Terrore e morte nell’abbazia di Casamari 

I Francesi in ritirata dalle Due Sicilie. I saccheggi ad Aquino, Roccasecca ed Arce. Le colonne di Vetrin ed Olivier che massacrano ad Isola del Liri. E compiono il martirio di Casamari

Fernando Riccardi

Historia magistra vitae

Il 26 maggio del 2020 papa Francesco riceve in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu: all’epoca è Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, le polemiche sull’acquisto del palazzo in Sloan Avenue a Londra sono dietro l’angolo ma non se ne ha sentore. Pontefice e cardinale quel giorno parlano di altro: monaci, martiri, strade verso il paradiso.

Papa Bergoglio in quel giorno di quasi tre anni fa autorizza la promulgazione del decreto sul martirio di padre Simeone Cardon e dei suoi cinque compagni, religiosi professi della Congregazione Cistercense di Casamari, uccisi “in odium fidei” il 13 maggio del 1799.

I Martiri di Casamari

Con padre Simeone, priore e cellerario dell’abbazia, diventano così santi anche padre Domenico Zawrel, fra Albertino Maisonade, fra Maturino Pitri, fra Zosimo Brambat e fra Modesto Burgen. Tutti sono stati trucidati dai giacobini all’interno del monastero. Sulla parete di destra, vicino la porta d’ingresso, oggi c’è un austero altare di marmo che ricorda il sacrificio dei sei monaci martiri.

La solenne cerimonia di beatificazione viene celebrata il 17 aprile 2021 nella chiesa dell’abbazia di Casamari, con il rito presieduto dal cardinal Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, delegato del Santo Padre.

I francesi in ritirata

Tutto prende le mosse da ciò che accade nell’aprile 1799. È in corso la guerra che contrappone Austria e Francia, i territori italiani sono il teatro di una parte del confronto. Le truppe francesi hanno occupato a gennaio buona parte della penisola ma in primavera subiscono una serie di sconfitte in Lombardia. Sono battaglie strategiche, al punto che inducono i francesi ad abbandonare Napoli e tutto il Regno delle Due Sicilie.

Il generale Jean Antoine Étienne Vachier detto Championnet

In quel periodo anche lo Stato Pontificio è occupato dai francesi. Papa Pio VI è prigioniero di Napoleone Bonaparte in Francia dove morirà l’estate successiva. Le truppe del generale Championnet, quello celebrato nel carnevale di Frosinone, risalgono la Penisola: spinge alle alloro spalle un riorganizzato esercito borbonico sostenuto dai cannoni della flotta inglese. Sulla via del ritorno scelgono di percorrere la litoranea che porta a Gaeta e Terracina. Mentre una divisione composta da circa 15mila soldati si incolonna sulla via interna percorrendo l’antica Casilina. Comandano quella divisione generali Vetrin e Olivier.

Raggiungono Cassino il 10 maggio. La città è deserta, la popolazione è sfollata sui monti intorno. Un battaglione di circa 1500 soldati guidati dal generale Olivier decide di raggiungere Montecassino. Trovano anche l’abbazia ormai vuota: i monaci si sono rifugiati a Terelle portando via gli arredi sacri.

Aquino, Roccasecca ed Arce subiscono il saccheggio l’undici di maggio 1799. Evitano Ceprano nel timore di incontrare guarnigioni borboniche, si incolonnano verso Isola del Liri ed il dodici 12 maggio si lasciano andare ad ogni genere di violenza e profanazione.

L’eccidio di Isola e Casamari

Alle spalle dei soldati giacobini in ritirata dal napoletano preme l’armata “reale e cristiana” del cardinale Fabrizio Ruffo. Per sfuggirgli, i francesi marciano a tappe forzate verso Roma.

Il martirio dei cistercensi a Casamari

Il 12 maggio, giorno di Pentecoste, ad Isola del Liri la masnada d’oltralpe trucida più di 500 persone, molte delle quali si sono rifugiate a pregare nella chiesa di San Lorenzo, vicino la cascata grande.

Ma non basta. La ferocia giacobina sconvolge anche la placida quiete del monastero di Casamari. È il 13 maggio, ventiquattr’ore dopo l’eccidio isolano. Alle prime ombre della sera un gruppo di tredici soldati sbandati, staccatosi dal grosso della colonna, penetra nell’abbazia proprio mentre la comunità monastica si accingeva al canto della “compieta”, le ultime preghiere che concludono la giornata. Con loro non c’è il padre abate Romualdo Pirelli, prudentemente riparato a Palermo, ha lasciato la responsabilità al priore claustrale padre Simeone Maria Cardon.

Laceri, stanchi e affamati, vogliono subito mangiare e bere. E così finiscono per ubriacarsi e il loro comportamento diventa violento. Dopo aver distrutto le enormi botti della cantina e rovesciato a terra l’olio delle lampade, entrano in chiesa: prendono la pisside nel ciborio e gettano sul pavimento le sacre particole.

A colpi di sciabola

Inorridito dal gesto sacrilego subito accorre padre Domenico Zawrel, maestro dei novizi, uno dei pochi rimasti nell’abbazia. Con santa pazienza, raccoglie le ostie da terra, le custodisce in un calice e le ripone prima nel ciborio della sagrestia e poi nell’altare della cappella dell’infermeria. La manovra, però, non sfugge ad alcuni soldati che s’impossessano del calice e gettano di nuovo a terra le particole.

Padre Domenico si china ancora una volta a raccogliere le ostie aiutato dal corista don Albertino Maisonade e da fra Desiderio. Dopo averle recuperate il buon frate le avvolge in un corporale e le depone sull’altare. Quel gesto, però, scatena l’ira dei francesi e le sciabole iniziano a roteare.

Il primo ad essere colpito è don Albertino che, ferito alla testa, di lì a breve rende l’anima a Dio. Poi è la volta di fra Desiderio: colpito al fianco e al braccio cade svenuto per terra e viene da tutti creduto morto. Anche padre Domenico non sfugge all’impeto sanguinario dei giacobini: martoriato da una gragnola di sciabolate spira con il nome del Signore sulle labbra.

Ormai la rabbia è montata ed i soldati si aggirano ebbri di sangue nel monastero in cerca di altre vittime sacrificali. In una stanzetta trovano don Simeone Cardon, priore e cellerario, cui riservarono una sorte crudele: gli spaccarono la testa a colpi di accetta e gli tagliarono in piccoli pezzi le dita delle mani. Nel corridoio del noviziato, invece, uccidono con un’archibugiata fra Modesto Burgen. Nei pressi del refettorio infine colpiscono gravemente fra Zosimo Brambat: sopravvive nascosto per tre giorni, poi sente le forze mancargli e decide di raggiungere Boville Ernica per ricevere gli ultimi sacramenti. Muore poco fuori dalle mura dell’abbazia.

Il ferale elenco è chiuso da fra Maturino Pitri che, raggiunto da schioppettate e colpi di sciabola, spira nella sua cella.

L’iter di beatificazione per le vittime di Casamari

Il vescovo Ambrogio Spreafico (Foto © Stefano Strani)

Soltanto qualche giorno dopo i frati, tornati a Casamari, recuperano i corpi e li seppelliscono nel cimitero del monastero. Poi, nel corso degli anni, quei poveri resti vengono traslati nell’altare marmoreo situato nella navata di destra, nei pressi della porta d’ingresso dell’abbazia.

L’iter di beatificazione parte il 27 giugno 2013 con la richiesta avanzata dal postulatore generale dell’Ordine Cistercense padre Pierdomenico Volpi al vescovo di Frosinone. Monsignor Ambrogio Spreafico chiede il parere alla Conferenza Episcopale del Lazio prima di verificare l’effettivo martirio in odio alla fede. Riceve il parere favorevole il 6 dicembre 2014 e da quel giorno parte il processo diocesano.

Richiede una dozzina di sessioni e si conclude il 25 febbraio 2016. Come da prassi, gli atti vengono inviati alla Congregazione delle Cause dei Santi. Che nel 2018 si esprime sulla “Positio super martyrio” ritenendo che a Casamari sia avvenuto un martirio in odio alla Fede. Il resto del lavoro si conclude con l’udienza del cardinale Becciu dal Pontefice il 26 maggio 2020.

La memoria liturgica è stata fissata al 16 maggio, giorno della nascita al Cielo di fra Zosimo Brambat.  

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