Vittorio Macioce, voce e mente del Festival delle Storie in Valcomino: inviato dal Giornale lì nel cuore dell'infezione da Covid-19. La città è spettrale, l'unico traffico lo generano i carri funebri
La campana non suona, non ti avverte, perché questo è un gioco a nascondino, infido, senza tracce. I primi due li vedi scendere, uno dopo l’altro, all’altezza della funicolare, ferma. Il terzo spunta lungo le mura veneziani, ti viene incontro, poco prima di porta Sant’Alessandro, con il leone alato a darti il benvenuto. Oltre c’è il deserto. Vengono giù dalla città alta, lenti, senza nessuno dietro, senza annunciarsi, li riconosci dalla vernice nera e dalla coda station wagon. Non ci sono fiori. Vanno verso il Monumentale, seguendo i cipressi di viale Pirovano, dove ogni cosa è illuminata dal sole di mezzogiorno e si respira in silenzio. Qui ne vedi altri, almeno quattro o cinque, che entrano e escono e si incrociano. Sono carri funebri.
Il cimitero è chiuso. Lo dice un cartello. Non accadeva dal 1945, l’ultimo anno di guerra. Un altro per scrupolo ne spiega le ragioni. «Per motivi di salute pubblica, fino a nuova disposizione, non è consentito l’accesso». Qui passano solo i morti. Al di là del cancello c’è uno dei custodi del camposanto. Quanti sono oggi? «Mi dispiace ma non posso parlare». Quaranta? Fa un segno con la mano, pesandola verso l’alto, come a dire «di più».
Bergamo è il fronte del contagio. Ti sembra di vedere i numeri scorrere su una lavagna invisibile: 18, 34, 66, 82, 140, 275. Non sai quando si fermeranno. È successo tutto in fretta. Dicono che qui il virus ci fosse già prima di Codogno: a Nembro e poi amplificato da Alzano, ruotando intorno al capoluogo fino a caderci sopra.
Non è mai scattata la zona rossa come nel lodigiano. La città si è rinserrata da sola, quando ha sentito la voce strozzata dei medici, quando il sindaco ha detto che qui si gioca a dadi con la morte. Lo ha fatto chiudendo gli scuri, senza agitarsi, con dignità. Nessun sospiro, nessun lamento, niente abbracci, neppure per festeggiare la vittoria dell’Atalanta a Valencia. Niente piazza, niente di niente. La gioia dentro, senza farsi notare, per non chiedere troppo, perché con le preghiere non si può esagerare e qui ce n’è una sussurrata ogni giorno.
Sei partito da Treviglio, al confine ovest della provincia, segnato dall’Adda. Non incontri posti di blocco. In giro ci sono tir e ambulanze. Le seconde vanno più veloci. A Verdello, di fronte al bivio che porta a Zingonia, hai visto un cartello: Bergamo non molla.
Non lontano da lì c’è «Il germoglio», una delle comunità psichiatriche della fondazione Bosis. Qui lavora uno psichiatra che conosci, Carlo Saffioti. È un centro di riabilitazione e assistenza per malati di schizofrenia, bipolari, personalità borderline. Come vivono il «tutti a casa»? La risposta è uno specchio di saggezza. «All’inizio ognuno ha reagito con le proprie paure o ossessioni. Nervosismo o diffidenza. C’è chi lavorava nei bar e ha perso il lavoro. Poi ne abbiamo parlato. Non bisogna uscire per frenare il contagio, per proteggere le persone a cui volete bene. Tutti si sono convinti. Avevano bisogno di vederci un senso e lo hanno trovato».
Bergamo è rarefatta. Non ci si muove o ci si muove a distanza. Sugli autobus che partono da piazza Vittorio Veneto per l’aeroporto di Orio non c’è nessuno. Le banche sono vuote e così i supermercati e le farmacie e i tabaccai. Chi sta aperto, come un negozio Acqua&Sapone, sembra quasi sentirsi in colpa.
All’ora di pranzo vedi passeggiare gente in compagnia del cane. L’impressione è che lo facciano per rassicurarsi. È una sorta di coperta di Linus per affrontare quello che sta fuori. I cani non hanno paura del virus.
In un campetto di fianco a via Fara c’è un ventenne che porta in giro un pallone. Più in là qualcuno ti attira con un colpo di tosse. Cammini evitando in anticipo le traiettorie di chi ti viene incontro, come fanno gli aerei nei cieli. Ti viene da fumare e poi ci ripensi, perché è davvero stupido portare le mani alla bocca per una sigaretta. È tempo di smettere.
Torni a casa. Treviglio. Un auto dei vigili del fuoco passa strada per strada ripetendo un solo messaggio: «Non uscite».