Top e Flop, i protagonisti del giorno: sabato 10 dicembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di sabato 10 dicembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di sabato 10 dicembre 2022

TOP

MASSIMILIANO CACCIAVILLANI

Massimiliano Cacciavillani

Non sono tempi di gloria per le imprese e non è facile andare avanti in una fetta buia di tempo dove l’energia costa quasi quanto il tuo utile, perciò quando succede che un’azienda imbocca convinta la via della “squadra” si applaude e si spera che altri bissi. La via della squadra non è facile.

Dai tempi di Henry Ford l’alienazione che comporta la produzione seriale ha creato un discrimine-burrone. È quello fra chi vuole fare un prodotto per guadagnarci e chi deve fare quel prodotto per vivere, roba che ha intortato la filosofia occidentale per epoche intere.

Massimiliano Cacciavillani ha scelto di fare squadra davvero. Che non significa affatto il retoricante “siamo tutti sulla stessa barca”, ma che se io sono quello che ha di più devo dimostrarlo proprio quando chi ha di meno ri ritrova con meno ancora di quel meno là.

Cacciavillani è amministratore delegato di Lovato Electric, un’azienda di Gorle, nella Bergamasca leader nella produzione di componenti elettrici per industria ed energy management. E la Lovato ha riflettuto sul fatto che quest’anno o sarà Natale per tutti o sarà Natale solo per i colletti bianchi e i vertici di baracca. Poi ha deciso: dare 400 euro netti a sostegno di tutti i suoi 330 collaboratori.

La Lovato ha surfato un momento che, a fare la tara alla crisi energetica, è stato aureo in cifre e simbologia. Lo ha spiegato Il Giorno: “Centesimo compleanno, fatturato in crescita, nuove assunzioni e nuovi investimenti. Ma la situazione economica mondiale non è delle migliori. Così la proprietà ha deciso di corrispondere ai 330 collaboratori dell’azienda 400 euro netti per contrastare il caro vita”. E Cacciavillani? Lui l’ha messa blanda ma grandiosa:Nonostante le difficoltà del momento, la nostra azienda è stata in grado di cogliere numerose opportunità sul mercato grazie al gioco di squadra ed al grande impegno dei nostri collaboratori. Questo premio è un riconoscimento al loro valore“.

Perché a volte i capi quello fanno: viaggiano alla stessa velocità dell’uomo più stanco del plotone. E tornano a casa più capi di prima.

Leader.

RICCARDO DEL BROCCO

Riccardo Del Brocco

In politica la dialettica ed il confronto sono il sale di ogni Partito. Altrimenti ci si ritrova davanti ad una pietanza insipida, incapace di rispondere ai problemi della gente.

Poi c’è chi esagera: come il Partito Democratico ed i suoi altrettanto illustri predecessori, al punto d’essere rappresentati in ogni parodia come quelli impegnato in una eterna discussione sul nulla e capace solo di provocare scissioni interne.

C’è chi esagera in senso opposto: Forza Italia è un Partito azienda e se non sei d’accordo con l’amministratore delegato… “Che fai, mi cacci?”; o il Movimento Sociale, dove ogni riunione in sezione finiva a sediate. Proprio per questo colpisce la capacità di essere fuori dal coro dimostrata da Riccardo Del Brocco, dirigente di Fratelli d’Italia ed assessore all’Ambiente di Ceccano.

Nelle ore scorse, nella sostanza, ha affrontato la questione degli Egato. Sferrando una serie di pacati colpi dagli effetti micidiali. Perché capaci di andare a centrare la linea di galleggiamento della nuova norma nazionale recepita dal Lazio che metterà ordine nella raccolta dei rifiuti.

L’assessore del Brocco, nei fatti ha detto va bene la linea del no tracciata dal coordinatore regionale Paolo Trancassini, va bene il boicottaggio dell’assemblea disposto dal coordinatore provinciale Massimo Ruspandini, va bene pure l’accusa di poltronificio: ma guardate che la polpa del problema è tutt’altra ed è tutta di sostanza. Ed ha puntato il dito verso quella ciccia. Creando non pochi imbarazzi a sinistra quanto a destra. Perché in pochi ci avevano capito tanto. (Leggi qui: Egato, Del Brocco: “Contro le poltrone del Pd si doveva agire prima”).

Riccardo Del Brocco lo ha detto nonostante fosse più comodo gridare al Poltronificio e basta. E dove dire qualcosa di diverso viene letto sempre con sospetto. Mentre dire qualcosa di leggermente contrario è sempre il paravento di un complotto. E di fronte all’invito di leggere bene ci si sente rispondere “Tanto la gente legge solo i titoli”. Visioni da vecchia destra, non quella di Giorgia Meloni. Che Del Brocco invece ha saputo incarnare ed ha avuto il coraggio di indossare. Anche a costo di far storcere il naso a più di qualcuno, rimasto al tempo in cui si leggono solo i titoli.

Intonato fuori dal coro.

ALESSANDRO SALLUSTI

Alessandro Sallusti (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Nel suo infinito palmares di corrosivo polemista ha collezionato decine di querele, centinaia di insulti, migliaia di risposte piccate. Che per lui, come ogni vero Giornalista, sono soltanto medagliette da aggiungere sul petto. E la ricevuta formale d’avere fatto centro ancora una volta sul bersaglio verso il quale aveva puntato la tacca di mira della sua velenosa stilografica. Ma Alessandro Sallusti questa volta ha dovuto fare retromarcia, ammettendo “Mi sono sentito una merda”. Lo ha rivelato nel suo podcast settimanale su Libero, il quotidiano che dirige.

Tutto nasce dalla graffiante prima pagina in cui Sallusti non aveva resistito alla tentazione di pubblicare una foto ‘rubata’ all’ex Segretario nazionale del Pd Pier Luigi Bersani mentre era in un negozio di Louis Vuitton a Roma: esclusivo marchio del lusso che stride con un cliente che è tra i vessilli della sinistra. La didascalia lo sintetizza: «il paladino della sinistra operaia frequenta le stesse boutique dei milionari». Quella foto è stata un pallone d’oro che doveva solo essere messo in rete da chi, da sempre, ironizza contro i compagni con il Rolex. Allora perché pentirsi?

Con vera onestà intellettuale, Sallusti lo rivela in quel podcast. A stretto giro gli arriva sul cellulare un messaggino. Scritto da Pier Luigi Bersani. Nessuna collera. Ma il garbo del vero signore. Due sole frasi: «Niente da obiettare, ognuno fa il suo mestiere come ritiene. Dispiace soltanto di vedere rovinata la sorpresona di Natale per mia moglie». Colpito, affondato. Ancora di più. Perché quel sms è rimasto privato e Bersani non lo ha reso pubblico: ne sarebbe stato pienamente legittimato, per replicare.

Sallusti ammette «Giuro che mi sono sentito una merda, come poche volte mi è successo in carriera». E ancora: «Solo un moralista cretino avrebbe potuto fare ciò che ho fatto». Al punto di non sapere come mettere riparo. Fino all’intuizione finale: chiedere pubblicamente scusa.

Lo ha fatto. Riparando in pieno allo sgarbo verso l’ex Segretario, dimostrando ancora una volta di essere al vetriolo ma pur sempre un gentleman, insegnando a tutti che bisogna avere il coraggio di ammettere le proprie responsabilità. E infatti Bersani ha apprezzato, rispondendogli “Le tue parole valgono un regalo di Natale”.

Chi di penna ferisce…

FLOP

MICHELE DE PASCALE

Michele De Pascale (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Il sindaco di Ravenna sta nel pattuglione di quelli che hanno fatto loro la proposta del bolognese Matteo Lepore: inserire la parola “lavoro” da qualche parte nel nome del PD. Che di primo acchito sembrasse una faccenda buona per allungare le serigrafie sulle magliette se ne era già parlato, ma Michele De Pascale ha avuto cura di inserire una nota di colore in più alla faccenda, perciò merita menzione.

Innanzitutto lui ha spiegato che quello di cui fa parte lui “è un gruppo che non ha altre finalità che non siano lavorare per focalizzare la discussione del Pd su questo tema“. Quindi la mission di 70 sindaci del Pd non è capre cosa voglia fare e soprattutto cosa sia il Pd ma lottare perché il Pd abbia un nome più lungo.

L’abbiamo caricata, ovvio, tuttavia e iperboli a parte, De Pascale ha spiegato perché ci si stia incarognendo tanto su quel cambio nome: “Con la parola lavoro nel nome del Pd proponiamo un cambiamento e un rafforzamento del Pd da incarnare anche nella definizione stessa del Partito“. Fin quei siamo nel mainstream, ma poi è arrivato il capolavoro: “Questa è una delle poche proposte che sta emergendo al congresso, magari ce ne fossero anche altre. Altrimenti il rischio è solo di una discussione per aria su continuità e discontinuità, su Lingotto o non Lingotto, cioè su cose non comprensibili“.

Riassumiamo: la proposta sulla parola “lavoro”, già deboluccia di suo, è valida perché è la sola strutturata. Poi perché è espressione di un gruppo di sindaci trasversali, un po’ per Stefano Bonaccini, un po’ per Elly Schlein più una fronda incognita. E infine perché non si occupa di cose fatue come la rottura o il salvabile dal già fatto del più importante Partito italiano anche oggi che gratta il fondo del barile nei sondaggi.

Anche a non voler considerare il tono pubblicistico di una parola da vivere piuttosto che da enunciare la pecca del ragionamento di De Pascale sta proprio in questo: nel fatto che per dare sostanza ad un concetto si tolga sostanza a quelli paralleli.

Concetti che forse hanno la stessa delicata impellenza perché proprio da una nuova mappatura degli stessi forse potrebbe derivare una maggiore attenzione per il lavoro. Il lavoro come azione, non come parola.

No, non va.