Congressi coraggiosi e democrazia “imbalsamata”, FdI tra virtù e trincea

Il partito di Meloni passa dal caso Ruspandini in cui hanno fatto massa critica merito e fedeltà ad altre caselle più "pretoriane" e rigide

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Premiare la fedeltà o scommettere sul nuovo? Il dilemma non è da poco, perché nel primo caso consolidi un sistema di potere ed una rete di pretoriani. Nel secondo lanci la più democratica delle navicelle: quella dell’opportunità. E mediare tra due istanze così importanti non è facile, soprattutto se sei un Partito “campione” di opposizione che poi si ritrova di botto ad essere master di maggioranza. Vale a dire sistema complesso che non può più affidarsi ad ugole etiche e funzionali, ma che deve disegnare trame.

Non c’è nulla di male, a “tramare” in questo senso, sia chiaro: al di là di un certo lessico infido e bizantino, quello che sta accadendo in Fratelli d’Italia è solo paradigma di un modello necessario. Devi navigare nelle acque non più come canotto, ma come corazzata. E per farlo devi mettere reti anti-som attorno allo scafo e battelli subacquei a vista di chiglia, sennò ti affondano. Il “mare” di FdI in questo caso è quello dei congressi territoriali. E che nel loro ambito ci sia stata una doppia rotta è evidente anche a voler prendere solo qualche caso paradigmatico.

La destra che elegge senza incoronare

Massimo Ruspandini

Premessa e concetto ribadito. Fratelli d’Italia insieme a Forza Italia sono stati i Partiti del destracentro che nei Congressi ci hanno creduto davvero, almeno funzionalmente, e che hanno applicato prerogative democratiche piene al loro svolgimento.

Forza Italia ha avviato da novembre i suoi congressi territoriali, ha fatto slittare quelli nel Lazio che si terranno a gennaio. A Frosinone si tratterà di una semplice ratifica della situazione maturata ormai da luglio cioè da quando Rossella Chiusaroli risulta Coordinatore provinciale unico sul sito nazionale del Partito. (Leggi qui: Tajani ed il fortino del Lazio: via all’intergruppo).

E la Lega? Se la sogna, quella “botta” di democrazia empirica. Pulsione a cui in queste ore fanno da contrappunto concettuale le polemiche legate alle (consuete, consuete maledizione) celebrazioni per Acca Larentia.

Partiamo da un caso scuola nostrano, quello del congresso che ha visto eleggere Massimo Ruspandini presidente provinciale a Frosinone del Partito di Giorgia Meloni. In quel caso le due istanze sono andate a massa critica in maniera quasi perfetta.

La sintesi ciociara di Ruspandini

Ruspandini è uno della generazione Atreju, un fedelissimo della premier e rappresentante della “corrente primigenia”. In pratica il politico ceccanese è sia un ultra affidabile, scommettere sul quale è garanzia di blindatura che un elemento di assoluta funzionalità per un Partito che scommette sul futuro. E’ del 1973, quindi è giovane, viene da una gavetta tutta interna al Partito, non è uomo di approdi secondi ed è già parlamentare “di lungo corso”. C’era quando esserci era dura, insomma.

Ruspandini è quindi il perfetto trait d’union tra i territori che FdI governa capillarmente e il governo che di quei territori punta ad essere silloge istituzionale. Ad inizio dicembre un congresso-modello lo aveva eletto presidente di FdI della Provincia di Frosinone ed aveva certificato due linee. La prima, quella cioè per cui nel Partito ci si è contati e si è disegnato un quadro di incastri che arrivasse a sintesi.

Come ti tengo unita la “navicella spaziale”

La seconda, quella per cui in FdI Frosinone è passata una linea rodata da una mostruosa “prova stress”. Di cosa parliamo? Presente l’effetto “burning” di un mezzo spaziale decollato fin oltre la troposfera? Ecco, in quello stato di sollecitazione termica e meccanica estrema è fondamentale che ogni vettore non perda pezzi. E Ruspandini questo ha saputo fare: tenere incollato a se stesso FdI mentre ascendeva da percentuali da prefisso telefonico a quelle semi bulgare di oggi.

In questo caso quindi l’esercizio di una “democrazia furba” ha portato sia al “premio” per un vizio di peso che all’incastro prospettico per il futuro del Partito.

Sempre nella giornata clou del 2 dicembre scorso accadeva un’altra cosa a circa 700 km da Frosinone, in quel di Vercelli. Il Congresso provinciale di lì aveva infatti riconfermato presidente un deputato di nomea arcigna e aduso a dire la sua senza mezzi termini sulle candidature a sindaco del comune capoluogo.

Il caso Vercelli: “Il sindaco lo indico io”

(Foto via Imagoeconomica)

Costui, tal Emanuele Pozzolo, non è solo colui che ex post sarebbe finito in casella fortemente dubitativa per l’episodio della pistola portata al Capodanno nella Pro Loco di Rosazza. Per quella e per il colpo allegramente esploso addosso ad un congiunto della scorta di Andrea Delmastro. No, così sarebbe barare e giocare facile. Molto prima di fare il Richard Widmark della Val Cervo Pozzolo era colui che si era auto nominato collaboratore volontario esterno per decoro urbano e valorizzazione dell’ambiente. Di chi? Del sindaco uscente Andrea Corsaro, che secondo La Stampa “non ha tessere”.

Il deputato aveva “imposto” una candidatura bis di Corsaro per il voto amministrativo di quest’anno senza consultare Lega e Forza Italia. Suscitando malumori prima dell’episodio noto ed una ovvia buriana subito dopo. C’è una morale anche al netto di due casi così agli antipodi? Non proprio, ma una linea di analisi ci sta tutta e quell’usta analitica l’ha seguita anche Luca Roberto su Il Foglio.

La zona grigia tra Massimo ed Emanuele

Gianfranco Fini alla Direzione Nazionale poco prima del famoso ‘Che fai, mi cacci?’ Foto © Daniele Scudieri / Imagoeconomica

Il sunto è che anche al netto di una democrazia funzionale e meticolosamente applicata nei suoi meccanismi formali Fratelli d’Italia è ancora in bilico. Basculante tra una grande stagione “liberal” che arriva a singhiozzo ed una antica tendenza “illiberal” a scommettere più sui giannizzeri da riporto che su quelli bravi davvero. Ed essendo i Congressi i luoghi naturali dove queste due pulsioni vanno a regime i risultati sono ancora incompleti, e a volte drammatici.

Da tempo il “grande padre” della destra post missina, cioè quel Gianfranco Fini che con Pozzolo sta incrociando le lame in questi giorni definendolo un “balengo”, sostiene una cosa.

Che cioè a Fdi serve un’apertura alle “energie migliori del paese”. Ma energie migliori e logica di ricompensa non sono sempre appaiate, anzi, spesso divergono. Ed il “cencellismo” interno di una gran parte dei Fratelli sembra più roba da Balena Bianca che da squali veggenti di una nuova stagione. Roberto spiega che “su 101 congressi già celebrati in questi due mesi, di contese vere e proprie tra più di un solo candidato ce ne sono state solo 13.

Non ancora liberal, semmai “democristiani”

Giovanni Donzelli (Foto: Giuliano Del Gatto © Imagoeconomica)

Poi l’affondo su un altro caso paradigmatico al contrario. “In tutti gli altri casi si è proceduto come a Bologna: dove ha vinto la consigliera comunale Manuela Zuntini. E dove persino il responsabile organizzazione del partito Giovanni Donzelli ha usato dell’ironia nei confronti del sottosegretario Galeazzo Bignami. (quello della famosa foto in divisa nazista – ndr) plenipotenziario in città: ‘E’ stato molto democratico’.

Occhio, se uno come Donzelli, non proprio un frondista nato, fa ironia amara sulla capacità di Fdi di scegliere in punto di democrazia vera allora vuole dire che la democrazia in Fdi è ancora una gradita ma spigolosa new entry. E che il suo effetto migliore, quello della promozione sistemica del nuovo, è ancora eccezione e non regola.

Ma c’è tempo per farlo accadere, tanto ma non tantissimo, e Giorgia Meloni lo sa benissimo, come sa che spesso i ciambellani più fedeli sono anche quelli più imbarazzanti. O comunque farà bene a ricordarselo, perché le formule ibride vanno bene agli esordi, ma poi scadono.