Belati di capra e uomini sordi: la balla della crudeltà figlia del degrado

Sarebbe davvero ora di smetterla con i sermoni e cominciare ad agire: ammettendo che l'orrore non abita solo in certe case

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Papa Francesco ha twittato in questi giorni: “Preghiamo insieme perché le persone che vivono ai margini della società, in condizioni di vita disumane, non siano dimenticate. Dalle istituzioni e non siano mai considerate scarti”. Preghiere a parte, quello che tutti vorremmo innanzitutto e senza necessariamente volgere gli occhi al Cielo è una società meno miope su tutto, anche sulle sue tare in ombra. E capace di ammettere che per troppo tempo ha cercato auto analisi ed auto assoluzione nella mistica del male che germina per lo più dove male si sta. Squillino le trombe siore e siori perché no, non è così. Non lo è mai stato.

Una delle colpe analitiche sta nei diminutivi e nelle categorie. Perché se ammazzi una capretta dai la certezza di aver macellato un innocente e sei un criminale che ha violato una legge. Se ammazzi una capra con lo stesso metodo criminale sembri un barbaro che ha esagerato. Magari perché, come ha spiegato la madre di uno dei ragazzi, l’animale era già morto. E sarebbe stato preso a calci quando era già “agonizzante”, cioè non ancora morto. (Leggi qui: Se niente vale tutto è permesso, e allora ammazzare una capra è facile).

Anche a fare la tara dal fatto che la violenza resta uguale non è questione di dati oggettivi, oggettivi come la capretta vittima dei giovani bruti fiuggini, è questione di lessico dell’orrore. Depurato quello sarà tutto più facile.

Le colpe stanno a monte e sono tante

Ma qui le colpe non sono quelle analitiche ex post, cioè di come si inquadra un’aberrazione. No, qui le colpe stanno a monte ed è lì che si srotola tutto il piattume sociologico con cui l’Italia legge i suoi peccati di sistema complesso. E’ la stessa Italia cantata da Andrea Giambruno che con vittime umane spiega che se sei ciucca hai meno diritto alla sicurezza. E che poi prende d’aceto quando quel che dice fa scalpore. O quella che sana ogni cosa con un “gesto da condannare, ma non esageriamo, era una capra – magari già morta – hanno sbagliato e pagheranno il giusto”.

Come la lidocaina ma spalmata sull’Etica, impegnati a crepare ogni più piccola speranza di sincerità che in questi casi è la sola speranza di salvezza dalle recidive.

Riassuntino, tanto per ripetere ché della cosa si è già detto-scritto quasi tutto. Ad una festa di compleanno in un agriturismo di Anagni alcuni giovani hanno deciso di svagarsi ammazzando (o infierendo sul cadavere di) una capretta di pochi mesi a calci in testa. Poi l’hanno caricata su una carriola e l’hanno gettata, morta o morente, giù da una finestra della struttura. Filmando tutto.

Sfondo un cranio e filmo tutto, così esisto

(Foto © DepositPhotos.com)

Ripetiamo: filmando tutto. Già, filmando tutto, perché una cosa oggi esiste solo se c’è testimonianza del fatto che l’hai fatta. Perché oggi tu esisti solo se qualcuno è spettatore di ciò che fai. E non importa incasellare in categoria etica ciò che fai, conta che tu lo faccia, e più lo fai in modalità border line e più esisti.

Non è difficile capire che, tolte capretta e violenza gratuita e peso di un fatto eccezionalmente torbido, questo è lo stesso meccanismo del clickbait. Della seo con cui attirare i lettori su Internet, della pubblicità.

Di quelle e della ricerca di una notorietà effimera per cui una cantante cerca marito. E fregandosene beatamente di trovarlo usa quel movente per esibirsi sui social come mamma l’ha fatta. O di gente che confonde ragione primeva con torti assoluti e minaccia una premier di morte se viene a Caivano. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di giovedì 31 agosto 2023).

L’esercizio “buono” della barbarie

Di Caivano dove si violentano ragazzine. E’ roba che su canali assolutamente leciti ma comunque mefitici usiamo anche noi. Noi che la consideriamo normale solo perché non l’abbiamo aggiogata all’esercizio della barbarie, ma il meccanismo è lo stesso. E se osanni o sdogani il canone della funzionalità “buona” poi non puoi indignarti su quello di una funzionalità “storta”.

Con il cranio spezzato in due ci è finita una capra di pochi mesi. Un animale abituato ad interagire con l’uomo perché animale fidelizzato dalle visite di decine di avventori. Il trend topic è stato quello per cui questi bruti sarebbero ragazzi della “Fiuggi bene”. Come a sottolineare, in lettura farlocca, che malgrado fossero figli della borghesia sono stati capaci di condensare in pochi istanti i peggiori istinti.

Istinti che, pare di intuire tra le righe, ci si aspetterebbe squadernati nel solito mood violenza-disagio sociale. Eccola, la panzana suprema che forse ci aiuterà a capire.

Gli esempi inutili: dal Circeo al caso Montesi

Quella che non venne esorcizzata neanche dai giorni bui del massacro del Circeo e del delitto Montesi che ci avvisavano già quando il sogno dell’italiano medio era una 127. E’ la balla colossale per cui quando a commettere un crimine è una persona che vive in un contesto agiato quel crimine va considerato un’aberrazione. Quella e non la concreta possibilità che forse non c’è bisogno di mettere il male sempre a traino eziologico del contesto che dovrebbe farlo geminare e che dovrebbe foraggiarlo. Pietro Maso o Benno Neumair dicono nulla?

E’ l’Italia Giolittiana che si difende così da sempre, e che mette le proprie storture nella nicchia comoda delle aberrazioni casuali e non delle azioni causali. È un Paese che a furia di dare un perché di comodo alle cose non dà mai ad esse un perché utile, didattico. Che sia sponda per essere argine alle recidive. I modelli sociali “sbagliati” sono sempre quelli. O balordi cresciuti in un contesto balordo che non possono che fare cose balorde oppure fighetti che deviano dalla normalità dell’esser fighetti per compiere occasionali incursioni nella barbarie.

L’Italietta borghese che cova uova di demoni

E invece, forse, è proprio essere così “normali” un possibile presupposto di certe tristi sorprese, non sfondo, presupposto. Forse stiamo sbagliando esattamente dove avevamo creduto di far bene: con un percorso di vita ordinario ma tenue ed arrendevole. Con l’incapacità di cogliere i sintomi della sopraffazione prima che essa vada in epifania.

E con una serie di stereotipi che di solito servono a riempire colonne quando è già successo tutto, invece di scomodarsi a stanare il male quando sta ancora nascosto. Ci hanno detto che la fama è a portata di tutti e tutti ci abbiamo creduto, al punto che ogni spicchio della nostra vita è in macedonia social con le vite degli altri.

Sappiamo tutti che usare la violenza o diffonderne il Verbo Nero è sconcio e criminale, ma se un giornalista con la moglie premier dice cose inqualificabili ci dividiamo. E non per diversa visione del problema ma per partito preso nei confronti di chi è latore di certe scempiaggini. Ci abbeveriamo comodi alla fonte della rabbia sociale che sfocia in omicidi, stupri, abomini e i mostri a volte ce li abbiamo in casa.

Ammettere per capire, e per guarire

Solo che non lo diremo mai perché ammettere che il Diavolo può fare il nido anche in casa nostra significherebbe ammettere che non ci sono quelle differenze che ci fanno sentire “più” degli altri. E che sì, anche noi foraggiamo il mondo storto che poi vorremmo raddrizzare a suon di sermoni scemi. Noi meglio di “loro”, più puliti, più abilitati al giudizio. “Oh, no, a noi non succederà mai”.

E più pronti a diffondere la bugia per cui la Banalità del Male è un libro che trattava solo di ebrei e Germania. Roba eccezionalmente orribile ma eccezionale. No, parlava del mondo, e parlava anche di noi. Di tutte le volte che anche abbiamo gridato o avuto voglia di gridare “dai, fallo di nuovo; ancora! Ancora!”. Come hanno gridato i giovani mostri di Fiuggi o di un qualunque altrove. Non “della Fiuggi bene”.

Perché i mostri non hanno case o caserme. Hanno solo se stessi, chi non li ha capiti e chi mostri li voleva. Per un pugno di view. Per riprendere tutto purché sia un tutto che colpisca. E per esistere senza vivere. Forse il segreto non è tenere a bada il male, ma stare in guardia da tutto quello che potremmo diventare. Tutti.