Il recap settembrino di Elly: che è l’elogio della contraddizione

C'è quantomeno un po' di confusione in un Pd che continua a perdere pezzi e non fa tesoro del modello generato nel Lazio. Ed i fatti delle ultime ore non fanno che confermarlo

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Tutto sommato vivere una contraddizione con costanza, applicazione e serenità è una dote, e bisogna ammettere che Elly Schlein questa dote ce l’ha tutta. La Segretaria dei Dem non è impunita nel perseverare nella stessa contraddizione, né la si può definire incapace di coglierla dato che è intelligentissima. No, Elly Schlein è soltanto la dimostrazione che quando si deve subire la storia invece di farla la sola via è mettersi il vestito buono della impermeabilità alle nostre stesse incoerenze. Indossarlo e camminare dritti, a testa alta, come se nulla ci fosse di intestabile alla nostra condotta.

Premessa doverosa: Elly Schlein è solo l’ennesima vittima della più collaudata delle trappole del Nazareno, il laccio supremo dai tempi del Lingotto. E’ quello per cui chiunque abbia le redini del Partito più strutturato d’Italia tiene a briglia un tiro a otto con cavalli addestrati al tiro a due, quando non a correre solisolissimi. E come in Full Metal Jacket, dove un ufficiale orso cazzia il marine di turno perché sull’elmetto ha la scritta “Nato per uccidere” assieme al simbolo della pace. Contraddizioni insomma, di forma e a volte di merito.

E’ giunto il momento di copiare il Lazio

Francesco De Angelis e Daniele Leodori

Tanto di merito che alla fine in Liguria dal Pd se ne vanno in 32, mica tre, leggasi “trentadue”. Il correntismo, che del Partito democratico è croce e delizia, alla lunga finisce per logorare ogni tentativo di omogenizzazione. Ed ecco quindi che gli intenti primigeni di essere guida di un blocco dialettico ma coeso se ne vanno in vacca. Ci sono posti, contesti e territori dove questa tara originaria è stata messa a briglia meglio.

Posti come il Lazio. Lì il Segretario regionale Daniele Leodori ed il Presidente Francesco De Angelis stanno facendo una cosa che sta a metà tra “mirabilia” e salti mortali senza rete di protezione. Il Partito nel Lazio è stato indirizzato su un pluralismo produttivo che ha portato ad un Congresso regionale con un Segretario condiviso da tutti ma eletto senza un listone unitario bensì con una conta vera e fino all’ultimo voto. Disegnando i nuovi equilibri senza generare lacerazioni.

Il segretario provinciale Luca Fantini ha pigiato il tasto reset sui quadri di comando della Segreteria Provinciale: e lì ha messo a nudo la contraddizione. Identica a quella di Elly. Perché Luca Fantini ha resettato la Segreteria partendo dal presupposto che non fosse più rappresentativa della nuova realtà emersa dal Congresso regionale. E così era. Perché quel gruppo dirigente era figlio della contrapposizione De Angelis / Pompeo. Mentre ora la componente maggioritaria Pensare Democratico ha dato origine alla super componente Rete Democratica. E l’area Pompeo ha generato una nuova componente alleandosi con l’ex deputato Nazzareno Pilozzi e con il dirigente nazionale Danilo Grossi.

A loro compete l’indicazione del vice Segretario nella nuova Segreteria. Ma da mesi non trovano una quadra. Perché ognuno era convinto che gli altri avrebbero fatto da gregari. Vivendo così la contraddizione del loro stesso manifesto.

Il segnale della Festa

La Festa dell’Unità a Veroli

Ma quel reset e quel nuovo modello nato dal Lazio dicono che e qualcosa si sta muovendo. A Veroli è tornata la Festa dell’Unità ed i dem ernici hanno visto la presenza di Nicola Zingaretti al fianco di Daniele Leodori. Di più: sono venuti in macchina insieme. Il che indica due segnali. Il primo: tra Zingaretti e Leodori c’è una ritrovata sintonia. Il secondo: tra entrambi e lo zoccolo duro frusinate di Rete Democratica il dialogo regge, l’architettura messa su con il Congresso regionale ancora tiene. E sui temi in agenda ci si dovrà accapigliare in dialettica ma non dividere in condotta.

Qualche giorno fa Nicola Zingaretti era stato alla Festa dell’Unità proprio a Veroli ed aveva messo in graticola i “mali” del destra centro, accusandolo di aver definanziato 16 miliardi di opere pubbliche dai fondi del Pnrr. Poi Zingaretti si era materializzato ad un’altra festa dell’Unità, quella nazionale a Ravenna. Lì, secondo alcuni, si sarebbe fatto scappare un “fuori onda” molto esplicito riportato da Il Foglio: “Con questa alle europee non arriviamo manco al 17 per cento”. Altro che modello Lazio, quello resta in valore ma tra attacco al Job’s Act e ossimori strategici grande è la confusione sott il cielo dem.

Non è roba semplice, ma è roba fattibile, a volerla fare. Ovviamente a livello di sistemi complessi nazionali la faccenda è più difficile, ma l’impressione vigorosa è che Elly Schlein neanche ci stia provando, ad equalizzare. Con un Paolo Cirino Pomicino che in questa ore l’ha ribattezzata “movimentista da ammiuna”. La riprova ultima ma solo in ordine di tempo? Parte tutto da un assunto: siamo sicuri che basti copiare Olaf Scholz per avere una rotta certa in materia di politica Nato?

“Facciamo come Olaf”, lui ha capito tutto

Olaf Scholz (Foto © Steffen Prößdorf)

Spieghiamola meglio. La leader dem si è detta in perfetto accordo ed armonia (non armocromia, Scholz veste bigio) con il cancelliere tedesco. Su cosa? Sul rinvio di cinque anni dell’obiettivo 2% del Pil per le spese militari. Chiariamola: la Ue da tempo spinge per seguire un vecchio rovello atlantico, che è quello per cui nel tempo tutti i Paesi dovranno destinare non meno del 2% del Bilancio alle spese militari. Non è (solo) roba guerrafondaia che punta ad emulare lo stratosferico budget di Zio Sam-Joe Biden.

Si tratta di una scelta dolorosa che tende ad omologarsi alla nuova ed irrequieta geopolitica di un mondo in cui i conflitti sono tornati ad essere risolutivi. E vede un’Europa sempre più arbitra del proprio destino bellico, affrancata dagli arsenali dello Zio Sam. Con i conflitti empiricamente utilizzabili come strumenti di risoluzione di controversie.

L’attacco di Mosca a Kiev è la punta di un iceberg che per troppo tempo ha trascurato altri scenari e qualcosa va fatto. Questa è una posizione però, una linea, ed è nel novero delle cose legittime e sacre avversarla.

Tuttavia se non lo si fa con coerenza finisce che chi sceglie due scarpe diverse con piedi attaccati allo stesso bacino va in contraddizione. E qui, qui ed in questo, Elly Schlein è campionessa mondiale, senza tema di smentite. Come la pensi – e come si suppone la debba pensare il “suo” Partito – Schlein lo aveva già detto da un posto di cui forse le è sfuggito il simbolismo: la Svizzera. Lì lei ci è nata ma pare non al punto da assorbire la mistica del luogo, non tutta almeno.

Sbornie etiche e controsensi pratici: la vecchia croce

Elly Schlein (Foto: Andrea Calandra © Imagoeconomica)

Nel Paese per antonomasia della guerra ricusata la segretaria ha fatto il carpiato più ardito dai tempi di Greg Louganis. Ed al congresso del Partito socialista svizzero, Schlein aveva perfezionato la sua contraddizione. Da un lato infatti ha sottolineato che “siamo in un momento storico in cui vediamo troppi pericolosi rigurgiti di nazionalismo e negazionismo della storia”.

La sbornia etica non è mai stata di per sé cosa malvagia, ci mancherebbe, è come la contrappunti che poi guasta tutto. E ancora: “Questo con pensieri che possiamo ancora definire fascisti”. Uno dei temi chiave era appunto l’Ucraina: “Siamo fortemente al fianco del popolo ucraino che ha subito l’aggressione russa. Non può esserci equidistanza su questo e il Pd continua a dare pieno supporto a ogni forma necessaria per l’autodifesa del popolo ucraino rispetto all’aggressione russa. Al contempo vogliamo vedere un ruolo più forte, diplomatico e politico, dell’Europa per far finire questo conflitto con una pace giusta per il popolo ucraino”.

Tutto bene ma non benissimo. Come si fa a sostenere la necessità (condivisibile) di aiutare militarmente un Paese con supercazzole dialettiche? Come è possibile farlo con ghirigori lessicali che non dicono mai la parola “guerra” se poi alla stessa neghi il foraggio che le serve in punto di giustezza? Recap: Schlein non vuole che l’Italia metta più soldi nelle spese militari ma al tempo stesso vuole un’Italia che destini quelle spese a sostegno della causa ucraina.

L’agenda: moglie ubriaca e botte piena

Stefano Bonaccini

Senza cadere nel trappolone sillogico Schlein sembra volere la moglie ubriaca (sì alla linea Scholz ed al pacifismo di vernice) e la botte piena (sì all’integrità del partito nella linea atlantica con il bellicismo di necessità). E’ roba da Circo Orfei, roba che Philippe Petit scansati. E soprattutto è un pericoloso gioco ad esporre i dem alla madre di tutte le critiche. Quella due binari per cui Schlein è debole perché non rappresenta tutti i dem ed è debole perché non rappresenta una linea univoca e coerente.

E’ grasso che cola sul capoccione glabro di Stefano Bonaccini come gli olii sacri dei sacerdoti di Amon in Egitto. Ed è una perenne spada di Damocle sulla spendibilità di una leader che tra Scilla e Cariddi sceglie sempre il mare in mezzo, rischiando di annegarci. Tutto questo perché Schlein non fa nulla per dare omogeneità alla sua comunicazione, perciò alterna quegli scivoloni a “spiegoni etici” di grana grossa che in quel contesto espositivo risaltano come uno scarafaggio si una torta alla panna.

Lo fanno perché sembrano suggerire il tentativo affannoso di buttarla in caciara per distogliere chi ti ascolta dalle tue contraddizioni. La riprova? Sta tutta in pochi righi che sarebbero stati splendidi se non fossero ammalati di retorica compensativa un tanto al chilo. Come fai per dribblare un sospetto di cazzeggio? Additando un pericolo, anzi, Il Pericolo. “I nazionalisti nella loro retorica di odio scelgono un nemico al giorno che sono le persone diverse: la donna troppo emancipata, la comunità Lgbt, i migranti e oggi anche gli ecologisti.

Falasca disegna il “quadro perfetto”

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

E vai di appello: “Noi dobbiamo batterci insieme perché quella retorica di odio portata agli estremi mette i nazionalisti uno contro l’altro dalle opposte parti dei muri che vogliono costruire. Basta vedere il fallimento di Meloni nel tentativo di mediare coi i suoi alleati nazionalisti polacchi e ungheresi…”.

Il vicesegretario di +Europa Piercamillo Falasca l’aveva twittata meglio: “A un anno e mezzo dalla prima guerra d’aggressione sul suolo europeo, nel pieno di un ‘congelamento’ dei rapporti occidentali con la Cina”. E poi “con un colpo di stato nell’Africa subsahariana capace di destabilizzare il Mediterraneo più di quanto non lo sia già , la segretaria del PD propone di rinviare l’impegno di portare la spesa militare italiana al 2% del PIL”.

La summa è quasi banale ed essere in disaccordo è legittimo ma difficile: “Questo significa non aver capito molto del mondo in cui viviamo. ‘Lo sta facendo anche la Germania’ non è una motivazione accettabile, perché la miopia altrui non va presa ad esempio. Perché noi non siamo la Germania, e perché le nostre scelte strategiche vanno adattate alla nostra complessa posizione geografica. Ma la strategia di Elly Schlein è un’altra, è quella del suo recap svizzero.

E’ quella per cui spiegare tutto e lodare quello che il tutto lo nega ci fa apparire sul pezzo. Pronti con le risposte ad ogni domanda, ma senza mai mettere ogni “grano” a rosario unico. Perché nel Pd ognuno prega nella sua chiesa, alla faccia del Papa.