Minniti rallenta ma non frena, Zingaretti accelera a Torino

L'ex ministro Marco Minniti ritarda ancora l'annuncio della sua candidatura. Cosa c'è dietro. Nicola Zingaretti prosegue il suo tour. E da Torino dice che nel suo Pd c'è spazio per Renzi. La necessità di rinnovamento.

Marco Minniti rallenta. Ma non frena. L’annuncio della sua candidatura a Segretario nazionale del Partito Democratico ancora non arriva. Non si fida. Non ha chiaro in mente il vero disegno di Matteo Renzi. È per questo che tarda nel dare l’annuncio di una scelta che già ha fatto.

La prima data era quella della presentazione del suo libro a Roma (leggi qui Minniti: «Io candidato? Un passo alla volta». Ma Gianni Letta lo brucia). Ma quel giorno si è limitato a citare Hegel e dire che si sale un gradino alla volta. Nella mattinata di quello stesso giorno aveva parlato con lo Stato Maggiore di Renzi e gli aveva chiesto altri due o tre giorni di tempo: scadono oggi, in concomitanza con il seminario di Salsomaggiore riservato alla componente.

Ma ancora una volta non è la data giusta. Marco Minniti ci sarà. Ma non annuncerà la candidatura.

Non lo farà perché viene da una scuola politica abituata a guardare sempre dietro l’angolo, prevedere l’intrigo, evitare la trappola. Il che gli fa fiutare due criticità.

La prima. L’ex ministro non ha ancora chiaro il gioco al quale vuole giocare Renzi.

La seconda, legata alla prima: in campo ci saranno Nicola Zingaretti e Maurizio Martina il che rende la scalata alla segreteria nazionale tutto fuorché una gita in montagna. Perché nessuno avrà i numeri per essere eletto al primo turno: Zingaretti ha un vantaggio nei sondaggi (leggi qui Sei punti di distacco tra Zingaretti e l’elezione) che però è recuperabile. Ma non servirà. Se nessuno supera il 50% alle Primarie la scelta del Segretario passa nelle mani dell’Assemblea.

E lì si torna al primo quesito: cosa conviene davvero a Matteo Renzi? Perché dovrebbe consegnare il Pd proprio a Minniti: solo per fermare Zingaretti? Non è che si tratta di una mossa per lacerare di più il Partito prima di prendere cappello e fondare un movimento personale, in pieno stile Macron?

 

Altro scenario. All’Assemblea Nazionale i renziani votano compatti Minniti, il blocco anti Renzi si compatta su Nicola Zingaretti: diventa essenziale Maurizio Martina come uomo di compromesso. Non è lo scenario che Marco Minniti preferisce. Perdere, in politica, non è mai una buona cosa. Soprattutto perché si è lasciato tentare dalla candidatura partendo da ben altro presupposto: quello di riunire il Partito, esserne il collante e rappresentare l’uomo della sintesi politica.

 

Nel frattempo Nicola Zingaretti continua la sua marcia. Che corre su un binario sempre più distante e diverso dal renzismo. Nel quale la parola d’ordine è cambiamento. Lo ha ribadito anche a Torino dove è stato in queste ore. E dice ha parlato con i cronisti de La Stampa.

«Se mi candido non è per rottamare qualcuno ma perché i cittadini si aspettano dal Pd un segnale di discontinuità». A loro, il governatore del Lazio ha detto di essere convinto che sia arrivato il «momento di aprire una nuova strada». Nella quale c’è posto per tutti, a differenza di quanto avveniva sotto il renzismo, quando il pensiero diverso veniva considerato una scoria di cui liberarsi.

Invece, nel Pd di Zingaretti c’è posto anche per Matteo Renzi. Ma, per il governatore del Lazio, non dovrà essere quello di leader. Nemmeno per interposta persona. «Mi auguro che Renzi resti nel partito e nel gruppo dirigente».

Sottolinea che l’avversario del Pd non è Renzi, non è Zingaretti stesso ma «Un governo che non è destinato a durare. E noi dobbiamo essere pronti. Con una proposta alternativa, credibile, che superi i nostri errori del passato. E faccia capire quanto si sia rinnovato il nostro Partito, riscoprendo la sua capacità di ascoltare la gente, comprenderne i bisogni, trasformarli in azione e progetto politico».