Mattarella, l’asse Roma-Berlino e la Germania dei “conti truccati”

Per il professor Pozzi Berlino non è più locomotiva e per Ottaviani le accuse della Corte dei Conti tedesca sono state sottodimensionate dai media. Ed il territorio delle province di Frosinone e Latina pagherà dazio

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Per lui il trattato di Dublino è roba vecchia e inapplicabile. Anzi, per definire quel patto europeo Sergio Mattarella ha dribblato il suo proverbiale self-control ed ha usato un termine molto più diretto: “preistoria”. Il sunto è che considerare quel trattato come la Magna Carta su cui imbastire una politica seria e condivisa in tema di migranti è anacronistico. Un po’ come viaggiare su carrozze trainate da cavalli in un mondo che spedisce sonde su Marte.

Il Presidente della Repubblica non ha scelto a caso il contesto istituzionale da cui lanciare questo monito: lo ha fatto in occasione dell’incontro stampa congiunto con l’omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier. Cioè con il presidente di un Paese che sta nel novero di quelli che in tema di migrazioni hanno gli stessi problemi italiani ma con un range di impatto diminuito 10 volte. Lo è per ovvie questioni geografiche che vedono la Germania non certo Paese di frontiera europea. E lo è anche per una serie di questioni economico-politiche che vanno ben oltre la mistica di questi giorni sul tema migranti.

Il tentativo all’Onu di Meloni

Ed è una mistica che vede il governo Meloni cercare di equalizzare la sua polpa identitaria con la necessità di trovare soluzioni vere, condivise e sinceramente collegiali. Roba difficile, per la quale la premier ha messo le cose in chiaro all’Onu.

C’è un dato di partenza da cui non si può prescindere, senza cadere nel trappolone delle partigianerie politiche e delle necessità di bottega dettate dalle Europee 2024. Sui migranti ci sono Paesi che accusano il colpo e Paesi che solidarizzano con chi accusa il colpo, ma che sembrano aver fatto dell’empatia concettuale la sola risposta ad un problema che presuppone strategie comuni.

L’Italia ha i lividi e gli imbarazzi di gestire una faccenda che le urtica l’esistenza. E la Germania, e non solo essa, ha la pomata di circostanza di chi ha noie di ritorno. Il discorso è più ampio e non riguarda solo i migranti, ma Sergio Mattarella è figura di rappresentanza e più che disegnare improbabili scenari deamicisiani non può.

Le parole del Capo dello Stato

“Abbiamo entrambi la percezione che è un fenomeno epocale globale, che va governato con visione del futuro. Non con provvedimenti improvvisati o tampone che risolvono qualche occasione temporanea. Ma che esaminino e affrontino il problema con una visione del futuro coraggiosa e nuova rispetto ad un fenomeno così grande. Ma su questo l’operatività è rimessa ai Governi, non è rimessa né al Presidente Steinmeier né a me.

Insomma, in questo caso essere Pilato non è da ipocriti perché le leggi le fanno altri e le soluzioni il Colle le può solo invocare. Del tema “stanno discutendo i ministri dell’Interno di Roma e Berlino e sono sicuro che troveranno certamente una soluzione collaborativa, come è sempre avvenuto e come avviene abitualmente tra Germania e Italia”.

Berlino locomotiva che però non tira più

Quella che serve è una “omogeneità di valutazione del fenomeno migratorio che non colpisce soltanto l’Italia, colpisce anche la Germania con altre rotte che non attraversano il Mediterraneo ma l’Europa continentale e altre parti del mondo”. In altri tempi e contesti avremmo chiosato con il più sardonico dei “e qui casca l’asino” ma forse non è il caso.

E’ certamente il caso però di affrontare una disamina più ampia. Facendolo però con uno scenario più ampio e partendo dall’assunto che la Germania sia la “locomotiva” dell’Ue, cioè quel paese un po’ tiranneggiante ma grazie al quale i destini politici, economici e finanziari dell’Europa sono sempre andati a traino di una solidità basica che faceva comodo a tutti.

Olaf Scholz (Foto © Steffen Prößdorf)

Se quindi Berlino ha il giusto focus sul tema migranti come lo ha avuto sulle politiche economiche allora alla fine una soluzione benedetta da Ursula von der Leyen la si troverà. Non fa una grinza, anzi, non la faceva fino al 2017. Cioè fino all’anno nel quale la bilancia commerciale europea era in attivo e i meccanismi economici riconducevano alla mistica di un consesso di Nazioni che aveva il suo bel peso.

Un gruppo con presunzioni di omogeneità, sacche eterogenee da sanare ma intenti chiari e produttivi. Ecco, non è più così e non lo è da molto prima che i moventi di Covid e guerra in Ucraina mettessero toppa gagliarda ad un affanno economico di sistema in cerca di provvidenziali maniglie storiche. In realtà non era un dato così sconosciuto ma come accade nelle cose su cui la polvere si deposita impalpabile ma inesorabile la cosa era stata retrocessa a notizia da specialisti.

L’analisi del professor Pozzi: impietosa

Cesare Pozzi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Ci ha pensato il professor Cesare Pozzi, docente di Economia dell’Impresa alla Luiss di Roma, a togliere il velo. Lo ha fatto nel corso della prima puntata del nuovo ciclo della trasmissione A Porte aperte su Teleuniverso. Si parlava di economia d’impresa in provincia di Frosinone, del “Cigno Nero che genera emorragie ed esodi in un settore vitale e di possibili soluzioni. Di quello e del recinto Zes che non riguarderà queste terre. Ma così com’è in fase di approvazione nel Parlamento crerà molti danni. Perché Campania, Abruzzo e Molise avranno gli sconti per le nuove imprese previsti dai benefici Zes; nel Lazio ci sarà Roma che prenderà gli investimenti per Expo e Giubile. E Frosinone con Latina? (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di venerdì 22 settembre 2023).

L’accademico ha spiegato che la visione dev’essere molto più sistemica e sovra territoriale. Poi ha ricordato che l’Europa non “tira” più dal 2017. E che questo gap tra ciò che ancora si crede che essa sia e ciò che ci è diventata sotto gli occhi è esattamente il posto dove fanno il nido molti dei problemi insorti in questi anni.

Il nodo al fazzoletto di Ottaviani

Nicola Ottaviani

Pozzi era ospite assieme all’ex rettore dell’Università di Cassino Paolo Vigo, all’ex presidente della Pisana Piero Marrazzo ed al deputato della Lega Nicola Ottaviani. E proprio l’ex sindaco di Frosinone, oggi membro della Commissione Bilancio, ha voluto ricordare una cosa. E si tratta di un dato sul quale il mainstream ed i media sembrano aver impalcato una strategia della sordina che non fa bene al contesto.

Né a quello e men che mai alla possibilità di avviare strategie concrete di risoluzione dei problemi. Il dato è che la Germania ha truccato i suoi conti economici. E che oggi Paesi come l’Italia che vedono in Berlino un interlocutore di peso nella bilancia strategica europea stanno agendo con termini di raffronto tossici perché fondanti sull’assunto che la Germania abbia i conti in regola e sia florido sorvegliante di chi invece sui conti vuole deroghe.

Primi della classe ma col registro truccato

Come per esempio l’Italia di Meloni che sta per giocarsi la briscola nera della cessazione del congelamento del Patto di Stabilità. Mettiamola meglio: c’è Roma che sui migranti chiede collegialità di intenti e che sull’economia ha sacche di sviluppo frenate da burocrazia e lungaggini. Sacche come la Ciociaria ed il Cassinate, ad esempio. C’è poi Berlino che è capofila patentato di una linea operativa per cui gli interessi di Roma sono sempre “sub iudice” dei primi della calsse.

E poi c’è un primo della classe che per essere tale ha truccato i registri ed ha avuto anche il dono di un’informazione sonnifera su un tema cruciale. Chi lo dice che la Germania ha truccato i suoi conti? L’organismo che di conti vive, vale a dire la Corte dei Conti tedesca.

In primavera Christian Lindner, ministro delle Finanze tedesco tuonava al Consiglio Ecofin di Lussemburgo: “Se si vuole mantenere stabile l’euro e il mercato unico, se si vuole rimanere competitivi servono regole fiscali che stabilizzino le finanze pubbliche. La Berlino rigorista era al top della sua forma muscolare e tutto sembrava indicare che se dalle parti della Porta di Brandenburgo arrivavano consigli conveniva seguirli perché lì c’era gente di piglio contabile specchiato.

Come ti spalmo il debito per nasconderlo

Solo un mese e mezzo fa invece c’era stato il botto. La Corte dei Conti tedesca (Bundesrechnungshof) aveva accusato il governo di Olaf Scholz di aver nascosto le reali condizioni finanziarie del Paese. Come? Con il trasferimento illegittimo di “impegni finanziari pluriennali in veicoli finanziari speciali (Sondervermoegen). Ossia all’interno di società create con il preciso scopo di redistribuire una massa di crediti tra un’ampia gamma di investitori”.

Un’azione per spalmare debito e dissimularne la massa critica insomma, e soprattutto “una mossa in totale contrasto con le regole europee”. I giudici tedeschi sono del parere che quei fondi vadano contabilizzati nelle finanze pubbliche. Quantifichiamo: si parla di 869 miliardi di euro.

Quale è o dovrebbe essere il sunto della faccenda? Quello blando in dialettica ma certissimo ed empirico in economia per cui l’Europa oggi è molto di meno di un sistema complesso sano in cui i “figliastri” come l’Italia devono essere rimessi in riga.

Sentinelle e sorvegliati: è tutto sbagliato

Ed è molto di più di un consesso di nazioni in cui le “migliori” si fanno sentinelle delle “peggiori” ed utilizzano il ruolo per scaricare i problemi solo sul “ventre molle” dell’Ue.

Giorgia Meloni

L’Europa è un posto dove la Germania conta meno e l’Italia vuole contare molto di più. E dove le aspirazioni della seconda e la consapevolezza della prima dovrebbero essere equalizzate da un nuovo contesto. Su ogni tema e per ogni pagina delle agende politiche degli stati.

E magari con un’agenda unica che riparta dalle nuove forze in campo. Senza trucchi. E senza costringere Mattarella a parlare di obiettivi comuni più come aspirazione che come realtà.