Troppa ragione: servono miracoli, fedi, maghi, regine e ciclopi

Il respiro grande della storia e quello immenso del mito, ecco i veri ingredienti per aspirare a ciò su cui oggi il capoluogo pontino spera

Lidano Grassucci

Direttore Responsabile di Fatto a Latina

“La letteratura è nata quel giorno che Giona è tornato a casa è ha raccontato alla moglie che aveva fatto tardi perché era stato inghiottito da una balena”.

Gabriel García Márquez.

Il miracolo serve quando le umane leggi, le leggi della natura ci sono evidentemente contro. A Latina manca il miracolo, manca la percezione di una dimensione “irrazionale: manca Gaudì, manca Coppedè, manca la follia, la fede. Manca il coraggio di uscire dal razionale.

A Viterbo hanno la macchina di Santa Rosa, a Napoli aspettano che il sangue di San Gennaro si sciolga. A Sezze abbiamo fatto tacere per il tempo degli onori a nostro Signore il canto delle rane, grazie a San Lidano. (Leggi qui: La Celentano, il Pride e il miracolo delle rane di San Lidano).

E a Latina? Non è contemplata la dimensione che un agrimensore non sapesse misurare. A Gaeta hanno un turco che non credeva e la montagna si è sciolta sotto le sue dita per provare che c’è da credere. Mentre a Latina per capire chi sono fanno sondaggi banalotti. (Leggi qui: Latina-Gaeta, il derby pontino della cultura e la grande occasione persa)

A Brescia e Bergamo hanno spiegato una guerra per la luna. Capite da voi la differenza, abissale tra la grandezza della luna e la mediocrità dei sondaggi. Invece a Latina servirebbe un fantasma inglese, servirebbe un intellettuale del Gran Tour che si ferma e si innamora di una bellissima ma terribile dama della palude.

Le lacrime di Ufente per la regina Camilla

Il Circeo con la torre dei Pirati (Foto © Paolo Macorig)

Lui la rincorre, lei quasi lo bacia, ma ormai è prigioniero di fango e rovi, ma è felice di aver baciato la più bella dama che avesse mai incontrato. E per questo le ragazze qui sono tutte belle. Serve le notti di luna far ascoltare il silenzio di qui e il sentire lontano il pianto della Bella Ninfa chiusa in una torre. A cui segue il canto di mille ninfe ciascuna perduta nel suo amore.

Spiegare le lacrime di un principe Ufente per la Regina Camilla guerriera più bella del cielo ma più dura dei sassi delle cave di Priverno. Lacrime che danno un fiume di acqua e zolfo, essendo amore e morte parenti stretti. E su queste pietre è nata la città nuova: ma l’anima delle pietre non è come sono posizionate a piombo ma come sono ascoltate a vivo.

Alla gente che ci viene a trovare la porti a vedere non le porcellane buone del servizio da 12 di Cambellotti, ma gli ex voto a Giunone a Norma. Per chiedere di essere fecondi e virili. Poi parti da Cori, passi a Norma, Sezze fino al Circeo a mostragli le mura che non sono opera degli uomini ma dei ciclopi.

Ninfe, regine guerriere, maghe, ciclopi altro che una scalinata retorica o una emme che non vuol dire mamma e già per questo è triste e puzza di morte. E quelle enormi querce dove si dice nelle notti giuste…

La maga che fece gli uomini prima porci, poi eroi

“Che in tempo di luna piena a ore comode, ai malfatti propizie erano portate in aria invisibilmente in maledetti congressi. Dove venivano compiute diversità e quantità di incantagioni, sortilegi giochi bestiali ed ereticali”. (Ivano Fossati, Lunario di settembre).

Qui lei la maga di tutte le maghe, ha fatto di uomini timorosi porci e di uomini persi nell’eterno ritorno degli eroi, amandoli.

Ecco che manca alla cultura: l’irrazionale. Manca la paura di Pio IX che scappa dalla giusta passione repubblicana dei romani. Scappa da Bruto libero lui che si pensava anche Cesare per avere sudditi e non cittadini. Complicato? Molto.

Il simbolo di Venezia padrona dei mari è il leone alato di San Marco che ha nella “mano” un libro e dall’altra la spada. Non è una torre, una cupola, ma la scrittura di Dio.