Atreju 2023: l’occasione mancata di Elly per dare una lezione di democrazia

Più decisa di Nanni Moretti ma meno pronta a capire che gli assenti hanno sempre torto. Specie se di mezzo c'è la dialettica del Pd

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Certe cose magari si fanno a denti stretti, ma sì, si fanno e basta. Le devi fare perché senza scomodare il dilemma di Nanni Moretti è evidente che gli assenti hanno più torto di chi c’è, specie in politica. E c’è un’aggravante seria: per antonomasia la politica è il luogo dove ogni cosa è ribaltabile, ogni attacco o imbarazzo è contenibile in dialettica. E sì, se c’è una cosa di cui Elly Schlein certo non è a corto quella è la capacità di argomentare. Ecco perché ieri, all’apertura di Atreju 2023, il rifiuto della Segretaria dem di essere ospite alla kermesse fantasy-norrena-lambruscante dei giovani di Fratelli d’Italia ha avuto molto più peso di quanto non avrebbe avuto una suo eventuale assenso ad esserci.

Due cose: o Elly Schlein ha valutato le due opzioni e sbagliando ha scelto quella che le sembrava la meno nociva oppure ha sbagliato semplicemente nel non considerare il peso di un suo rifiuto. E, che piaccia o meno, l’errore c’è e resta. Aggravato da precedenti illustri, orpellato da una Giorgia Meloni che invece era andata a guardare dritta negli occhi delegati ed iscritti della Cgil di Maurizio Landini. Dice sì, ma era premier, istituzione più che totem di Partito. La distinzione è condizione sufficiente a fare un distinguo ma non necessaria a coprire una cappellata, a contare che la premier è identitaria anche quando va al cinema e che la Cgil è ancora una mezza fossa dei leoni.

La tana di Landini e il sì di Meloni

Giorgia Meloni al Congresso Cgil

Un rifiuto quindi lardellato dall’assist che la ledaer dem ha offerto ad una kermesse che nasce goliardica e che tale è rimasta in nuce. Perciò vai di cartonato con una Schlein sorridente davanti ad uno degli stand, quello di Gioventù nazionale, da cui un sornione Andrea Piepoli, membro dell’esecutivo di Gioventù nazionale, sfodera un sorriso fatto tutto di canini.

E dice: “Potete chiederle tutto quello che volete, ma non risponderà purtroppo”. E gli altri? Candidi come troll. Giovan Battista Fazzolari: “Non essere qui è un segno di debolezza”. Arianna Meloni: “Faceva meglio a partecipare”. Tommaso Foti: “Non è venuta perché il confronto sarebbe stato impietoso”. Roberto Gualtieri c’era ma lui è Anfitrione e si smarca: “In democrazia ognuno fa come gli pare”.

Massimo Ruspandini si è fatto fotografare dietro un immenso pannello Blue Prussia al centro del quale campeggia il tema-slogan di Atreju 2023: “Bentornato orgoglio italiano”. Il messaggio è chiaro: questa è la manifestazione della pienezza di mandato da premier di Giorgia Meloni, la “madrina” di Atreju, madre, donna e prima capa di destradestra che da Palazzo Chigi duetta e duella col mondo. Ruspandini, che in foto alza il pollice e tiene un braccio sulla spalla griffata di Daniele Maura, viene da quel mondo là. “Come ogni anno da tanti anni… insieme nel nostro Atreju”.

Ruspandini e Maura, la foto dei pionieri

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Ne è stato un precursore quando esserlo significava raschiare sorrisi ai baldanzosi forzisti frusinati. Oggi sono loro che chiamano lui e lui qualche volta magari è tentato di non rispondere, o di sorridere poco. Insomma, la musica è cambiata e la prima che avrebbe dovuto capirlo si chiama Elly e fa la “capa” di un partito che sulla dialettica ci ha costruito tutta la sua mistica.

E prima di essere una dem Schlein era (e pare sia rimasta) una pasionaria di diritti talmente sul pezzo che oggi che ne ha ignorato uno, quello alla diversità di idee senza sfoderare le asce, quella scelta spicca come una cimice su un broccato.

Non è la prima volta che la leader del Pd sbaglia ma questa è la prima in cui il suo errore è stato anticamera della spettacolarizzazione dello stesso. Uno una cappellata la può anche fare, ma deve sempre contare quanti sono gli spettatori della stessa e una media di fruitori secondi a margine che fanno rete. Ecco, dire di no ad Atreju spiegando che il confronto deve essere solo parlamentare e poi sapere che ad Atreju si diventerà ovviamente un leit motiv non è da Tafazzi, è da De Sade fatto a vinello. Anche un po’ per “sabotare benevolmente” starci sarebbe stato giusto.

Come con Draghi e nel nome del Pse

Mario Draghi (Foto via Imagoeconomica)

Magari giusto per dare una virata di acido al taglio del nastro fatto dal responsabile organizzazione Giovanni Donzelli, dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, dal capogruppo al Senato Lucio Malan e dal responsabile del programma e deputato Francesco Filini. Solo poche ore fa la Schlein aveva storto il naso di fronte alla prospettiva di un Mario Draghi in vetta alla catena di comando Ue perché non in riga con la socialdemocrazia. E tutto senza accorgersi che magari con un Supermario da quelle parti la sua “nemica” Meloni forse avrebbe qualche difficoltà in più a gigioneggiare come fa oggi con una disinnescata Ursula von der Leyen.

La sottigliezza che poi così sottile non era lei non l’ha colta e i riformisti del suo partito hanno avuto l’ennesima ulcera. La sensazione è che Schlein ormai parli per spot talmente formattati su una ortodossia che lei deve dimostrare “a prescindere”, come diceva Totò, che alla fine il risultato è sempre una gagliarda ginocchiata a terra. I baracconi, le bancarelle, i venditori e perfino la pista su ghiaccio di Atreju 2023 hanno come sfondo una ex prigione, Castel Sant’Angelo, e le leader dem quello pare.

Prigioniera di quel che la fa sbagliare

PAOLO BORSELLINO

Prigioniera della sua personalità intima talmente tanto da diventare personaggio, esteta del diniego tout court. E far dimenticare che segreteria fa rima con strategia, mai con testardaggine ideologica, almeno se vuoi che valga la rappresentanza del sistema che guidi. Passare sotto quei totem azzurri che scontornano il cammino, Paolo Borsellino, Gabriele D’annunzio, Salvo D’Acquisto, Oriana Fallaci, Grazia Deledda, Norma Cossetto e altri, sarebbe stato un atto di doppia forza.

Di sottrazione di numi tutelari che sono di tutti e non della destra e di addizione di un valore che in politica è sacro. Quello per cui la dialettica accettata non è solo giusta, ma anche e soprattutto furba. Perché se ci sei, in un posto che non è il tuo, alla fine potrai sempre dire di aver sfidato le “tenebre” con la luce del tuo coraggio.

Ma se non ci sei la sola tenebra è quella irridente che ti fa cadere addosso chi ti aveva sfidato ad esserci. E, piaccia o meno, quando quella sfida è arrivata a Giorgia Meloni lei l’ha raccolta. E perfino chi la fischiò alla fine la guardò con un’oncia in più di rispetto. Dandole margine per fare meglio quel che aveva in animo.