Cantate ‘Dimonios’ e urlate: per Silvio e tutti quelli di Nassiriya

Il 12 novembre del 2003 persero la vita 28 persone, tra cui 19 italiani, e a 20 anni dalla strage dovremmo risvegliare l'orgoglio buono della Memoria

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“La nostra fedeltà, non la paga il denaro. Andiamo! Diavoli! Avanti, Forza Insieme!”. Cioè Forza Paris in sardo. Rileggiamo bene: “La nostra fedeltà non la paga il denaro”. Ecco, adesso pensiamoci un po’ su, a questa cosa banale ed immensa. Ci sono poche cose al mondo più incazzose, fiere e che fanno alzare dritti i pelucchi sull’avambraccio di “Dimonios”. La variante logudorese in sardo con cui la Brigata Meccanizzata Sassari canta, batte il passo e crepa l’asfalto col tacco degli anfibi è una di quelle cose che ti fa salire il magone dalla pancia fino al pomo d’Adamo.

Da lì è facile che il brivido diventi lacrima repressa o scatto di affetto, e birba chi lo negasse. Non è una fanfara, è l’Iradiddio che ti stana se fai cose ingiuste o se minacci il Tricolore. E non c’è alcuna retorica patriottarda un tanto al chilo nel dirlo, quella non è roba guerrafondaia. Sono solo strofe di ferro salato che, per paradosso, non usano l’italiano per dirti che l’Italia è importante e lo fanno con la lingua di un popolo fiero di cui siamo fieri tutti.

Quadrini ad Anagni ed altri onori

Silvio Olla le ossa se le era fatte lì, con i “Dimonios”. A Silvio, come alle altre vittime di Nassiriya, l’Italia ha dedicato cose: un torneo di calcio, una strada, un monumento, una piazza. E tanti eventi che in questi giorni costellano un Paese talmente affamato di eroi che poi alla fine, quando amaramente li trova, non li fregia dell’Oro al Valore.

Un anno fa ad Anagni, per esempio, un composto ed esordiente Gianluca Quadrini portò il saluto del neo presidente della Provincia di Frosinone Luca di Stefano all’inaugurazione di un monumento dedicato a quei martiri. Un “esordio” di peso e magone in rappresentanza del più giovane d’Italia in quel ruolo.

Non servirebbe, ma facciamolo lo stesso, un recap dell’orrore. Di quelli che ci impongono di ricordare ogni nome ed ogni circostanza, ma non sempre di coltivare una memoria attiva. Cultura e quel che germina da una buona semina hanno una radice comune, non dimentichiamolo mai. A Nassiriya, vent’anni esatti fa, saltarono in aria o furono carbonizzate 28 persone, 19 italiani e 9 iracheni. Le vittime nostre furono Carabinieri, effettivi dell’Esercito e civili.

12 novembre 2003: inferno alla “Maestrale”

La base italiana Maestrale a Nassiriya

Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Andrea Filippa, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi, Alfonso Trincone. E poi: Silvio Olla, Massimo Ficuciello, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferraro, Pietro Petrucci. I civili morti furono il regista Stefano Rolla ed il cooperante internazionale Marco Beci. La base Maestrale dove i nostri erano acquartierati nell’ambito dell’operazione Antica Babilonia, nell’Iraq pazzoide del dopo Saddam, venne parzialmente centrata da un camion cisterna azzurro. Ironia truce della sorte, la parola “azul” con cui oggi indichiamo quel colore in italiano, è di origine araba. Il mezzo era farcito di esplosivo a mollo nel carburante.

Il conducente del camion venne centrato da due raffiche 5.56 in brandeggio rapido dell’appuntato Andrea Filippa, e quell’enorme bomba su gomma non fece in tempo ad esplodere in piazzale. Scoppiò vicino alla carraia sorvegliata ma priva del percorso di dissuasione a zig-zag e con barriere. Perciò l’onda d’urto e le fiamme sparate a 800 km all’ora raggiunsero il deposito munizioni. Fu l’Apocalisse, lo ricordiamo tutti, o dovremmo ricordarlo. La doppia deflagrazione creò una bolla di ossigeno fiammeggiante in consunzione che bruciò tutto: carne, divise, elmetti, farcia di kevlar dei giubbotti, mobili ed infissi.

L’onda d’urto si allargò a demolire ogni struttura tranne lo scheletro di cemento della base. Scheletro nero e fumante, con i carabinieri a cercare di prestare i primi soccorsi e poche urla, perché ci sono inferni che neanche te lo danno, il tempo di urlare. Con la Storia c’è sempre un problema. Nei suoi step di orrore ed impatto emotivo, cioè nella sua forma primordiale e non decantata di cronaca, essa retrocede come un doppler di ambulanza.

La storia che “si affievolisce”

Silvio Olla (Foto: Videolina)

È fortissima quando ci arriva in faccia, pervasiva ma già più bassa quando ci chiediamo perché sia successo, sorda quando le domande hanno trovato le risposte. E quasi muta quando viene digerita dal tempo. A ben vedere si tratta di un meccanismo di protezione, una procedura “buona”, come le fasi di un lutto. Si va di commemorazione, ci si consumano doverosamente le dita con le card solenni sui social. Poi si corre ad inseguire un mondo che va troppo veloce per consentici di vedere le persone dietro gli eroi che abbiamo messo in casella. Silvio, Silvio Olla, ad esempio, non era solo un Diavolo in mimetica.

Era un ragazzone di 32 anni che al grigioverde ci era arrivato per osmosi, vocazione e slancio. In ruolo matricolare del 151mo Reggimento, aveva un padre maresciallo ed un fratello che aveva scelto la “Ferrea Mole”. Francesco Olla era ed è infatti un carrista ed oggi è il generale comandante dell’Esercito in Sardegna. Vite dedicate, vite sudate, a volte vite perse e sperse nella sinfonia ipocrita di una riconoscenza che sappiamo mettere bene su carta o web una volta l’anno, ma che a volte rimane fuori dal nostro cuore.

Come in una cartucciera, noi tiriamo fuori all’occorrenza la nostra lacrima di calendario e piangiamo i nostri morti. Tuttavia ed a volte non li sentiamo veramente come nostri. Non nella pienezza del possesso di ciò che ci hanno lasciato tra i brandelli di quel che hanno dato.

Nessun Oro al Valor Militare

Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica

Se siamo pacifisti li consideriamo vittime inutili di una politica piegata. Se siamo aggressivisti li consideriamo vittime utili per additare un nemico che sposi le nostre ideologie. E se siamo impegnati a vivere senza essere stati congiunti di quei martiri li consideriamo vittime di una Storia che ci dà l’usta su Facebook per essere solennemente “sul pezzo”.

Lo Stato non ci aiuta: nessuno di quei morti, tra quelli in divisa, ebbe l’Oro Militare al Valore. A chi si dà l’Oro al Valor Militare? A “coloro i quali, per compiere un atto di ardimento che avrebbe potuto omettersi senza mancare al dovere ed all’onore, abbiano affrontato scientemente, con insigne coraggio e con felice iniziativa, un grave e manifesto rischio personale in imprese belliche”.

Tradotto: quelli di Nassiriya erano lì e sono morti sì nell’adempimento del dovere ma non in seguito ad una scelta che è andata oltre il dovere.

Sa di fuffa e fa venir voglia di cantare. Cantare “Dimonios” per Silvio e gli altri, a squarciagola. E sputare in faccia ai burocrati ciechi quel verso: “Sà fide nòstra no-là pagat dinàri, ajò, Dimònios! Avanti forza pàris”. Insieme.