La bolletta bomba che rischia di ammazzare mezzo milione di posti

Rincari fino al 250% in arrivo. Si aggiungono a quelli registrati per tutto il 2021. Si spalmeranno su tutto: perché tutto si estrare o si lavora con l'elettricità. Mezzo milione di posti a rischio. Dove. Ed in quanto tempo. Gli esempi Saxa: ordini 2022 raddoppiati rispetto al fatturato '21. Ma non conviene. Così pure a Sassuolo, Modena, Murano, Lumezzane, Lucca, Padova e non solo. Colpa di scelte sbagliate

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Le ultime a spegnere sono state le aziende del gruppo Saxa Gres: insieme alla capofila di Anagni hanno sospeso l’attività la Grestone di Roccasecca e la Tagina di Gualdo Tadino. Prima di loro avevano fermato i forni centinaia di altre aziende in tutta l’Italia: messe in ginocchio dall’esplosione dei costi del gas. Che sta investendo un comparto nel quale lavora mezzo milione di addetti.

Sei mesi di cassa

Uno dei forni per la ceramica

A fine 2021 l’ufficio Studi della Cgia di Mestre ha stimato che tra gennaio e giugno 2022 ci saranno nuovi aumenti sul prezzo del gas. Impennate fino a due volte e mezzo il prezzo di oggi: uno stabilimento che spendeva 100mila euro di gas in un mese si troverà a pagarne 350mila.

Aumenti che vanno ad aggiungersi a tutti quelli già registrati nel secondo semestre 2021. E che una alla volta, stanno portando a fermare la produzione nei comparti del vetro, della carta, della ceramica, del cemento, dell’acciaio, fino alla plastica.

Poco alla volta quegli aumenti li vedremo spalmati su tutto: compresi pane e latte, perché senza corrente elettrica né le impastatrici né le mungitrici funzionano. “Questa esplosione dei prezzi colpisce indistintamente tutte le attività“, scrive in modo chiaro Cgia.

Chi ha provato a resistere, nei secondi 6 mesi del 2021 ha visto dissolversi i guadagni fatti nei primi 6 mesi. Poi a fine anno ha deciso di fermarsi: perché la nuova ondata di rincari porterebbe a produrre in perdita. Meglio fermare la produzione, almeno fino a quando non cesserà la grande speculazione. Senza politiche serie e di comparto rischiano di volerci almeno sei mesi.

Le capitali della bolletta

Uno dei piazzali Saxa Gres

Hanno già iniziato a spegnere nei distretti produttivi di Sassuolo e Civita Castellana (Ceramiche), Murano (vetro); Lucca-Capannori (Cartario); Treviso, Vicenza e Padova (materie plastiche); Brescia-Lumezzane (lavorazione dei metalli); Mantova e Lecco (metalmeccanico) e Padova (Termomeccanica).

A Modena nel primo semestre 2021 il comparto della ceramica aveva registrato una crescita oltre ogni aspettative. La stessa crescita dei volumi è stata registrata in provincia di Frosinone sia ad Anagni che a Roccasecca: al punto che gli ordini 2022 sono il doppio del fatturato 2021. (Leggi qui E noi… ve lo avevamo detto).

La sintesi del dramma sta nelle cifre del preconsuntivo 2021 elaborato da Prometeia: società italiana di consulenza, sviluppo software e ricerca economica per banche, assicurazioni e imprese. È specializzata nei servizi per il risk management, wealth management, asset management e nella consulenza finanziaria. Ha sedi a Milano e Bologna, conta oltre 900 professionisti nel mondo.

L’analisi Prometeia dice che l’industria italiana delle piastrelle di ceramica nel 2021 ha avuto volumi di vendite intorno ai 458 milioni di metri quadrati (+12% rispetto al 2019); all’estero sono andati 367 milioni di metri quadrati (+13%); in Italia sono stati piazzati più di 91 milioni di metri quadrati (+9%). Sfogliando i numeri dell’export c’è l’esatto spaccato della situazione registrata dal Gruppo Saxa: la crescita su tutti i principali mercati esteri a partire da Usa, Germania, Belgio, Austria.

Tutto questo ce lo siamo mangiati in pochi mesi. Nulla lo spiega meglio delle parole pronunciate dal presidente di Confindustria Ceramica Giovanni Savorani. In questi giorni ha evidenziato che «La bolletta energetica dell’industria ceramica italiana era di 250 milioni di euro. A seguito di aumenti nell’ordine del 400%, oggi si approssima al miliardo. Una esplosione di costi che, anche in presenza di aumenti nei listini, non appare sostenibile».

Le scelte sbagliate

Foto Ceramica Flaminia / Imagoeconomica

Non è solo la speculazione internazionale ad avere messo a rischio in pochi mesi ben mezzo milione di posti di lavoro. Ci sono scelte politiche non fatte e scelte sbagliate.

La prima: abbiamo smesso di attingere dai nostri giacimenti di gas. ma non hanno smesso di farlo i Paesi confinanti. In pratica il gas che stiamo lasciando noi se lo stanno prendendo loro. Tanto per mettere due numeri: nel 1995 l’Italia estraeva più di 20 miliardi di metri cubi di gas, mentre oggi ne estrae appena 4 miliardi. Lasciando tutto ai confinanti che condividono con noi i giacimenti.

Per Cgia «è stata fallimentare la politica di approvvigionamento del gas naturale. Ha mostrato molti limiti, facendo schizzare i prezzi di oltre sei volte rispetto ai primi mesi di quest’anno».

Poi  c’è la questione dell’acquisto delle quote di emissione di CO2. In pratica, se la mia fabbrica emette CO2 nell’aria deve pagare, oppure comprare quote di ‘aria pulita‘ da chi è talmente virtuoso da avere abbassato così tanto i suoi livelli inquinanti da poter vendere una parte della suo virtuosità. Il prezzo di quei ceritificati è quadruplicato negli ultimi mesi: per almeno il 40% va ad incidere sul costo dell’energia.

La legge è stata fatta per indurre ad inquinare meno. Perché non lo fanno? Perché da noi la norma è talmente farraginosa che passano anche due anni prima di avere una risposta ai loro progetti e ci sono aziende che di anni ne hanno attesi cinque.

Non si sa chi riaccende

Foto Sergio Oliverio © Imagoeconomica

Per ora è così. Il forno si spegne. Il rischio è che non si riaccenda: perché quelle quote di mercato poco alla volta vanno all’estero. Li non lo hanno il problema dell’energia? Meno di noi: la Germania ha così tanta produzione da potersi permnettere di spegnere 3 centrali nucleari; la Francia non ha votato il referendum proposto in Italia dai Verdi e così non ha spento le centrali atomiche, anzi le ha messe al confine con l’Italia e ci vende l’energia; in Turchia e Cina non vanno molto per il sottile.

Nel Lazio ed In provincia di Frosinone non si riesce nemmeno a fare ciò che da Firenze in su è la normalità: invece di interrare i rifiuti ci ricavano gas bio ed elettricità. Trasformando i rifiuti in risorsa ed abbattendo la bolletta.

Almeno non si dica che nessuno è colpevole.