L'ansia da documentazione ci consuma: siamo quello che postiamo. Iniziamo a godere della differita di un'emozione per poterla raccontare... Ma questa volta il prezzo da pagare è altissimo: l'auto che sfreccia nella notte si schianta sul guard rail, i figli muoiono, il padre col telefonino si salva...
A lcamo non è un traguardo. È un guardrail spezzato e un’auto accartocciata. La Bmw 320 blu notte viaggia a 220 all’ora sull’autostrada Palermo-Mazara del Vallo. Va, corre, con un padre alla guida e due bambini a bordo. Non ci sono cinture di sicurezza. Nessuno le indossa. C’è un video, uno squarcio nel buio, e una voce che con troppa allegria urla: «Siamo in diretta, siamo in diretta». Poi più nulla. Qualche chilometro dopo la Bmw si schianta sulla strada di Alcamo. Il padre sopravvive, per i due ragazzi non c’è speranza. È il brutto della diretta e il prezzo da pagare questa volta è davvero troppo alto.
Un bacio ai figli e pietà per un padre che non sa quello che ha fatto. Sconterà tutto, giorno dopo giorno, per sempre. Nella vita reale non c’è un tasto per tornare indietro. Non serve maledire. Non tocca a noi perdonare.
Questa storia è lo specchio del tempo che stiamo vivendo. Non sai neppure come chiamarla questa sciagurata voglia di presa diretta, come se la vita fosse un film, un brutto film, da documentare attimo per attimo, anche se non c’è nulla da ricordare, anche se di queste frattaglie inutili di scene quotidiane non frega nulla a nessuno. Esibizionismo vacuo? Egocentrismo idiota? Disperato tentativo di dare sostanza allo zero che ti circonda? Follia? Non senso. Allora filmi tutto e ti fai la storia, che dopo ventiquattro ore svapora, andando avanti così, un giorno dopo l’altro, frammenti di niente che si susseguono sempre uguali.
È il rito ombelicale della religione social. Tu sei quello che metti in piazza. Sei madre perché mostri il bimbo che piange perché ha il mal di pancia, o si sbrodola, gattona, singhiozza e non importa se poi te lo dimentichi in macchina. Sei il piatto che mangi, i piedi che corrono, la finestra sul cortile di casa, il sudore in palestra, la fermata della metropolitana, la faccia da sonno al mattino, lo sbadiglio di sera, la risata grassa della quarta birra il sabato sera. Sei la storia che ti affanni a raccontare, senza trama, senza racconto, senza un perché, banale come milioni di vite banali.
Poi capita una notte qualcosa di cui non ti puoi perdonare: uno schianto e due figli distrutti. Non c’è nulla da condividere, questa storia purtroppo adesso è solo tua.
Ti tocca raccontarti ogni giorno quello che non avresti mai voluto raccontare.