La trappola di Giorgia ad Elly: Atreju 2023 come il Congresso Cgil

Inviti di cortesia ed inviti di strategia: quando le due cose coincidono e lo capiscono tutti tranne la leader dei dem, e forse Landini

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Si scrive cortesia e si legge (anche) trappolone. Da un po’ di tempo vanno di moda i siparietti buonisti per cui, in politica casereccia, tra i leader di Partiti e movimenti agli antipodi è tutto un invitarsi. E tanto mieloso-venefico è diventato questo mood che perfino la storica visita di Giorgio Almirante ai funerali di Enrico Berlinguer a giugno del 1984 è retrocessa. A cosa? Alla sua dimensione più umana ed evidente: quella fu cortesia di grana ferrea ma di fronte ad un fatto ineluttabile e massificante come la morte. Perciò non ebbe, non ha e non avrà mai valore di paradigma per i liscioni attuali.

L’ultimo, forse il più spiazzante e quello che aveva funto da innesco per l’intelligenza acutissima di Giorgia Meloni, era stato un invito rivolto proprio a lei. Glielo aveva fatto Maurizio Landini a marzo scorso, in occasione del Congresso della Cgil.

Diamola, una chiave di lettura onesta. Al netto della inappuntabilità formale e del garbo quello fu un petardo sparato in una camera ardente, altro che visita. Una premier, la prima di destra in purezza, che sale sul palco del sindacato più “rosso” da quando esiste la nomenclatura dei colori, è di fatto l’immagine di due cose. Di una politica che suona la melodia figa dell’antagonismo senza inimicizia.

La generazione Atreju e i paladini ciociari

Fabio Tagliaferri

Poi di un contesto politico (la Cgil è un sindacato, ricordiamolo) in cui si tendono trappole. Non solo nella speranza alla boy-scout che chi viene invitato accetti, ma anche con quella, più satanassa, che rifiuti e si metta nella casella degli sgarbati arroccati dietro anacronismi ideologici. Giorgia Meloni, di cui tutto si può dire meno che non sia una con il cervello foliato a lamelle di pugnale, aveva accettato.

E in questi giorni, forte di quel precedente che l’aveva messa nella casella degli sportivi veri, ha restituito il favore, anzi, la trappola. A chi, per cosa e con quale risultato? Lo sappiamo tutti: ad Elly Schlein, per l’edizione 2023 di Atreju e beccandosi un “no” secco e motivato un po’ alla carlona.

Spieghiamo meglio aumentando il focus. Atreju è la kermesse in purezza di Fratelli d’Italia. Quella che aveva lanciato tra gli altri i “cavalieri della tavola rotonda” di Ciociaria e Cassinate. Gente coinvolta o indirettamente ispirata come Massimo Ruspandini, Fabio Tagliaferri ed Angela Abbatecola.

Giorgia che inventa imbuti stretti

Dal 1998 ed in mistica alla Tolkien mette a regime istanze, bollature di identità, protocolli ed intenti della gioventù post-fascista poi sovranista-pop. E’ la festa di Azione Giovani passata festa della Giovane Italia, la inventò Giorgia Meloni. E prende il nome da uno che lottava contro il Nulla della morale perché della Morale aveva una sola idea concepibile. Insomma, Atreju è un imbuto stretto almeno quanto stretto fu il Congresso primaverile del sindacato comunista per antonomasia.

E qui il laccio della trappola si è palesato anche in mezzo al foliage autunnale. Il segreto sta tutto nella prospettiva. Spieghiamola con l’illusione di Muller-Lyer. Ci sono due segmenti delimitati da una freccia, uno con termine a punta e l’altro a freccia capovolta. E i gonzi abituati a guardare le cose nel solo contesto occidentale, dove ad esempio nelle case gli angoli che puntano verso l’esterno sembrano più lontani, dicono che sono di differente lunghezza.

Invece sono eguali e il solo errore è quello di associare una realtà abituale a tutto quello che vediamo. Basterebbe vivere in un contesto dove le case secondo modello urbanistico occidentale non vi siano è la mente si allargherebbe, e con essa lo sguardo. Senza preferire il contesto alla polpa. La morale scientifica? A volte chi vive in una capanna ed in mezzo ad una savana ha più attenzione per i particolari.

L’invito alla Schlein che sa di agguato

Elly Schlein (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Ecco, Meloni sapeva benissimo che per battage (cioè preconcetto) Elly Schlein le avrebbe risposto due cose dopo l’invito ad Atreju. Che il luogo del confronto è solo il Parlamento e che no, nunn’è proprio cosa. Non lo sarebbe perché Atreju è una fucina di cose da cui Schlein è talmente lontana che andarci equivarrebbe a “contaminarsi” invece che a dare prova di salda maturità politica. E’ tutto un problema di prospettive e di campo sgombro da preconcetti e Meloni lo sapeva benissimo che avrebbe vinto comunque, maledetti Muller-Leyer.

Perché di fronte ad un sì lei avrebbe messo Schlein nell’imbarazzo della capopopolo in prova che deve fare la duradurissima e negare collegialità sorniona ad un evento di parte. E di fronte ad un no sempre Meloni potrà invocare la mancanza di democrazia di chi la democrazia la invoca sempre ma la pratica una volta che non la imbarazza. Di quella e del coraggio di starci, in quel posto alieno da quel che sei. E con annessa stoccata riportata da La Stampa: “Bertinotti non aveva timore di venire ad Atreju”.

Di fatto è il delitto perfetto che andrà a corroborare anche le caselle che le due leader dovranno coprire per le Europee 2024. Perché?

La chiave europea delle feste identitarie

Simone Canettieri su Il Foglio ha una sua lettura parzialmente condivisibile. “Dal Pd dicono: se la premier dovesse candidarsi come capolista di Fratelli d’Italia, allora anche la segretaria dem sarebbe pronta a rompere gli indugi. E’ un gioco di specchi perché pure in via della Scrofa fanno all’incirca lo stesso ragionamento. E cioè “se Schlein dovesse correre, sarebbe un motivo in più per Giorgia di fare altrettanto”. Su tutto aleggia poi, almeno per la leader dem, uno spettro di quelli che al Nazareno affiorano da ogni angolo buio senza neanche doverli chiamare a cerchio intorno ad un tavolo.

E’ il poltergeist di Enrico Letta. Cioè di un segretario entrato nella teca di quelli che nel Pd le hanno prese. E che ad Atreju invece ci andò, salvo poi rimangiarsi quella botta di cortesia e rilevare che sì, era stato “un errore”. Letta non aveva la scimmia del massimalismo appollaiata sulla spalla e andò senza remore, salvo poi essere additato da dentro. A questo punto a Meloni non resta altro che tendere un laccio-bis per la metà di dicembre.

Il fantasma di Letta e Landini in elenco

Enrico Letta (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

E magari di stringerlo alla caviglia di chi a sua volta l’aveva invitata: Maurizio Landini. Ed anche in quel caso vincerebbe comunque: perché se Landini non andasse sarebbe uno sgarbo.

E se Landini andasse sarebbe un suggello della chiave di lettura a destra dello sciopero del 17 novembre. Quello per il quale i dem sono in scia ed il segretario della Cgil è stato in punta di polena: con la Uil di Pierpaolo Bombardieri in cassero condiviso e nella burrasca di un Matteo Salvini Kraken come non mai.

Una lettura che andrebbe a frangere a sinistra e giovare a destra: quella per cui nel Pd c’è chi sta al comando e chi comanda per davvero. Zac!!! Trappola scattata, sei al laccio, gonzo.