Top e Flop, i protagonisti del giorno: martedì 19 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 19 luglio 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di martedì 19 luglio 2022.

DOMENICO MARZI

(Foto © Filippo Rondinara)

Per la prima volta dopo anni s’è rivista un’opposizione Progressista all’interno del Comune di Frosinone. E questo non può che fare bene al dibattito ed alla stessa maggioranza di governo. Anni di appiattimento hanno creato un sindaco monstre Nicola Ottaviani con il controllo assoluto su ogni respiro amministrativo, con poteri quasi da satrapo. Se questo sia stato efficace, lo hanno già detto i cittadini: si; se sia stato condivisivo lo hanno detto le evidenze: no.

Una condizione favorita con ogni probabilità anche alla lontananza dall’Aula d’una figura con lo spessore di Domenico Marzi. Che ieri è tornato ed ha fatto immediatamente sentire la differenza. È stato lui ad infiammare l’opposizione e far capire da subito quale sarà il clima dei prossimi cinque anni di governo a Frosinone.

È stato Marzi a presentare la mozione che ha innescato il primo incendio tra maggioranza ed opposizione. L’ex sindaco Dem ha chiesto al sindaco Mastrangeli di prendere posizione sull’appello al premier Mario Draghi affinché rimanga a Palazzo Chigi: lo hanno già firmato altri 51 primi cittadini della provincia.

È stata una intelligente trappola politica, messa sù da Marzi per fare emergere da subito le contraddizioni all’interno di un centrodestra che su questo tema ha posizioni del tutto divergenti. Infatti, con Mastrangeli governano i Fratelli d’Italia per i quali esiste solo la via delle elezioni anticipate, ma ci sono anche Forza Italia e Lega che hanno una posizione più governista.

In questi casi, l’unica soluzione è calciare il pallone in tribuna. Mastrangeli ha detto di voler prima condividere la scelta con la sua maggioranza, Marzi gli ha ricordato che tra qualche ora ci saranno le comunicazioni del Premier alle Camere e Frosinone rischia di non schierarsi. La discussione sul carattere di urgenza o meno di quel tema ha incendiato i banchi. Con scontri verbali tra Mastrangeli e Marzi che abbandona la seduta per rendere ancora più visibile la situazione; tra l’assessore Adriano Piacentini ed il consigliere di opposizione Andrea Turriziani; tra i consiglieri Fabrizio Cristofari ed Alessandra Mandarelli con Alessia Savo.

Alla fine il pallone è stato calciato fuori dal rettangolo: la mozione non è stata posta. Ma Domenico Marzi ha fatto goal.

Il fiuto del campione.

ANTONIO POMPEO

Una rapida serie di telefonate e messaggi tra Roma, Firenze e Bari: un consulto con il presidente nazionale dell’Unione Province d’Italia, con il presidente dell’Associazione dei Comuni Italiani, con il sindaco di Firenze. Poi in poche ore il presidente della Provincia di Frosinone (nonchè dell’Unione Province del Lazio e sindaco di Ferentino) ha compiuto la più rapida e forte mobilitazione di sindaci che si sia mai vista sul territorio.

Cinquantuno firme in poche ore. Per dire a Mario Draghi di restare. Ma soprattutto per dire che i territori hanno ancora una voce da far sentire. Se Mario Draghi deciderà di rimanere, Antonio Pompeo potrà dire all’Italia ed al territorio di avere fatto la sua parte; se il premier dovesse decidere il contrario, resterà la capacità di mobilitazione e sensibilizzazione dimostrata ieri.

Antonio Pompeo da sempre ha posto al centro del dibattito il ruolo dei sindaci e l’importanza che devono avere le loro voci. È tra i principali sostenitori della riforma delle Province. Non gli dispiacerebbe se venisse estesa anche ai comuni con più di 5mila abitanti la possibilità di estendere a tre i mandati consecutivi da sindaco.

Con questa mobilitazione si gioca una carta importante. Di fronte all’Upi nazionale, di fronte ai consessi nei quali si decidono le riforme che ha contribuito a scrivere. E comunque vada a finire, ha dimostrato che lui c’è.

Il mobilitatore.

FLOP

MATTEO SALVINI

Matteo Salvini (Foto: Marco Cremonesi / Imagoeconomica)

Ha convocato gli stati maggiori parlamentari della Lega per assicurarsi di una cosa che era già sicura: che i governisti del suo Partito gradissero le dimissioni di Mario Draghi come una ditata negli occhi.

La nota congiunta con Berlusconi dopo le nuove dichiarazioni di Giuseppe Conte è solo una delle tante opzioni che Salvini corteggia. Ad essa ha fatto seguito la stoccata al Pd, “irresponsabile” anch’esso, perciò “meglio votare“.

Matteo Salvini non è mai riuscito ad abdicare da una certa “bipolarità” che lo porta a fasi alterne a fare oggi il solista pop e domani il corale fantaccino. Ma la posta che c’è in ballo sul caso di specie non permette i cambi di passo dei tempi neutri.

Tempi in cui per Salvini lardellare i discorsi con attacchi su ius scholae e cannabis equivale alla innocua botta di vita di uno zio un po’ a corto di argomenti a cui concedere paziente venia.

Oggi in ballo c’è la spendibilità di un Governo. Senza il quale la Troika ritirerebbe quasi tutte le garanzie economiche a cui l’Italia è appesa. E lo farebbe aprendo una stagione politica da cui emergerebbe Giorgia Meloni come premier e Salvini costretto a fare il suo sabotatore.

Siccome lui non sa davvero se far vincere un centrodestra di cui è sparring o un’Italia di cui è spot decisore in regresso allora Salvini convoca i suoi.

E invece di dire loro cosa fare aspetta che a dirglielo siano loro.

Carroccetto.

GIUSEPPE CONTE

Giuseppe Conte (Foto: Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

«Quando al Senato abbiamo partecipato al voto, abbiamo cercato di circoscrivere al minimo il significato politico». La decisione assunta è stata anche una «reazione ad atteggiamenti di chiusura che hanno rasentato l’umiliazione politica». Il rumore delle dita di Giuseppe Conte sul vetro è indiscutibile. Ormai siamo alla crisi aperta per dispetto a causa dell’umiliazione subita.

È la nuova versione fornita dall’ex premier dopo l’assemblea dei parlamentari pentastellati. «La nostra non era una votazione contraria e quindi neppure un’astensione». I regolamenti direbbero altro… «Quella nostra mancata partecipazione è stata intesa come elemento di rottura del patto di fiducia. Ne prendiamo atto». Se era un modo per dire che il 5S sta con Draghi è un po’ insolito.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse una guerra alle porte dell’Europa, un prezzo del gas ormai fuori controllo, un’ondata di inflazione destinata a mangiare i risparmi della gente. C’è da piangere se si pensa che tutto questo è stato messo in piedi per evitare di perdere altro consenso alle prossime elezioni.

Lenta agonia.