Le pensioni a Tajani per non pensionare il partito unico di Meloni

La Legge di Bilancio come strumento non solo di governo, ma come leva politica per tener buoni gli azzurri, almeno per un po'

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Le grane di Giorgia Meloni non si esauriscono solo sul campo schietto della Legge di Bilancio da varare con fondi risicati, ma hanno anche sottosistemi più di strategia. Quelli ed implicazioni politiche di peso che vedono la premier in un certo senso “costretta” a fare i conti con gli alleati. Tra essi ed in doppia chiave ipotetica quello da blandire di più o da deludere in maniera più cocente è Antonio Tajani.

Perché? Perché Forza Italia è creatura viva, vegeta e “morente” al contempo. E il Partito degli azzurri deve restare in vita autonoma ed in salute stabile. Questo almeno fin quando sotto il pero di una sua eventuale caduta dal ramo non ci sarà Meloni con il cestello.

Il senso è che le aspirazioni della premier a formare un Partito unico dei conservatori che la consacri guida Ue della destra moderna abbisogna di un timing perfetto. Di quello e di un sincronismo da Delta Force.

Né morte né vita eterna, semmai massa

Tajani, Meloni e Salvini (Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

Detta meglio: Forza Italia non deve morire ma neanche deve “vivere in eterno”. Nessuna prospettiva funerea però, il dato politico è che si va verso un Grande Soggetto Unificatore e ci si deve andare con una road map perfetta, per non far danni quanto meno.

Era un pallino di Silvio Berlusconi. Che ancora nello scorso gennaio ci stava lavorando con ferma convinzione. Sognava di andare oltre i confini di Forza Italia e dell’Udc. All’epoca Roberto Pella, capogruppo di Forza Italia in commissione Bilancio della Camera, riferì che «Berlusconi pensa a un unico Partito plurale, unito, credibile di centrodestra, sul modello repubblicano statunitense. Un nuovo cantiere in grado di interpretare le istanze del Paese e dell’Europa, andando oltre gli interessi di parte per favorire quelli generali». Un’aspirazione che all’epoca è stata confermata anche dal sottosegretario Matteo Perego: parlava di un grande partito repubblicano per completare e blindare il percorso del bipolarismo.

Un’esigenza tornata attuale ora che il Cav è solo nei cuori e nei ricordi. Perciò il Partito della “discesa in campo” deve essere pronto a tempo debito a diluirsi in una mega galassia destrorsa di stampo liberal, non troppo sovranista.

E per fare questo gli azzurri di oggi devono essere accontentati il più possibile prima della conta alle Europee 2024. Qual è, o sarebbe, il rischio? Che la spinta propulsiva azzurra si esaurisca prima che abbia contribuito a “lanciare” il vettore del destra certo in zona Ppe-Ecr. E che l’armonia del destra centro italiano si “guasti” prima che la stessa si traduca in un travaso di voti a favore dell’area più forte.

La stella polare del Cav: le pensioni minime

Silvio Berlusconi

Sì, ma come fare per “tenerlo buono” se le spunte in agenda di Antonio Tajani legano male con le capacità di cassa dell’Esecutivo? E su cosa – in metafora forte – Forza Italia deve avere la sardina per battere ancora un po’ le pinne a bordo della piscina del destra centro italiano?

Le pensioni, sono le pensioni il nodo di tutto, ed è nodo complicatissimo, vediamo perché. Il senso è proteggere l’alleato per proteggere se stessi, fare cioè come fa l’anemone di mare con certi pesci: non li avvelena e se li fa scorrazzare tra i tentacoli. Così quelli nutrendosi e usandoli come tana sicura puliscono, proliferano e fanno crescere massa generale e prosperità dell’organismo. Che di bocca ne ha una sola però.

Attenzione, lo spauracchio non è solo strategico di ampio respiro europeo, ma anche tattico-immanente. Vale a dire che Meloni ha tutto l’interesse ad accontentare” FI per evitare che il suo governo vada in crisi, ma il “contentino” non è nel novero delle cose da diminutivo. Con Silvio Berlusconi vivo tutto funzionava meglio e non perché il Cav non fosse suscettibile su eventuali dinieghi ai suoi desiderata. No, ma il Cav era un Mastice Supremo in autarchia che evitava con la sua sola presenza spinte eccentriche di correnti.

I bei tempi senza il correntismo azzurro

Antonio Tajani al Consiglio Nazionale di Forza Italia (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Quindi si incazzava ed eventualmente “scapocciava” solo lui. Questo perché in Forza Italia il correntismo spinto è postumo rispetto alla dipartita del leader-fondatore che in vita non tollerava bande sciolte. Ora però è tutto diverso: Tajani è un segretario degnissimo e probabilmente nel 2024 diventerà un presidente di rango, ma adesso è soprattutto il giardiniere di un roveto impazzito e tendente al selvatico. Perciò con lui si deve trattare più sul concreto. Il Foglio cita fonti di Palazzo Chigi che senza mezzi termini hanno detto che “qualche bandiera da sventolare, ad Antonio Tajani, andrà data”.

E Tajani a sua volta di quei vessilli ha bisogno per suggellare una linea di continuità con le ultime volontà del Cav, linea che passa per il nodo pensioni minime a 1000 euro e per il taglio del cuneo fiscale. Non può passarci da leader dello sfascio e gli servono voti, perciò elettori accontentati.

Chiariamolo subito: oggi i soldi per raggiungere il tetto minimo di pensioni non ci sono. Lo scoglio da superare è quello di farsi bastare un “aumentino” oltre il pregresso e sperare che Forza Italia (e Lega) si tengano buono lo stesso. Ma è scoglio arduo davvero.

Fazzone uomo della provvidenza nel Lazio

Le Europee sono tappa obbligata per la parte più solipsistica dei Partiti, lì ognuno andrà per sé e bisogna portare numeri nelle segreterie. Gli azzurri hanno resistito all’emorragia di voti dopo l’upgrade dei Fratelli d’Italia ed al terremoto della morte di Berlusconi solo grazie a straordinari manovratori territoriali.

Nocchieri da ranghi serrati come Claudio Fazzone, che a Frosinone ad esempio è riuscito a fare un mezzo miracolo di equilibrio. Sopravvivere al mito del fondatore era cosa quasi impossibile, a voler considerare qualcosa di più che una manciata di superstiti irriducibili. No, Fazzone non ha fatto “L’ultimo soldato giapponese sull’isola”, ma ha dato rotta nella sua veste di coordinatore Regionale.

E lo ha fatto calmierando gli effetti di migrazioni a volte devastanti. E la sua politica di contenimento ha pagato, nel Frusinate e nel Pontino e su setacci fondamentali come la ultima Regionali e le Politiche di un anno fa.

Lo sforzo messo in campo nel Lazio da Fazzone e Tajani, ha reso magnete il loro Partito. Al punto che solo pochi giorni fa in Consiglio regionale del Lazio ha “spento” due ulteriori stelle. Le sue impronte digitali sono nettissime. E dal primo settembre i consiglieri pentastellati Roberta Della Casa e Marco Colarossi sono fuori dai ranghi del partito di Giuseppe Conte perché hanno scelto una “nuova casa”: casa azzurra.

La metamorfosi da sultanato a Partito convenzionale è stata realizzata in brevissimo tempo: subito dopo che Milano aveva pianto il Cav e ne aveva lasciato in campo l’eredità. Tutto era pronto. Per contrastare gli avversari esterni e per fare muro contro quelli interni.

Scoppola sugli extraprofitti e ring aperto

Paolo Barelli e Antonio Tajani (Foto: Stefano Carofei © Imagoeconomica)

Quali? La Lega di Matteo Salvini ad esempio, quella che a Frosinone ha “soffiato” a FI Pasquale Ciacciarelli e tutta la sua catena di sindaci e portatori di voti: ben 14mila alle scorse Regionali. Lega che sarà pure alleata di governo, ma che in questa caccia ai desiderata è spesso in contrapposizione nettissima con Forza Italia. Il tutto con Meloni costretta a bilanciare ma a farlo con un Bilancio risicato che non consente grandi manovre di appagamento.

Porti da privatizzare? Baruffa, calmiere e qualcuno che ingoia il rospo (Tajani). Tassazione sugli extraprofitti della banche, roba che in mistica forzista sa tra eresia ed adulterio? Idem “con patate” (sarebbe comparate, in realtà), sempre con Tajani a masticare ortiche. E in quel caso erano state ortiche particolarmente spinose, a contare che gli emendamenti presentati sotto egida del capo gruppo azzurro alla Camera Paolo Barelli per attenuare la tassazione erano stati respinti.

A quel punto era scattato il sospetto per cui l’operazione di reset e bonifica di Forza Italia da parte di Giorgia Meloni fosse già in atto. Se ti dico tanti “no” e te li dico su cose che per il tuo partito sono elementi fondativi vuole dire che da fondare si è passati ad affondare. Ma era ed è troppo presto e serve quel timing perfetto per compiere la metamorfosi senza che si trasformi in una debacle.

Cane grosso ed osso piccolissimo

Perciò a Meloni toccano le forche caudine delle pensioni minime così come le disegnò il Cav esattamente un anno fa, in piena campagna elettorale. Solo che tra disegnare una cosa senza tener conto dei fondi per farla ed attuarla con i fondi che l’Italia meloniana ha oggi ci passa un oceano.

E al centro esatto di quel gigante di marosi sta il natante della premier, che deve lanciare un salvagente a Forza Italia. Non solo per tenerla in vita, ma per issarla a bordo. Sul vascello dei conservatori europei e tra la ciurma, non più in castello di comando.