Non si riesce ad uscire dal ruolo scomodo di città della bonifica "divoratrice di suolo", e intanto le occasioni vere di sviluppo passano. E se ne vanno
Leggo un articolo di Aldo Bonomi su Il Sole 24 ore di oggi: parla delle piccole città. Del ruolo che giocano oggi nella sfida della qualità della vita e lo confronto al dibattito nostro, qui a Latina.
Da una parte la consapevolezza che i nuovi ruoli delle città medie stanno nel flusso turistico, nella formazione del capitale umano. E nella rete dei servizi (dai trasporti, all’energia, alla gestione dell’acqua), nella logistica, nel tempo libero.
Se mettiamo in fila queste “tendenze” emerge l’arretratezza del confronto politico-amministrativo pontino. Dove si muove tutto intorno al modello, bonificardo, di città “divoratrice” di suolo. Una ansia di costruire e demolire che è schizofrenica.
Spazi a tutti i costi ma non funzionalità
Si accusano le Poste di aver demolito una scalinata e per sottolineare l’onta si demolisce la costruzione che c’è per rifare quella di prima. Come se per rifare la Roma dei Romani si abbattesse la Roma dei Barberini “ladri di marmi antichi”. Come abbattere San Pietro per rifarla come era prima restituendo le indulgenze e sanando la conseguente scelta di Lutero di andar via.
Si cercano spazi per edificare, non funzioni degli spazi urbani. Nessuno riesce a dire che l’unica reinvenzione urbana di Latina è la zona dei pub. Cioè dove i ragazzi hanno dato una funzione ricreativa ad una zona di abbandono commerciale e artigianale.
Latina, intesa come capoluogo, è fuori dalla gestione dell’acqua, è fuori dalla valorizzazione dei servizi energetici. La governance dei sistemi idrici è estranea al dibattito politico del capoluogo. Sull’energia questa città ospita una centrale nucleare, in dismissione certo, ma comunque da gestire attivamente nella fase di smaltimento. Inoltre uno dei cavidotti più importanti e grandi d’Europa con Terna (collegamento elettrico Sardegna-Continente) ma non ne ha alcuna interlocuzione con la comunità. Per tacere dell’approccio ideologico sui rifiuti oggi in mano a inefficienti monopolisti privati. E poi con discariche da bonificare che peseranno sui conti pubblici.
Il dibattito sanitario sì, ma sugli immobili
Sulla sanità il dibattito, a Latina, non è sulla salute ma sugli immobili sanitari. Come se a Roma abbandonassero l’Umberto primo in nome di un nuovo ospedale che sta ancora nella mente di Giove. E che seppur si farà vedrà la luce quando la maggior parte dei viventi attuali non avrà più luce. Si muore ora, ci si salva ora non si rimanda tutto a quando avremmo un ospedale nuovo di pacca.
La filiera sanitaria è un asse di sviluppo di una città vista nella sua interezza. Dall’ospedale, alla rete dei laboratori, alle case della salute, all’università, alle case di riposo, ai centri riabilitativi, alle palestre. Qui invece è solo: denari per fare un nuovo edificio ospedaliero, e mentre aspettiamo ingrassiamo la vorace sanità privata.
Abbiamo ospedali pubblici abbandonati a Sezze, a Priverno, a Cori, a Terracina, a Fondi e mi fermo. Tante cose ci mancano ma non il cemento ospedaliero. Mancano medici, tecnologia, infermieri, anestesisti.
Tante cattedrali e pochissime “chiese”
Si possono fare reti sanitarie ma ragioniamo di cattedrali sanitarie, ci si salva pregando il Signore anche in chiese piccole non necessariamente in cattedrali. Ma tante piccole chiese efficienti fanno una cattedrale. La rete dei servizi comprende anche gli spazi verdi e ricreativi, ma Latina non ha voce in capitolo nel parco nazionale del Circeo.
Men che meno su infrastrutture di pregio come i Giardini di Ninfa, in questo ultimo binomio ci potrebbe essere un asset importante per lo sviluppo della comunità, la funzione ricreativa, del tempo libero e del recupero del verde. Oggi a Ninfa vanno 100 mila visitatori l’anno: a Latina neanche uno.
Anche nelle infrastrutture hard la discussione cittadina è assente. Nessuna interlocuzione con i gestori dei servizi ferroviari, oggi la modalità di trasporto che cresce di più. Insomma Latina, ancora una volta, si chiama fuori dal tempo presente delle altre città italiane medie e si rifugia in nostalgie, in piani particolareggiati, in inutili capannoni industriali destinati al vuoto. Non ha mai discusso di logistica o quando lo ha fatto ha creato infrastrutture come l’intermodale che non avevano alcun senso perchè mai richieste dal mercato. Le città medie italiane fanno rete con i loro territori, Latina non parla manco con Bassiano.
Ecco dove deve correre davvero Latina
C’è la richiesta di autostrade capaci di andare a mostruose velocità da borgo Piave a Spinaceto. Poi ti metti in coda per entrare a Latina da una parte e a Roma dall’altra, ma non riesci a fare manco i 10 chilometri in pianura della 156 da Sezze Scalo a Latina. Di fatto quella strada collega Frosinone a Sezze scalo
Servono investimenti, certo, ma su reti superveloci di dati, servizi integrati con la ferrovia, nuove modalità d’uso della ferrovia stessa. Serve una città che sia più facile da usare.
Serve il confronto, non la chiusura mentale di rifare il già fatto e serve archiviare il passato per scommettere su domani.