Una storia nata male e finita peggio. Per ora. Perché al peggio non c’è mai fine. Il disastro nelle relazioni tra Acea e Comuni è la dimostrazione dell’impreparazione, della superficialità, dell’incompetenza di molti sindaci chiamati a governare il territorio. E’ l’evidenza incontestabile che il sistema, così com’è concepito non funziona.
Il nuovo contenzioso aperto dalla società che gestisce servizio idrico e depurazione (leggi qui il precedente) rappresenta un segnale drammatico. Non tanto per la richiesta di dieci milioni di euro avanzata da Acea: ormai sono bruscolini rispetto alle decine di milioni che stiamo risarcendo, un po’ alla volta, nelle bollette.
Il dramma sta nel fatto che alla votazione del 18 febbraio scorso impugnata da Acea ci si era arrivati dopo mesi di preparazione, di studio, di messa a punto delle virgole nella delibera, di divisione in tre blocchi tra sindaci che proponevano un testo di centrosinistra, uno di centrodestra ed uno di destracentro non allineato; al momento di votare in aula c’era stata un’ulteriore, lunga, inutile, discussione. Che fosse tutta fuffa, i maledetti giornalisti lo avevano scritto da subito: perché nel documento con cui si contestavano ad Acea tutte le sue inadempienze non si contestava un bel niente (leggi qui il precedente), perché una larga parte dei ritardi nei lavori promessi era riconducibile ad uffici pubblici che tardavano a concedere le autorizzazioni; perché il modo in cui era stata votata la delibera gridava vendetta (leggi qui il precedente). Per alzata di mano, senza la verifica del numero dei presenti. Se non è stato un regalo ad Acea è stato un assist servito su un piatto d’argento. Che Acea non si è fatta sfuggire.
Il dramma nel dramma, sta nel fatto che tutto era stato detto con largo anticipo. Al punto da ipotizzare un grande bluff con cui salvare Acea, una sorta di facite ammuina e nella confusione poi si mette in salvo il contratto (leggi qui il precedente).
Quella vista nell’aula della Provincia la sera del 18 febbraio ha dato l’impressione di non essere una riunione per mandare via Acea. I pochi testimoni ammessi non hanno assistito alla rappresentazione de ‘La cacciata dal paradiso‘ bensì una ridicola parodia che poteva avere per titolo “Salvate il soldato Saccani” (per chi non lo sapesse, l’ingegner Paolo Saccani è l’amministratore di Acea Ato5, una delle menti più competenti e brillanti all’interno della multiutility romana). Attori e comparse: buona parte di quelli presenti in aula per votare. Perché sono compromessi con Acea, perché tanti sindaci davanti agli elettori dicono di volerla mandare via e appena sono dietro le quinte trattano con Acea per mettersi d’accordo: “Mi serve questo lavoro in tale contrada perché lì ci abitano quaranta famiglie e sono voti, bisogna far lavorare le ditte del territorio così sono contenti e magari mi aiutano alla prossima campagna elettorale, se poi gli fai assumere per venti giorni uno di questi ragazzi è il massimo”.
O è così oppure non si spiega il motivo per cui alla fine mancano sempre i numeri contro Acea. O si fa finta di votarle contro.
Con gente così, Acea non ha alcuna paura di andare via. Resterà a gestire l’acqua in provincia di Frosinone per secoli. Perché nessuno ha capito il vero incubo di Acea, il terrore che toglie il sonno al dottor Saccani: che i sindaci capiscano il suo gioco e gli dicano l’unica cosa capace di far saltare il tavolo: “Noi adesso vogliamo che il sistema funzioni. Noi vogliamo che la gente non debba venire nei vostri uffici ed aspettare ore per contestare le bollette che già vi ha pagato, ma gli date un appuntamento con giorno ed ora stabiliti e fino a quel momento i termini di pagamento sono congelati. Noi vogliamo che se chiamiamo al numero verde pagato con i nostri soldi ci risponda gente che si spacchi in quattro per trovare una soluzione insieme. Noi vogliamo che il contratto sia chiaro e comprensibile, così finalmente si capisce quali sono i nostri ed i vostri doveri. Noi vogliamo che sia chiaro di chi è la colpa ogni volta che si finisce in causa e chi ha fatto in modo ci si finisse, così quando si perde facciamo pagare a lui il conto e non lo spalmiamo sulle nostre bollette. Noi vogliamo il calendario con mese e giorno in cui farete i lavori per le nuove condotte e se le bollette sono in regola voi dovete procedere a fare i lavori in quell’area”.
Ma non glielo diranno mai. Per lo stesso motivo per cui hanno fatto mandare all’aria i 100 milioni di euro messi nel Bilancio della Regione Lazio da Piero Marrazzo e destinati a finanziare altri 100 milioni che doveva mettere Acea per rifare la rete dell’acqua e delle fogne: un regalo colossale alla Regione (che i soldi non li aveva, perché Renata Polverini doveva coprire un cratere nei conti largo 10 miliardi di euro) e ad Acea (che ha potuto continuare a rinviare i suoi investimenti nonostante incassasse le bollette).
Non glielo diranno mai perché così potranno continuare ad elemosinare il lavoretto nella contrada, il lavoretto per la ditta e l’assunzione per 20 giorni. Ma davanti continueranno a dire che sono contro Acea e che l’acqua deve tornare pubblica (altra fregatura: l’acqua è pubblica, ad Acea o chi sia al suo posto, paghiamo il servizio, in proporzione ai metri cubi che usiamo).
Se il massimo della competenza alla quale i sindaci riescono ad arrivare è questo, allora aveva ragione il collega Cesidio Vano quando ha titolato ‘Acea ha i secoli contati‘.