Buonanotte Stellantis, c’eravamo tanto amati

Salut Stellantis, le jeux Sont fait… Le scelte strategiche legate all'elettrico lasciano vuoti enormi spazi. A Cassino Plant è in atto un'operazione immobiliare. Esattamente come a Torino. Cosa significa questo per il territorio. A preoccupare però non è la vendita. Ma il silenzio totale di chi dovrebbe programmare un'alternativa

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Buonanotte Cassino Plant. L’operazione immobiliare per vendere una parte dello stabilimento è cominciata. La capitale dell’industria manifatturiera ciociara tra poco non abiterà più qui. Il segreto industriale impone di non rivelare troppi dettagli: ma le fonti ben informate assicurano che siano già ai dettagli finali tre trattative. La prima è per la palazzina uffici: una città dei fantasmi svuotata dall’avvento dei computer che fanno quanto negli Anni 70 richiedeva la presenza di oltre un centinaio d’impiegati. Migliaia di metri quadrati d’uffici ormai deserti.

Giuravano che se li sia accaparrati l’università di Cassino: non risulta. Li sta contrattando una delle principali società di logistica internazionale. Inutile chiedere conferme: a questi livelli gli annunci si fanno in Consob ed a contrattazioni ferme. Poi c’è un altro accordo che viene dato per raggiunto: due capannoni o comunque il loro equivalente. Migliaia di metri quadrati.

L’elettrico crea spazi in eccesso

Una colonnina di ricarica (Foto: Andrea Panegrossi / Imagoeconomica)

Segno dei tempi. Le macchine che verranno messe in vendita tra qualche settimana non morderanno l’asfalto grazie a pistoni, cilindri, filtri, iniettori, testate, pompe, serbatoi e tutti gli altri pezzi che compongono un motore di quelli usati fino ad oggi. Il motore elettrico rende le macchine delle gigantesche automobiline come quelle che a Natale i più facoltosi regalavano ai bambini: stacchi la corrente, premi un pedale e cammina. Uguale uguale ma solo più grande e con centinaia di microchip in più.

Migliaia di metri quadri sono diventatati di troppo. Esattamente come migliaia di braccia e teste: ai tempi in cui Cassino Plant assemblava le Fiat 126 e le Fiat 131 su quelle linee ci lavoravano 12mila operai oggi ne bastano poco più di tremila. Il resto lo fa la tecnologia.

Ad Isola del Liri a fine Ottocento ci fu il primo sciopero dei luddisti quelli cioè che buttavano le macchine nel fiume Liri perché rubavano il lavoro agli operai: qualche deficiente che sosterrà lo stesso tra poco aprirà la bocca. Altri, poco più intelligenti stanno rimanendo in silenzio come se nulla stesse succedendo.

La congiura del silenzio

L’ingresso di Cassino Plant

A colpire è esattamente questo silenzio. A Crevalcore Magneti Marelli ha avviato la chiusura di uno stabilimento che conta duecento posti di lavoro: è scoppiato il putiferio perché in una città con meno di 15mila abitanti quei tagli innescherebbero il caos. Qui in Ciociaria a Piedimonte San Germano sono stati tagliati in dieci anni circa 3mila posti di lavoro dentro al recinto di quella che una volta era la Fiat: e nessuno ha detto una parola.

Non una dichiarazione di un ministro dell’Industria, non una preoccupazione d’un Governatore di Regione, nessun allarme lanciato da un presidente di Provincia. Nulla. Una specie di congiura del silenzio: nella quale tutti tacciono perché così nessuno si allarma. Ed in quel silenzio si concepisce la vendita delle aree di Cassino Plant diventate in eccesso. A colpire non è tanto la vendita in se: fare una macchina oggi richiede almeno la metà dei pezzi in meno di quelli che occorrevano ieri. Ci sta. Ma la vendita sta avvenendo all’interno di una logica non industriale. Cioè negli spazi rimasti liberi non andranno realtà metalmeccaniche come Tiberina. Lear, Adler oaltre aziende di componentistica. Ma tutto avviene in una logica immobiliare.

E il sindacato? È l’unico che ha capito tutto dall’inizio. E non ha strillato. Ma ha fatto la cosa più intelligente che fosse possibile. Ha cercato di costruire una soluzione. Tanto per essere chiari: se Cgil – Cisl Uil- Ugl e tutte le sigle della galassia lavorativa fossero scese in piazza, avessero bloccato i cancelli, si fossero incatenate ingoiando la chiave, cosa sarebbe cambiato? Nulla. Se quindici anni fa lo avessero fatto le sigle dei Chimici davanti alla decisione dei francesi di Thomson quando hanno stabilito di cedere la Videocolor di Anagni noi oggi staremmo ancora a guardare la tv con il cinescopio? O saremmo corsi a comprare lo schermo piatto? Non si ferma l’aria non le mani, non si ferma lo sviluppo parlando di decrescita.

La scelta è fatta

Bernardo D’Onorio (Foto © IchnusaPapers)

Qualche anno fa l’abate di Montecassino Bernardo D’Onorio si mise in macchina insieme al sindaco ed altri per arrivare all’alba a Torino e scongiurare la chiusura dello stabilimento di Cassino. L’ex allievo del collegio di Montecassino Franzo Grande Stevens, divenuto custode fiduciario delle chiave delle cassaforti di famiglia Agnelli lo introdusse da solo a solo a colloquio con l’Avvocato. Che di fronte ad una scelta finanziaria ovvia invece declinò e disse: non venderò ciò che mi ha lasciato mio nonno. Fu l’avvio di una sfida impossibile culminata nell’apoteosi di Sergio Marchionne.

Oggi Stellantis è una società francese con commercialisti in Olanda. In Italia rimane un passato diluito nella nuova dimensione galattica. Per essere chiari: il Lingotto oggi è in parte albergo (di buon livello) in parte supermercato, galleria d’arte, cinema. Una serie di operazioni immobiliari ha portato alla vendita anche dell’ufficio del Senatore Giovanni, nonno dell’avvocato Gianni. Figurati se si commuovono all’idea di vendere Cassino Plant.

Nessuno si illuda che a Cassino come a Crevalcore possa esserci un ripensamento. La sollevazione di parlamentari nazionali e regionali innescata dalla mobilitazione popolare, a Crevalcore ha determinato un congelamento dell’iter di chiusura fino ad un incontro con il Governo che è in agenda per il prossimo 8 novembre. Ma sia chiaro a tutti: in agenda non c’è scritto ‘ripensamento‘ bensì “nuove ipotesi di di industrializzazione“. Cioè si deve trovare qualcuno che compri l’area e ci faccia qualcosa. Resta da capire perché qualcuno dovrebbe investire in Italia a Crevalcore dove i tempi della burocrazia non sono quelli del resto d’Europa. E più ancora a Cassino dove sono 3 volte tanto quelli d’Italia: Froneri ha avuti in tre settimane le autorizzazioni che chiedeva all’estero, Catalent non le ha avute in 2 anni, Saxa Gres ha atteso 7 anni: le avesse chieste in America oggi sarebbe al quarto stabilimento.

Formisano lo aveva detto

Il professor Vincenzo Formisano

Il professor Romano Prodi – uno che di ricostruzioni industriali se ne intende – ieri ha fornito due cifre: Magneti Marelli aveva 43mila dipendenti nel momento in cui Fiat l’ha venduta ai giapponesi di Calsonic Kansei, società del fondo d’investimento KKR. Di quei 43mila un quarto (10mila) era in Italia, oggi i dipendenti sono 50mila ma in Italia ne sono rimasti 7mila. La strategia di dismissione dell’Automotive nazionale è un’evidenza: sulla quale nelle settimane scorse l’economista dell’Università di Cassino Vincenzo Formisano è stato chiarissimo. Ha detto senza giri di parole che il tessuto industriale della Ciociaria sta perdendo l’indotto: nessuno dei parlamentari che rappresentano la Ciociaria a Palazzo Madama o Montecitorio ha pronunciato verbo. (Leggi qui: “A Porte Aperte” con… la non-politica industriale).

O hanno preso per un avvinazzato appena uscito dall’osteria il professor Formisano che rappresenta un gruppo nazionale composto da  54 banche, 3793 sportelli, 6,5 milioni di clienti, 213 miliardi di attivo. Oppure non hanno capito cosa ha detto.

Una cosa è certa: non lo hanno capito le parlamentari del Movimento 5 Stelle in carica fino alle elezioni che hanno portato a Palazzo Chigi Giorgia Meloni. Una di loro, eletta a Cassino superando Mario Abbruzzese, ha detto che anche con la partenza di Catalent e la perdita di 100 milioni d’euro subita da Anagni, nulla sarebbe cambiato nelle procedure del ministero nel quale lei era sottosegretario. L’altra ha detto che Fincantieri non sarebbe mai arrivata a Cassino a realizzare una gigafactory: oggi per fortuna di questo territorio, lei non è più parlamentare e Power4Future by Fincantieri ha issato il suo logo di fronte allo stabilimento Stellantis, grazie al lavoro di gente come Marco Delle Cese, Giovanni Betta, Albino Ruberti, Francesco Borgomeo con il team di Unindustria.

Resteranno solo in tre

La sede di Power4Future a Cassino

In Italia è quella l’unica fabbrica di batterie in un mondo che sta rimanendo con le gomme a terra. Sono già ben avviate quelle in Francia e Germania, tante nasceranno in nord Europa: qui siamo all’anno zero e se fosse stato per la parlamentare del M5S nemmeno quello avremmo avuto.

I numeri li fornisce ancora una volta il professor Romano Prodi che conferma ad Alessioporcu.it: “gli investimenti programmati permetteranno unicamente tre nuove linee di produzione a Melfi, Mirafiori e Cassino. Gli altri stabilimenti non verranno nemmeno parzialmente riconvertiti e non vi è alcun progetto per arrivare a una filiera nazionale integrata, con tutte le fragilità che questa mancanza comporta”.

E per fare le nuove macchine non servono pistoni, cilindri, filtri, iniettori, testate, pompe, serbatoi e molto altro ancora. Quindi lo spazio è in vendita. Il futuro non è qui: anche questo deve essere chiaro. Perché il polo Ricerca & Sviluppo è stato spostato da Torino a Parigi. E si vede: nel 2021 Stellantis ha depositato 166 brevetti in Italia. E 1239 in Francia.

Buonanotte Cassino Plant.