Ciociaria senza anticorpi contro la pandemia economica

Le stime di Svimez dicono che perderemo migliaia di imprese. E che il Centro è sempre più debole. Mancano le risposte. Perché manca una classe dirigente capace di elaborarle e realizzarle

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Secondo le stime degli economisti dello Svimez e dell’Istituto Tagliacarne rischiano di chiudere definitivamente 73.000 imprese in Italia, quelle della classe dimensionale che va dai 5 ai 499 addetti. E di queste, 17.500 sono del Centro Italia (Lazio, Umbria, Toscana e Marche). Un conto salatissimo: 20.000 imprese sono del Sud.

Nel Nord l’impatto è minore ma comunque forte. Da tempo esiste un problema del Centro, ma si fa finta di non vederlo. Certamente l’effetto della pandemia è stato devastante, ma occorre pure dire che il Covid ha colpito un tessuto già provato da una fragilità strutturale. Come per esempio in provincia di Frosinone. Il blocco dei licenziamenti finora ha evitato l’esplosione dei danni causati dall’emergenza sanitaria sul mondo del lavoro. Ma prima o poi bisognerà fare i conti con la realtà.

Il report dello Svimez

E la realtà della Ciociaria da anni è caratterizzata dalla totale mancanza di innovazione. Sul piano dell’organizzazione come su quello della produzione. E dalla carenza di digitalizzazione. Oltre al gap che scontiamo per quanto riguarda il marketing e un settore chiave come quello dell’export. E meno male che l’eccellenza del chimico-farmaceutico rende meno drammatico il quadro globale.

Quando si parla di innovazione si fa riferimento a processi che vanno programmati, organizzati, finanziati, studiati e anche facilitati sul piano della burocrazia. Tutto questo non è avvenuto. Perché vanno bene novità come la Camera di Commercio del Basso Lazio e perfino quella del Consorzio industriale unico. Ma poi bisogna alimentare di concretezza certe novità. Altrimenti è impossibile provare a immaginare il rilancio. Per «resistere alla selezione operata dal Covid» le imprese avevano bisogno di ben altro. Invece sono state travolte. Per il settore servizi si stimano perdite del 30%. E per il manifatturiero del 25%. Uno tsunami. L’ennesimo. 

Lo scivolamento inesorabile nell’indifferenza 

I tecnici dello Svimez lo hanno messo nero su bianco, parlando dello «scivolamento del Centro verso il Sud». Più precisamente: «… anche la fragilità di un Centro che si schiaccia sempre più sui valori delle regioni del Sud». Studi alla mano, lo Svimez dimostra come nelle regioni del Centro negli ultimi decenni c’è stato un arretramento costante.

A cominciare dal Prodotto interno lordo pro capite. Fatta 100 la media europea, nel 2000 nel Lazio il Pil pro capite era 157. Oggi siamo a 110. Poi è arrivato il Covid, che sul piano economico ha potuto agire in un sistema completamente privo di anticorpi.

Maurizio Stirpe e Maurizio Landini

In una recente intervista al quotidiano Il Messaggero il vicepresidente di Confindustria Maurizio Stirpe ha detto fra l’altro: «Intanto negli ultimi tre anni erano state fatte alcune riforme che hanno avuto un impatto negativo. Mi riferisco al reddito di cittadinanza, nella parte relativa alle politiche attive che purtroppo come abbiamo visto non ha funzionato; al decreto dignità che ha irrigidito i contratti a tempo determinato ottenendo l’effetto di farli sparire durante i mesi del Covid; e infine a Quota 100 che avrebbe dovuto creare tre nuovi posti di lavoro per ogni uscita, mentre come abbiamo visto ha avuto molte meno adesioni del previsto. Bisogna ripensare a tutto questo senza pregiudizi». (Leggi qui Stirpe: «Licenziamenti dopo la Cig. E il Paese riparte»).

C’è poi la crisi demografica: nel 2020 l’Italia ha perso circa 400.000 abitanti. Certamente la pandemia è stata devastante, ma la popolazione scende da sei anni. Meno abitanti significano meno consumi, meno gettito fiscale, meno servizi, meno fatturato, meno investimenti, meno scuola, meno possibilità di sostenere i sistemi di welfare. A partire dagli ammortizzatori sociali. Situazioni che la Ciociaria conosce bene. 

La classe dirigente coreografica, inutile e senza progetti 

Un anno fa in provincia di Frosinone furono previste due fermate del Treno ad Alta Velocità. «Un collegamento diretto con l’Europa». Il mantra era questo. Vero, per carità. Ma a distanza di dodici mesi possiamo dire di essere stati in grado di utilizzare al meglio questa opportunità? La risposta è no.

Così come i distretti di Anagni e Ferentino sono potenzialmente in grado di produrre vaccini, sia a Rna messaggero che a struttura adenovirale. Ci sono state aperture a livello regionale e nazionale. Ma nessuno ha raccolto davvero l’invito.

La politica si infiamma sulle polemiche a costo zero. Su tutto. Anche su temi seri, per carità. Se poi lo scontro avviene sui social a colpi di “like”, meglio ancora. Però quando si tratta di mettere in campo idee, progetti, finanziamenti e investimenti, nessuno si fa avanti.

Foto: Peter H / Pixabay

La Ciociaria paga da decenni un deficit di rappresentanza. E lo paga soprattutto nei posti chiave, quelli dove si decide il futuro del Paese. Al Governo e alla Regione. La campagna di vaccinazione è fondamentale e la Asl la sta portando avanti con grande abilità. Mettendo in campo perfino l’innovazione. Per esempio nell’organizzazione. Poi però si tratterà di provare ad intercettare finanziamenti concreti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ci vorranno idee e peso politico. Ci vorrà perfino quella capacità di saper fare lobby per il territorio. Da decenni aspettiamo… Godot. Invano.

La politica oltre Svimez

Parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, presidenti di enti intermedi, amministratori: quanto hanno realmente inciso negli ultimi decenni per il territorio? Perfino le polemiche durano il tempo di un “like”. Anche su temi seri. Come quello dei concorsi. O quello delle Marocchinate, che restano un crimine incaccellabile nella memoria di questa terra.

Già, ci vorrebbe almeno maggiore rispetto per la storia. Perché, come canta De Gregori, «la storia non si ferma davvero davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto o dà ragione». La storia non ha nascondigli. E non passa la mano. Nemmeno dopo 77 anni. 

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