Da De Angelis a Fassino: il casting di Schlein tra ciammelle e gianduiotti

La realpolitik come metodo del Pd che non vuole solo partecipare e i ring che da Lazio e Piemonte bilanceranno scelte esterne

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ciammelle e bagnacauda o se volete gianduiotti, il menu delle ultime ore del Partito Democratico prevede e mette in (s)punta di forchetta entrambe le specialità della casa, anzi delle case. E quelle case là sono la provincia di Frosinone e la città metropolitana di Torino. Scopo? Il “tavolo” è quello delle Europee 2024 e lo scopo dem è quello, dichiarato, di provare a schierare il meglio del meglio che i territori possono offrire, ma non solo quello e non solo in quel senso. Il problema principale della Elly Schlein di questi giorni è il settaggio: cioè la capacità di far scendere in campo uomini e donne che siano due cose. E di farlo entro la deadline del 15 aprile.

Innanzitutto garanzia di ortodossia dem per bilanciare le candidature esterne e forse un po’ troppo controverse che comunque sono in agenda del Nazareno. Poi puntare su uomini talmente tanto rappresentativi delle origini primigenie del Lingotto da fugare qualsiasi dubbio di annacquamento. E spiazzare falchi interni e poiane di fuori.

La società civile che “avvelena i pozzi” dem

Alessandra Todde ed Elly Schlein

Una battaglia difficile per la quale alla segretaria servivano figure granitiche. Figure come Francesco De Angelis per la circoscrizione dell’Italia Centrale e Piero Fassino per quella nord occidentale, che include oltre a Piemonte e Val D’Aosta la cardinale Lombardia. (Leggi qui: «Frank, ti tocca»: il Pd mobilita De Angelis per le Europee).

Sono i giorni delle prove di approccio in punto di decisione, dei contatti, delle mezze ammissioni e dei casting che il Pd sta tenendo su due fronti. Quello della società civile, dove Schlein pesca figure più divisive che collanti, poi quello della politica in purezza.

Dove quindi la Segretaria spera di trovare colla abbastanza forte da tenere attaccate al Partito anche le scelte “foreste”. Scelte come quelle di Cecilia Strada, Lucia Annunziata e Marco Tarquinio, tutti belli che però non potrebbero ballare o che potrebbero far ballare più i bonacciniani, di gioia fantozziana magari. Perciò servono persone forti del Partito e nel Partito.

Cosa serve ad Elly e perché Frank ce l’ha

Francesco De Angelis

Persone come Francesco De Angelis da Ripi, Ciociaria, ad esempio. Lui è tutto quello che un Pd bisognoso di identiarismo potrebbe desiderare oggi. Ha benedetto tra le altre cose la difficile Pax (tregua) Verolana, quelle che per le amministrative di giugno ha portato i dem locali in dote ad una coalizione larghissima dopo un lungo interludio di match intestini. Non è un esempio costretto nel localismo, ma un caso-scuola. Un paradigma per spiegare che nel Lazio e per l’Italia centrale in chiave voto Ue di giugno serve gente come lui, come De Angelis.

Catalizzatori, portatori sani di decine di migliaia di voti e graditi ai sistemi decisori dei partiti. E soprattutto capaci di spezzare le messi elettorali degli altri con il loro carisma al punto tale da lasciare impronte digitali di vittoria anche sulle (possibili) vittorie collegiali del civismo camuffato.

E nelle altre province laziali? Al di là dei nomi circolati in queste ore c’è una considerazione da fare: storicamente il Lazio elegge. E se i numeri sono quelli dei sondaggi, gli eletti Dem nella circoscrizione del Centro Italia dovrebbero essere 4 più eventualmente ciò che decide la roulette dei resti. E Francesco De Angelis – se verrà schierato – sarebbe il candidato della Federazione Regionale: perché è il presidente Pd del Lazio, perché la sua candidatura è stata proposta dal Segretario Daniele Leodori, perché è stato fatto un passaggio nel Gruppo e tutti si sono detti pronti a fare la loro parte.

Una “cicogna” saggia targata Ds

La vera partita però è quella di mettere in campo un Lazio forte e non più lacerato dalla guerra interna tra le correnti, stabilizzato dallo scorso Congresso. Capace di eleggere a Bruxelles andando oltre.

Dopotutto Elly Schlein ha bisogno anche di una spolverata di pluralismo benevolo, per andare a meta. Lei sarà candidata e come molti altri big “imbroglierà” gli elettori con il suo nome e malgrado il dato per cui non metterà mai piede a Bruxelles-Strasburgo. Perciò sui territori le servono personaggi ecumenici o totem dell’anima dem in purezza.

Piero Fassino © Imagoeconomica, Paolo Lo Debole

Totem come la “cicogna” Piero Fassino da Avigliana, che potrebbe risolverle molti problemi nel cruciale Piemonte e nella fondamentale circoscrizione Italia Nord Ovest. Perché? Perché lì a giugno si voterà negli stessi giorni, sia per le Regionali che per le Europee e lì serve un tipo particolare di candidato. Uno che sappia rappresentare sia le contrapposizioni insanabili con il M5s che equalizzare le anime interne del partito con la sua veste di “padre fondatore”.

Fassino è tutto questo e un po’ di più: è stato ultimo segretario del Ds, quindi compagnocompagno, poi ha ricoperto incarichi apicali di governo ed in Ue. In più il 74enne torinese è nemesi storica del Movimento Cinquestelle che in Piemonte sarà avversario certificato del Pd. Insomma, la Schlein stavolta più che su un timido campo largo punta su una divaricazione certificata. E visto che divaricazione dovrà essere tanto vale prendere il forcipe più forte di tutti.

Il sindaco di Torino Chiara Appendino con il premier Giuseppe Conte Foto © Filippo Attili / Imagoeconomica

Cioè l’ultimo sindaco di Torino prima dell’era Appendino. Pare che lo stesso Fassino abbia ammesso contatti, lo riporta Il Foglio con Canettieri. “Elly mi ha sondato. Mi ha chiesto se me la sento di correre alle europee”.

La realpolitik per smettere di partecipare

Roba di realpolitik insomma, che potrebbe fare massa e messe per battere Alberto Cirio e magari consrgnare al Nazareno un uomo forte da contrapporre ai nomi-corazzata che lo schieramento avversario ha in giglia, specie dalla Lombardia.

Un po’ come De Angelis, che 750 chilometri più giù potrebbe andare in tandem di ferro con Nicola Zingaretti. E creare un’accoppiata di jolly che andrebbe a vorace ricerca di consenso in un settore cruciale per il voto.

Magari e per una volta per vincere invece che correre. E per sconfessare la mistica tutta dem di una partecipazione decoubertiniana che poi lascia solo due cose a residuo: amaro in bocca ed analisi contorte.

Perciò si andrà di ciammella a gianduiotto, la colazione dei campioni prima della corsa più importante dell’anno. Quella che o la vinci o saluti.