Cosa insegna l’assoluzione di Peppe Patrizi

Cosa insegna il processo a Giuseppe Patrizi. E soprattutto l'assoluzione con formula piena. Le aberrazioni di un sistema. Lacune enormi e toppe che cercano di coprirle. Metodi di gestione 'creativi' con dirigenti costretti ad inventarsi letteralmente soluzioni. E poi tornare indietro. Norme scritte male. E che nessuno ha il coraggio di rendere chiare.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

L’assoluzione con formula piena sentenziata nelle ore scorse dal Tribunale di Frosinone per l’ex presidente della Provincia Giuseppe Patrizi impone una serie di riflessioni. Perché per dieci anni è stato sotto accusa l’uomo che era al vertice della procedura per il rilascio delle autorizzazioni ambientali, senza le quali le fabbriche non possono lavorare. E con lui è finita nel mirino la catena delle procedure per il rilascio di quei benestare.

Il processo ha messo in luce una serie di circostanze precise. Sulle quali non può continuare il silenzio.

La premessa

(Foto: Bruno Weltmann © DepositPhotos)

L’assoluzione dell’ex presidente Patrizi con formula piena è l’ulteriore dimostrazione di un sistema che funziona: gli inquirenti ci sono per indagare, le Procure per coordinare il loro lavoro, i tribunali per giudicare. Ciò che non funziona non è che occorrano dieci anni per stabilire che nulla esisteva di quanto veniva ipotizzato. Ma che le cose stavano esattamente come dicevano gli indagati fin dall’inizio. E questo non significa che gli inquirenti siano dei somari: ma che le norme sulle quali si sono dovuti muovere siano scritte in maniera del tutto inadeguata, con troppi margini di interpretazione.

Le riflessioni vanno fatte perché quel procedimento ha avuto innegabili ripercussioni su come interpretare negli uffici provinciali le procedure di rilascio delle autorizzazioni. E che la Ciociaria sia da sempre tra le realtà più lente in Italia è un’evidenza: negli anni scorsi ci fu una clamorosa protesta che vide industriali e sindacati firmare insieme un documento. Autorizzazioni lente significa perdere opportunità di guadagno (per i primi) e posti di lavoro (per i secondi).

Il prefetto Eugenio Soldà

Nasce da lì l’intervento di Giuseppe Patrizi poi finito sotto processo: nasce dalle sollecitazione di Unindustria al massimo livello provinciale, da quelle fatte da due Prefetti della Repubblica, da un presidente del Consiglio Regionale del Lazio. Tutti venuti in udienza a confermarlo.

Che questa fosse l’inchiesta dei paradossi fu chiaro dall’inizio. I reati contestati, a vario titolo, andavano dalla corruzione al falso in atto pubblico, abuso di ufficio, omessi o ritardati atti di ufficio e usurpazioni di funzioni pubbliche. Il tutto scaturito però da un fatto – reato, come ebbe a sottolineare l’allora procuratore della Repubblica Giuseppe De Falco nella prima udienza. Disse, nella sostanza: “Sia chiaro, qui non parliamo di un processo per tangenti ma per Abuso d’ufficio”. Cioè di un reato che nel 2021 stando ai dati del Ministero della Giustizia è stato affrontato davanti alle sezioni Gip/Gup dei tribunali in 5.418 procedimenti ma solo in 18 casi si è arrivati a condanne. Più 35 patteggiamenti. (Leggi qui: L’abuso d’ufficio come prodotto di mercato).

Le mani nei capelli

Fatte queste premesse. Dal processo a carico di Patrizi + Altri sono emerse cose da mettersi le mani tra i capelli. Su un modo di concepire e scrivere i testi di legge che è unico in Europa. Sulla creatività con cui i funzionari sono costretti ad applicarle per poterle rispettare.

L’inchiesta nasce da una denuncia per abuso d’ufficio presentata dall’ex dirigente del settore Ambiente della Provincia di Frosinone Angelo Fraioli. Si rivolge all’allora Corpo Forestale dello Stato segnalando di essere stato rimosso dal presidente Giuseppe Patrizi. Al termine degli accertamenti, l’Accusa ipotizza che dietro alla rimozione ci fosse il fatto che Fraioli fosse “scomodo” e non rilasciasse in modo “facile” le autorizzazioni.

Dal processo emerge che non fu rimosso Angelo Fraioli soltanto ma in tutto otto dirigenti. E venne fatto sulla base della norma che imponeva la Spending Review. I settori vennero accorpati e razionalizzati tagliando le spese: alla nuova macro area con l’ambiente viene assegnato il dottor Bernola cioè l’unico ad avere il titolo di Ingegnere Ambientale.

Le indagini accertano che le pratiche con Bernola iniziano ad essere più fluide. Dal processo emerge anche la ragione. Prima del suo arrivo, la Provincia aveva un’enormità di arretrati in materia Ambientale da smaltire e la scadenza del 31 dicembre che si avvicinava sul calendario. Perché era importante quel Capodanno? Perché se la Provincia non avesse detto Si o No a quelle pratiche sarebbe scattata una procedura di infrazione che le avrebbe tagliato l’accesso a fondi europei.

La Provincia delle cause perse

La sede del Tar (Foto Sara Minelli © Imagoeconomica)

Sarà un caso, ma all’improvviso, a ridosso del Capodanno, tutte le pratiche vengono evase. Tutte vengono approvate. Ma con una serie infinita di prescrizioni. Ineccepibile. O forse no. Dal momento che le aziende impugnano quelle autorizzazioni davanti al tribunale Amministrativo Regionale. Ed il Tar dà ragione a loro.

Per la Provincia si prospetta il pagamento d’una marea di danni. Al punto che l’allora dirigente Fraioli propone a tutte di prendere atto della situazione e riaprire le pratiche in autotutela. Significa che ipotizzando un errore la Pubblica Amministrazione ritira il suo atto. Ma si pone un problema: anche con l’autotutela i ricorsi ai giudici del Tar restano in piedi. Il presidente Giuseppe Patrizi si mette al telefono e convince, ad una ad una, a ritirare gli atti.

Ma allora, su cosa poggiano i sospetti di un’attività di pressione fatta da Patrizi? Ed in cambio di cosa? Ci sono due singoli episodi sospetti. Il primo: una telefonata fatta al dirigente dell’Ambiente chiedendo perché la pratica della Reno de Medici fosse ferma. Dal processo è emerso il contesto di quella telefonata: c’era appena stato un tumultuoso incontro con i sindacati che contestavano alla Provincia le sue lentezze sostenendo che mettessero a rischio oltre 200 famiglie dei lavoratori; inoltre Patrizi chiede perché la pratica sia ferma: se è in regola si proceda, se non lo è si bocci. Mancava questo contesto. Fondamentale.

Seconda contestazione: una telefonata di ringraziamento al direttore della Froneri per l’assunzione di un parente. Dal processo emerge che Patrizi e la persona in questione non erano imparentate, che l’assunzione è per tre mesi ed avviene mesi e mesi dopo che l’azienda ha già ricevuto le autorizzazioni.

Non è lassismo

Il Procuratore della Repubblica di Frosinone Antonio Guerriero

L’assoluzione con formula piena degli imputati non è malagiustizia. Non lo è nemmeno l’inchiesta che ne sta alla base. Perché le norme sulle quali agire sono nel nostro Ordinamento. Che poi nessuno abbia il coraggio di prendere il toro per le corna e dire pubblicamente che a fronte di 5.418 casi arrivati al Gup poi solo 18 siano diventati condanne sta alla pochezza di una classe politica insipiente.

Chi ha i capelli bianchi ricorda benissimo la corbelleria che sta alla base della riforma dell’Abuso in atti d’Ufficio e dell’Omissione in atti d’Ufficio. Buona parte di quelle materie non competeva ai tribunali ma ai Comitati Regionali di Controllo attraverso le loro Sezioni di Controllo sugli Atti degli Enti Locali. Ai cui vertici, la politica indicava in maniera condivisa degli ‘arbitri’ davanti ai quali si impugnavano le delibere. Impensabile era fare politica intasando le Procure. E che questo sia avvenuto ha avuto la dignità ed il coraggio di dirlo ai sindaci l’attuale capo della Procura di Frosinone Antonio Guerriero. (Leggi qui: La stoccata del Procuratore ai sindaci, prima del brindisi).

Esattamente un anno fa, in questi giorni. Durante il ricevimento in Prefettura disse Voi cari amministratori – ha sottolineato Guerriero – avete la possibilità ed il dovere di controllare da soli ciò che accade nel vostro Comune. Dovete farlo, perché ne avete gli strumenti. Se avete ulteriori dubbi chiamate il Prefetto, sono certo che saprà aiutarvi, ma basta scaricare ogni cosa sulla Magistratura.

Per essere chiari. Il processo a Patrizi + Altri non è un caso di politica affidato alla magistratura. Ma è l’ulteriore dimostrazione che il reato di Abuso d’Ufficio abbia bisogno di essere rivisto e riformulato. Come? Compete ad altri scriverlo.

Non è l’unica

Gli Stati Generali della Provincia di Frosinone

E non è l’unica norma che vada riscritta. Non lo è dal momento che le categorie produttive della provincia di Frosinone che nei mesi scorsi hanno dato vita al documento finale sugli Stati Generali lo hanno messo nero su bianco.

«Spesso chi deve rilasciare un’autorizzazione ha le mani legate da norme scritte male ed in maniera per nulla chiara. Ne sia un esempio su tutti la meritoria norma regionale sulla Qualità dell’Aria: indiscutibile sul piano del principio, lascia ampi spazi di ambiguità nella sua formulazione, di fronte ai quali è legittimo avere il dubbio e bloccarsi».

L’avvocato Sandro Salera

«Il lassismo è un alibi nel momento in cui, anche per queste ambiguità, 11 procedimenti autorizzativi su 13 sono sotto accertamento, frenando ulteriormente l’iter ed invitando ad una esasperante prudenza nell’attesa di una parola definitiva dalla Suprema Corte che però arriverà solo dopo anni. Occorre intervenire allora: emendando le norme nazionali e regionali che bloccano il sistema, rendendole chiare e di facile applicazione». (Leggi qui: L’orgoglio di un territorio che non si arrende).

Sotto quel documento c’è il contributo di industriali, sindacati, piccole e medie imprese, artigiani e chi più ne ha più ne metta. Per evitare che galantuomini come Peppe Patrizi debbano stare per dieci anni alla pazienza certosina ed alla competenza di principi del Foro come Sandro Salera e Domenico Marzi, nonché al senso di equilibrio e di terzietà, al rigore e alla professionalità dimostrati dal Tribunale di Frosinone per avere giustizia.