA DI ROLLO

Barbara Di Rollo

Top o flop è spesso questione di latitudine. E da dove si guarda la classifica. Barbara Di Rollo l’ha sempre guardata dall’alto. Anche quattro anni fa quando le urne delle elezioni Comunali di Cassino l’hanno incoronata miss preferenze: oltre settecento voti personali. Ma soprattutto un ruolo simbolo: è sua la firma sotto alla lettera inviata il giorno dopo la proclamazione all’allora Segretario del Partito Nicola Zingaretti. Gli scrive per denunciare che a Cassino hanno dovuto fare tutto da soli e che il Partito Democratico non è stato dalla loro parte: dalla sua, quella di Enzo Salera appena diventato sindaco, quella del centrosinistra che ha appena strappato al centrodestra la seconda città della provincia di Frosinone.

A quattro anni di distanza, i rapporti tra Cassino ed il Pd provinciale non sono migliorati di tanto. Alla questione politica si è aggiunta la diffidenza personale. Ed un’infinità di episodi che hanno scavato un fossato profondo. Ad esempio il niet del sindaco alla candidatura parlamentare per Francesco De Angelis e la firma sotto un altro documento; la decisione di appoggiare un candidato presidente della Provincia condiviso con Fratelli d’Italia e contrapposto a quello indicato dall’altra metà del Partito. Oppure le Regionali: i voti di Cassino non sono andati all’area che esprime la maggioranza in Federazione.

La grande differenza è che ora però Barbara di Rollo non è accanto al sindaco. Lei la sintonia con la Federazione l’ha trovata. E senza sotterfugi. Alla luce del sole. Dicendolo con chiarezza al sindaco. Ed innescandone la reazione. Ora è perno delle future alleanze: ha sempre sostenuto che sarebbe stata sullo stesso fronte di Enzo Salera ma stavolta con una sua lista e non quella del Pd. Ma potrebbe essere la pietra angolare di una coalizione trasversale che coinvolgerebbe molto del centrosinistra che non si riconosce nel sindaco. Ed anche parte del centrodestra.

Se sia Top o Flop dipende dalle amicizie che si frequentano, dal lato dello stadio da cui si assiste alla partita. E poi Top o Flop poco importa, importante è essere della partita anziché subirla. E forse è proprio questo a tenere in sospeso Barbara Di Rollo. Gli ambasciatori avranno molto su cui lavorare.

Sull’Aventino ma con gli ex avversari.