Camorra: «Quando i sindaci oltre a voltarsi si turavano il naso»

di MARCO GALLI
Sindaco di Ceprano

Caro Direttore,
l’intervento del mio amico Arturo Gnesi sindaco di Pastena (leggi qui) mi ha stimolato e invogliato ad affrontare nuovamente un tema, quello della presenza delle mafie in provincia, sul quale per tanti anni ho combattuto una personalissima battaglia in compagnia di pochissimi soggetti.

Sposo in pieno il ragionamento del sindaco di Pastena, persona seria ed impegnata da anni sui temi della legalità e aggiungo soltanto alcune questioni. Qualche anno fa, non pochi, fui chiamato a redigere una parte delle tesi congressuali di un partito, anche se non ero un iscritto. L’argomento era la sicurezza in provincia. Feci cambiare il titolo, argomentando che sicurezza e legalità non possono essere scisse e quando mi addentrai nella elaborazione del testo, ebbi una forte discussione poiché, per il segretario uscente poi riconfermato, non si poteva dire che in una zona della Ciociaria vi era il forte rischio di infiltrazioni della camorra, in quanto, lì governava quel partito. Parlo di una ventina di anni fa forse anche di più.

Successivamente, la politica per bocca di sindaci,(e non solo), ha iniziato a criticare il mio impegno su un tema così importante, perché dire che sul territorio c’era un rischio camorra significava allontanare il turismo e parlare male dei ciociari. Non mi avventuro neanche a parlare dei rappresentanti istituzionali, questori, prefetti e compagnia cantante che, in passato, pure davanti alla verità oggettiva di una presenza massiccia di interessi mafiosi, hanno sempre sostenuto che la provincia di Frosinone fosse un’oasi. Un atteggiamento vergognoso, il silenzio favorisce la mafia, che ha compromesso nel tempo la possibilità di ostacolare il consolidamento degli interessi criminali in Ciociaria.

In questa provincia i Casalesi e non solo fanno affari da tantissimi anni, una specie di discarica facilmente raggiungibile, un bel territorio per nascondere latitanti ed investire il danaro lercio proveniente dalle loro attività criminali. Non ci è mancato nulla: la mafia casertana, la camorra napoletana, la ‘ndrangheta, la banda della Magliana; centinaia di milioni di beni sequestrati su questo territorio nel corso dell’ultimo decennio palesano in modo indiscutibile la presenza di un cancro che, per troppi, troppi anni, si è voluto ignorare.

La B.I.L. (Banca Industriale del Lazio), nei primi anni Novanta è stato il primo gigantesco segnale dei rapporti esistenti tra la camorra e imprenditori della provincia. Neppure questo è servito per far cambiare atteggiamento alla politica, agli esponenti del mondo economico e ai rappresentanti istituzionali, soprattutto quelli che avevano l’obbligo di contrastare ogni forma di criminalità.

Certo, non tutti hanno avuto questo atteggiamento pilatesco, anzi, alcuni hanno cercato di invertire questa tendenza ma, basta guardare le carte delle indagini svolte nel corso degli ultimi vent’anni, per comprendere come troppo pochi erano quelli che, di fatto, hanno sfidato l’inerzia dello Stato. Mafie ed ecomafie, sistemi saldati profondamente con la politica e l’imprenditoria che sfruttano le zone grigie rappresentate dagli apparati dello Stato distratti o infiltrati da corrotti. D’altronde i soldi a disposizione sono tanti, infiniti e, si sa, quando si hanno a disposizione risorse adeguate è facile ammorbidire le posizioni. Il primo convegno che organizzai sul tema risale alla costruzione della terza corsia dell’A/1, a Cassino nell’Aula Pacis dell’Università si confrontarono il sindacato provinciale, il vice segretario della Commissione Antimafia, il presidente della Commissione Criminalità del Lazio ed erano presenti l’allora Questore, il compianto e lungimirante Antonio Mastrocinque, il Prefetto e i comandanti dell’Arma e della Guardia di Finanza; poca fu la partecipazione della gente. Se dovessi tirare le somme a distanza di oltre due decenni, il risultato sarebbe penoso.

Per me, che certi temi li ho affrontati da cittadino impegnato oltre che per lavoro, guardare indietro e poi immaginare il futuro è complicato. Anche se qualcosa si muove, non c’è una solida base sociale sulla quale incardinare un cambiamento, manca la tensione morale e, al di là di atteggiamenti fondamentalisti inutili ancorché strumentali a logiche di competizione politica, la gente sembra assuefatta a certi comportamenti e incapace di reagire sul piano etico e morale. E’ vero, ogni tanto moti di ribellione ci sono, quando si superano certi limiti diventa automatico, ma rapidamente si tende a tornare nella ovattata normalità dei propri interessi personali. Le regole danno fastidio e non ci si rende conto che questo atteggiamento spiana la strada ai più forti, a quelli che, “nell’andazzo generale”, fanno affari.

Ora che vivo questa nuova esperienza da sindaco, dico sempre per caso, ho la possibilità di guardare la realtà da un altro punto di vista rispetto al passato e, purtroppo, non aumenta le speranze in un futuro migliore. Anni di ignavia politica e istituzionale, di inettitudine delle pubbliche amministrazioni hanno plasmato una società distratta, poco incline a pensare come collettività, pronta a difendere i propri personali interessi a scapito degli altri. Un atteggiamento radicato e consolidato che favorisce la corruzione e le mafie che prediligono una società pseudocompetitiva ed egoista in un quadro di assoluta inefficienza degli apparati pubblici. Questo è ciò che va cambiato ma non sarà facile.

Caro Arturo, non devo dirtelo, noi dobbiamo provarci, noi dobbiamo comunque dare l’esempio che qualcosa può e deve cambiare.