Quei segnali di Astorre per le Regionali del Lazio

Alla Festa dell'Unità una serie di segnali precisi per le prossime Regionali. La scelta delle parole fatta dal Segretario Bruno Astorre. E quei ringraziamenti non attesi. Un solco e dei semi per il dopo Politiche

Carlo Alberto Guderian

già corrispondente a Mosca e Berlino Est

Tre segnali chiari. Lanciati dal palco della Festa dell’Unità alle Terme di Caracalla a Roma. Il Segretario Pd del Lazio Bruno Astorre ne ha mandato uno al suo Partito; uno a tutti gli alleati che oggi compongono la coalizione con Nicola Zingaretti; uno alle singole componenti. Ha tracciato il solco politico nel quale gettare il seme delle prossime Regionali del Lazio.

La Direzione Regionale di giovedì ha stabilito che del post Zingaretti si tornerà a parlare solo dopo il 25 settembre, che ora bisogna abbassare la testa e lavorare solo per le Politiche. Ma intanto il solco c’è, il seme è gettato: i prossimi due mesi diranno se riuscirà ad attecchire.

I segnali di Astorre

La scelta delle parole è precisa. Il solco sta tutto nella scelta di superare l’espressione Campo Largo per usare invece il termine Modello Lazio. «Non parlo di Campo Largo, ho l’ambizione di parlare di Modello Lazio».

Significa che nel Lazio è stato costruito qualcosa di diverso dal Campo Largo zingarettiano. Infatti – caso unico in Italia – in Regione Lazio fanno parte della stessa maggioranza tutte le forze progressiste: dai civici ai renziani, dagli azionisti di Calenda ai grillini di Conte, fino al Partito Democratico.

Bruno Astorre dal palco delle Terme di Caracalla ne toglie la paternità a Zingaretti. E la assegna – a sorpresa – a Mauro Buschini: riconoscendo a quello che all’epoca era il capogruppo in Regione Lazio, il merito di avere costruito il Patto d’Aula. Cioè l’accordo che consegnò a Zingaretti la maggioranza che non gli avevano dato le urne nel 2018. «È da quel Patto d’Aula – spiega Bruno Astorre – che nasce il Modello Lazio. Un modello che si allarga prima ai civici, poi alle altre forze progressiste ed arriva fino ai 5 Stelle». È cosa diversa dal Campo Largo che puntava solo ai grillini.

«L’attuale ampia e larga maggioranza regionale si è formata non perché c’era bisogno di numeri per consolidare la maggioranza. Ma sulle cose da fare. E fino a che ci sarà l’utilità andremo avanti così».

Bruno Astorre non pronuncia a caso le parole. Meno ancora quando è sul palco. E ci sono le elezioni dietro l’angolo. Dice che c’è spazio per tutti. Che il Lazio è un’eccezione nazionale: anzi un vero e proprio modello di laboratorio politico, da tenere in vita.

Segnali di unità

Nicola Zingaretti

Manda segnali di coesione. Innanzitutto al suo Partito. Riconosce a Nicola Zingaretti il ruolo straordinario svolto in questi quindici anni. «Per immaginare il futuro bisogna vivere il presente e ricordare il passato. Grazie a Nicola Zingaretti sono 15 anni che vinciamo ovunque. Tre vittorie consecutive: la vittoria del 2008 alle provinciali, nel 2013 per la prima volta alle regionali e nel 2018 per la seconda volta quando nel resto d’Italia se perdevamo ovunque».

Astorre riconosce a Mauro Buschini (Pensare Democratico) il lavoro svolto per costruire il Modello Lazio e nella stessa serata a Nicola Zingaretti (area Bettini) la capacità di tenere unito il Partito ed una coalizione su un progetto di crescita del Lazio.

L’altro lato della medaglia. C’è chi quel Modello Lazio ora non lo vorrebbe. O vorrebbe partire da basi diverse, pensando che le prossime elezioni alzeranno steccati. Bruno Astorre è convinto del contrario. E che – qualunque cosa accada – il laboratorio realizzato in questi anni debba essere preservato. Soprattutto tenendo conto del Movimento 5 Stelle.

No deroghe, via i big ma il M5S resta

Roberta Lombardi (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

La decisione imposta da Beppe Grillo di non concedere deroghe fa tabula rasa nel Movimento 5 Stelle del Lazio. Spariscono tutti i big, soprattutto quelli che hanno costruito il dialogo con Nicola Zingaretti in Regione. (Leggi qui: M5S, no al terzo mandato: nel Lazio è tabula rasa).

Non significa affatto un azzeramento di quanto realizzato in questi anni. Lo mette in chiaro Roberta Lombardi, protagonista della stagione di collaborazione tra Pd e M5S alla Pisana. Anche lei dovrà lasciare le liste: è stata capogruppo a Montecitorio (celebre il confronto in streaming con l’allora Segretario Pd Pier Luigi Bersani) e poi capogruppo ed assessore in Regione Lazio.

«Ho intenzione di vincere con la coalizione di centrosinistra. Voglio tornare a chiudere le cose che devo ancora chiudere. Non vi libererete di me» ha detto oggi ai microfoni di Radio New Sound Level 90 Fm, a margine della trasmissione ‘Gli Insostenibili’. Lanciando due messaggi: la collaborazione tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico potrà proseguire anche nella prossima tornata, tutto dipende dal programma che la coalizione metterà a punto; il secondo messaggio è che ‘non candidabile‘ non significa ‘non nominabile ad assessore esterno‘.

Lombardi e Zingaretti

C’è un lavoro che nel Lazio ha preso forma proprio grazie al dialogo particolare che M5S e Pd hanno saputo costruire. È il caso della Strategia Regionale di Sviluppo Sostenibile, l’Agenda digitale, il lavoro sulle aree non idonee, il Piano Energetico Regionale presentato nelle ore scorse proprio con Nicola Zingaretti annunciando la totale autosufficienza energetica del Lazio nel 205 attraverso fonti rinnovabili. (Leggi qui Zero benzina, tutto green: la Regione Lazio del 2050).

«È importante questo ragionamento che abbiamo fatto all’interno della coalizione, anche con le altre forze politiche di centrosinistra, ovvero questo ‘Laboratorio Lazio‘. È stato molto fecondo, anche grazie a tutte le cose prodotte con questo investimento politico di voler creare un Assessorato dedicato specificatamente ai temi della Transizione Ecologica e Trasformazione Digitale di questa regione». Su più d’un tema il Lazio ha tracciato una rotta diversa da quella vista sul piano nazionale. Proprio per questo Roberta Lombardi raccomanda «di non andare a disperdere, per una competizione nazionale su cui evidentemente abbiamo una posizione diversa, questo lavoro importante e prezioso che stiamo concludendo in queste ultime settimane».

Virginia non c’è?

Virginia Raggi (Foto: Andrea Panegrossi / Imagoeconomica)

A favorire la continuazione del dialogo tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle in Regione Lazio potrebbe contribuire anche un altro elemento: l’assenza di Virginia Raggi dalle candidature.

La ex sindaca veniva considerata un elemento di potenziale discordia: lo ha detto giovedì il vice Segretario Regionale Pd Sara Battisti intervenendo alla Direzione. Ha messo in chiaro che se la capolista grillina alle Politiche a Roma dovesse essere Virginia Raggi, che è contro il termovalorizzatore del sindaco Roberto Gualtieri, rischiano di esserci pochi margini per un dialogo alle prossime Regionali.

Ma le possibilità di una candidatura Raggi sono ridotte. A causa dello stop alla deroga dei due mandati. Il suo è un caso particolare: siede in Campidoglio e per lei questo è il terzo mandato ma il primo viene considerato un ‘mandato zero‘ poiché la consiliatura Marino finì in anticipo grazie proprio al lavoro di logoramento condotto dai consiglieri grillini.

Per correre alle elezioni politiche ora Virginia Raggi dovrebbe lasciare il suo posto. E candidarsi per la quarta volta, in virtù del principio che non si conta il passaggio da un ruolo ad un altro; un principio che venne introdotto tra mille polemiche da Luigi Di Maio per Giancarlo Cancelleri, che ha lasciato la Regione Sicilia per andare a fare il sottosegretario. Ma quel principio non è applicabile a Virginia Raggi stando al parere dato in queste ore dall’avvocato Lorenzo Borré, protagonista di tutte le cause contro i vertici M5S, spuntandola il più delle volte. «Il ‘lodo Cancelleri’ – dice – non fa giurisprudenza, perché ha lasciato per un mandato non elettivo, è stato nominato. Raggi di mandati ne ha fatti già tre – spiega Borré – se prendiamo per buono il ‘mandato zero’ votato nel luglio 2020 siamo a due mandati per l’ex sindaca».

Uno spazio per Matteo

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Foto Paolo Lo Debole / Imagoeconomica)

Nel suo intervento di questa sera alla festa dell’Unità il Segretario Regionale Bruno Astorre è stato chiaro. Non ha parlato di Campo Largo. Ha usato l’espressione Modello Lazio. Significa che anche dopo Nicola Zingaretti dovrà restare il Modello Lazio e dovrà essere la base per la prossima coalizione. Un segnale per Matteo Renzi che in queste ore si è chiuso in ufficio per lavorare sulle liste di Italia viva nel caso in cui dovesse andare da sola. L’obiettivo è superare il 3% «e se le Letta perderà le elezioni il giorno dopo la sinistra dovrà aprire una riflessione». 

Il leader di Iv starebbe già componendo il puzzle delle liste concependole come una sorta di sabotaggio ragionato. Luigi Marattin sarebbe chiamato a scendere in campo contro Luigi Di Maio: «competenza contro superficialità. E sulla competenza ce la giochiamo». Ma anche «Una pasionaria comunista nel seggio di Letta». Per se stesso avrebbe in serbo un nuovo colpo a sorpresa: scendere in campo a Pisa, seggio dove l’ultima volta ha corso il leader di Si Nicola Fratoianni e dove incrociare anche Enrico Letta, in caso di trasloco del segretario del Pd dal ‘suo’ seggio di Siena a quello della sua città, Pisa.

Nel Laboratorio Lazio di Astorre c’è spazio anche per lui.