Se Maastricht e Frosinone sono sullo stesso parallelo

La manovra del governo Meloni, le prospettive e le possibili ricadute su una Ciociaria che sta per varare i suoi Stati Generali

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Funziona più o meno così, magari anche senza il “più o meno”: se il rapporto Deficit-Pil supera il 3% siamo nei guai. E messa meglio? Per i non addetti ai lavori: il deficit è la differenza tra quanto abbiamo a disposizione e quanto invece spendiamo; il Pil è il valore della ricchezza che produciamo. Ecco, deve esserci un rapporto: possiamo spingerci oltre la nostra possibilità ma tenendo conto della nostra capacità di creare ricchezza.

Quella soglia non deve essere mai superata ed è soglia tra ciò che produciamo come Paese e ciò su cui facciamo debito per provare a crescere a tenere l’anima coi denti.

Se sfori, niente più spese a pioggia, niente più conti in rosso e soprattutto niente più ricchezza proclamata. Nell’Unione Europea chi sfora paga, in denaro e legiferati di sanzione.

Non è automatico, non è immediato ma Bruxelles ci guarda. Perciò le strade per il governo Meloni sono due: o chiedere una revisione della Norma Massima sul tema, cioè il trattato di Maastricht, oppure provare a crescere nei fatti più di quanto non si voglia crescere con le parole, e tenere quel rapporto in equilibrio.

Giorgetti, la coperta corta e la Ciociaria

Giancarlo Giorgetti

Attenzione: in realtà le due azioni sarebbero complementari, non ciascuna totem di un’opzione, ma in Italia le cose stanno messe in maniera molto difficoltosa.

Lo sa bene il titolare del Mise Giancarlo Giorgetti e lo sappiamo bene qui in Ciociaria, dove siamo ancora alle prese con le conseguenze del Cigno Nero, in economia è la combinazione di più eventi imprevisti ed imprevedibili con conseguenze devastanti. E il tessuto industriale della provincia di Frosinone ha subito prima le conseguenze dello stop alla produzione mondiale imposto dal lockdown, poi la speculazione sui costi dell’energia.

In questo territorio ci sono imprese energivore che non sono solo la Agc che produce vetri per l’automotive, la Saxa Gres che produce porcellanato da esterni. Qui c’è tutto un polo cartario che ha la necessità di energia: garantita ed a costi accessibili. E c’è lo stabilimento Stellantis Cassino Plant che fa parte di un sistema capace di spostare la produzione in un tempo relativamente breve se ritiene che gli convenga. A questo si aggiunga che nella nostra terra le imprese stanno abbandonando i sogni produttivi “grazie” ad una burocrazia incatenata all’Italia Giolittiana. Temi finora rimasti senza risposta: perché nessuno si è posto la domanda.

Locale e nazionale

Luca Di Stefano

Il presidente della Provincia di Frosinone Luca di Stefano ha indetto gli Stati Generali per fine settembre e lì si dovrà fare il punto senza fare gargarismi. Tutti hanno apprezzato l’iniziativa: mettendo in chiaro che ora non servono parole ma concretezza. Piani, servono piani concreti per rimettere a regime produttivo un territorio che vede l’industria scivolargli via tra le dita come acqua per un assetato.

A livello nazionale ci sono non pochi problemi, che di questo Frusinate sono corollario, causa ed effetto al contempo. E’ un mezzo caos e conviene metterci ordine. Dunque, Giorgia Meloni ed il suo esecutivo si apprestano a varare la manovra economica. Si chiama Legge di Bilancio, è la Mecca autunnale di ogni Governo perché è a tutti gli effetti il piano economico del Paese e sarà misera, stortignaccola e “tirata”.

Poco più di 29 miliardi, questo è il plafond. La famosa “coperta corta” che non consente grandi svolte e che soprattutto non getta i presupposti per incrementare lo sviluppo.

Ciao ciao produzione, toccherà alle famiglie

Mario Draghi

Si dovrà intervenire più sulle famiglie che sui sistemi di produzione, con il risultato che terre come la provincia di Frosinone, già in emorragia, andranno in coma. Qui poi si innesca un paradosso, e Maastricht c’entra come non mai.

Per fare una manovra forte serve anche una buona dose di identitarismo, cioè l’imprinting operativo del governo sulle sue strategie economiche. Ora, il governo Meloni è la cosa più liberal che l’Italia potesse avere dai tempi di Silvio Berlusconi premier, fatta la tara alla parentesi emergenziale di Mario Draghi. E liberal significa che chi ha più polvere più ne spara, chi meglio sa usare il cannone meglio assesta il colpo.

Quindi l’identitarismo è uno stimolo, un bonus o un’occasione? Fino ad un certo punto. Perché per alcuni, quello di cui l’Italia ha bisogno è l’esatto contrario, se vuole fare fronte comune alle rigide regole Ue. In sunto è che solo un’azione che parta da una abdicazione dell’identitarismo proclamato ogni tot potrebbe far uscire l’Italia dalla parte più asfissiante delle regole di Maastricht.

Identitarismo croce e delizia: lo dice Giavazzi

Francesco Giavazzi (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Chi lo dice? L’economista Francesco Giavazzi in una sua recente intervista al Corsera ad esempio. Per lui la Legge di Bilancio attesa in Parlamento il prossimo autunno dipenderà in gran parte “dagli accordi sulle nuove regole fiscali a livello europeo. Quindi “la possibilità di un’intesa è legata essenzialmente alle posizioni che assumeranno quattro Paesi: la Germania da un lato; Spagna, Francia e Italia dall’altro.

Cioè, a fare la tara a noi, due Paesi con cui l’Italia meloniana non è esattamente sincronizzata. Premessa. Giavazzi è stato consigliere economico del governo Draghi. E per lui “se Spagna, Francia e Italia trovassero un’intesa i tedeschi non avrebbero la forza di bloccarla”.

Riassumiamo. Il governo Meloni soffre per una Legge di Bilancio oppressa da pochi fondi e dal Patto di Stabilità. E la sola via per lo stesso di trovare forza per chiederne la revisione sta in una federazione a livello Ue con altri due paesi di area non mitteleuropea. Solo che il Governo Meloni ha la sua forza nell’identità nazionale difesa ad ogni costo quindi siamo ad un bivio. O si fa da soli e si chiede una cosa che nessuno mai ci concederà oppure si va in team e forse si porta a casa un risultato che permetterà a territori come il Frusinate di andare oltre i peana contro la crisi della grande produzione.

Tessere una tela, ma facendo squadra

Palazzo Chigi

Giavazzi è scettico e spiega perché: Quest’intesa non si trova perché per troppi mesi, nel nostro Paese si è sottovalutata l’importanza che avrebbe riuscire a tessere una tela e quanta forza ne deriverebbe per l’Italia in Europa”. E’ opportuno puntare ad un “accordo di tre Paesi importanti in grado di cambiare gli equilibri europei” e farlo non solo per creare un fronte fiscale più solido.

In ballo c’è altro: “La transizione verde e digitale così come una Difesa europea condivisa richiederanno fonti di finanziamento comuni, come in parte è avvenuto con il Pnrr.

Da soli non ce la facciamo, poco da fare. “Nessun Paese, forse tranne la Germania, è abbastanza grande per raggiungere questo obiettivo da solo. È utopistico pensare che l’Italia, abbandonate le velleità identitarie, si metta a capo di un simile progetto?”. Eccolo, il nodo: le “velleità identitarie”, cioè quel retroterra per cui se si tratta di scegliere tra fare squadra e portare il risultato a casa e andare da soli e giocarsi in risultato Palazzo Chigi è in bilico.

L’Uomo Nero e l’esorcismo di Panetta

Fabio Panetta (Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei)

Eppure “L’Uomo nero” è lì: il 3% del rapporto Deficit-Pil se ne sta rincantucciato come un demone a ricordarci che in passato abbiamo speso troppo.

Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Bce e futuro governare di Bankitalia, ha dato la mano. Ed è mano scomoda. “Il panorama globale si sta evolvendo rapidamente e l’Europa deve tenere il passo, se non guidare, il cambiamento, rafforzare la propria resilienza agli shock e investire in modo strategico. Al centro di questa strategia c’è la creazione di un mercato europeo dei capitali integrato”.

E che per il futuro di noi ci si fida poco. Tanto poco che le grida di dolore di alcune terre, come la Ciociaria, sono ascoltate solo dai governi di secondo e terzo livello e dalle parti che quella realtà la vivono. Non mancano le prove provate e le conclusioni hanno la mestizia delle cose già “cassate” in quanto a possibilità di soluzione.

Stellantis, la Turchia e la casella indietro

Restiamo nel Frusinate ma spostiamoci a sud, nel Cassinate, dove l’epicentro dello sviluppo economico-industriale è sempre stato la Fiat, poi Fca ed oggi Stellantis. Da un lato abbiamo il Ceo Carlos Tavares che ha rassicurato tutti, Palazzo Chigi in primis.

(Foto © DepositPhotos.com)

Su cosa? Sul fatto che in Italia si torneranno a produrre un milione di macchine. Ma quante ne facciamo oggi? Poco più di 400mila. E le dolenti note sono anche altre: le spiega un report sui siti produttivi europei. L’Italia è ancora il terzo mercato europeo dell’auto. Abbiamo tanti stabilimenti e veniamo subito dopo i colossi Francia, Germania e Gran Bretagna, ma ci ha appena superati la Turchia.

Automotive e indotto automobilistico del Lazio sono rimasti fuori dal recinto delle opportunità di ripresa per tutta una serie di problemi. Si va verso l’elettrico e Unindustria aveva colto i segni di una cosa a metà tra rivoluzione senza moschetti e inerzia da vittime sacrificali. Ed aveva agito con la “linea strategica nella programmazione regionale S3 dedicata all’Automotive”. La Pisana aveva messo a terra una strategia con la Smart Specialisation Strategy ma non aveva inserito l’Automotive nell’equazione. Poi il presidente di Unindustria Angelo Camilli aeva fatto notare che dalla lista dei sogni mancava qualcosa si molto importante e ci si era messo mezzo rimedio. Uno studio commissionato da Unindustria Cassino ad Anfia, l’associazione dei produttori dell’automotive aveva fatto testo. (Leggi qui: Stellantis, riparte la produzione: meno male che c’è S3).

Borgomeo, il Cigno Nero e la carica della Cisl

Guido D’Amico (Foto © AG IchnusaPapers)

Guido D’Amico, presidente di Confimprese non vuole “inutili parate” e il presidente Bpc Vincenzo Formisano ha lanciato l’allarme sull’Automotive che migra in Nord Africa. Il presidente territoriale di Unindustria Francesco Borgomeo aveva tracciato la sub-rotta cassinate.

Borgomeo è uno di quelli che ha visto il Cigno Nero volare nei suoi cieli, e che è stato costretto a ritardare molte velleità produttive a causa di lungaggini che stanno uccidendo la Ciociaria che produce e fa industria. E il segretario regionale Cisl Enrico Coppotelli ha spiegato che se non nascesse “un comitato strutturato e permanente per lo sviluppo e il lavoro” sarebbe tutto inutile.

Enrico Coppotelli

Ma la sottile linea di demarcazione tra quello che il governo centrale farà e quello che la Provincia di Frosinone escogiterà resta tutta. A meno che i parlamentari locali non si facciano carico di portare soluzioni reali invece che croci transitorie o gorgheggi di solidarietà.

Ciociaria: o funerale o resurrezione

Francesco Borgomeo

Perché la chiave di lettura è la stessa e le azioni sono consequenziali. Se a livello nazionale ci sarà un upgrade di identitarismo non ci saranno deroghe dal patto e non ci saranno investimenti. Se a livello provinciale non ci saranno “persone” ma solo “personalismi” non ci saranno soluzioni ma solo funerali.

I funerali dell’industria frusinate, con le conseguenze del Cigno Nero che, pian piano, si poseranno su tutti i cieli produttivi del Paese in cui avere un’autorizzazione è più difficile che avere una buona idea. Come da noi in Provincia di Frosinone, la terra da cui le occasioni vengono esiliate dai bolli tondi.