Il dibattito tra regnicoli e papalini. La Ciociaria con le sue due identità poco conciliabili. Ma forse un punto di contatto c'è. Perché questa non è terra di palazzi e castelli come Roma. Ma di abbazie e spirito. Che ci rendono un po' anarchici ed insofferenti al potere
L’amore non ha permesso a Dio di restare solo DIO
San Tommaso D’Aquino
Leggo su queste colonne un bellissimo articolo di Fernando Riccardi sulla nascita della provincia Ciociara e sulle due sue identità: quella papalina e quella del Regno delle due Sicilie. Una fusione a freddo secondo Riccardi. (leggi qui: Tra regnicoli e papalini: una provincia, due identità).
Premetto che sono papalino. Il mio paese è Sezze e lì l’edificio più in alto non è un castello, non è un tempio pagano o un palazzo nobiliare: è la chiesa dei gesuiti con annesso seminario. Terra di fede profonda e anche di anticlericali non da meno, non ami i preti se li conosci.
Il pensiero di Tommaso che ci unisce
Mentre ragionavo sulle tesi di Riccardi e rimuginavo sui miei gesuiti, mi illumina la richiesta di un mio amico. Salvatore Piccoli è come me socialista e che chiede il voto per il borgo più bello del Lazio: per Fossanova. Forse è qui che c’è la chiave identitaria delle comunità a sud di Roma ma non ancora regnicole: nella Fede delle abbazie, nella riflessione di San Tommaso d’Aquino sulla grandezza di Dio.
Sono le abbazie e la fede che legano il Lazio meridionale: la fede rispetto ai regni umani (fosse pure quello del Papa) è carsica, è profonda, è l’idea stessa dell’identità.
Le abbazie stanno non nei confini di Stati ma dentro l’anima di un popolo. Qui, nel Lazio meridionale, lontano dal bisogno barocco di Roma, dalla sontuosità del Rinascimento, sta la fede solida dei monaci, la riflessione solitaria sulla grandezza di Dio. La Ciociaria è definita per un calzare ma potrebbe chiamarsi monacacheria, federia, cristeria. Qui gli Stati, quello del Papa e quello del Re di Napoli, arrivavano a stento.
I soldati papalini quando decidevano di venire dalle nostre parti si facevano annunciare dal frastuono della banda, così i malfattori, i briganti pensavano bene di sparire. E loro, i soldati, se la cavavano con una passeggiata. I soldati napoletani non erano da meno. Per questo il nostro animo è antistatale, è anarchico. Qui, l’uomo ha rapporto con la sua anima non con la sua vita collettiva.
Nella stanza di Fossanova
A Fossanova la stanza dove “rifletteva” San Tommaso era angusta, spoglia: non aveva bisogno di segni del potere, di magnificenza. Ma solo di consapevolezza. Ecco l’anima ciociara e pontina sta qui: meno castelli più abbazie. E quando c’è bisogno invochiamo il Domine Iddio non lo Stato, non il signore del posto, non il Re. Siamo definiti per questa attenzione che avevano i monaci a ricordare a cercare Dio e non il potere civile.
A Norba gli uomini di Mario (oggi diremo democratici) che lottavano contro Silla e i suoi optimates, piuttosto che finire nelle mani del nemico si suicidarono tutti, come fecero gli ebrei contro i romani a Masada. Ecco, noi siamo questa antica gente che “pe lo giusto se fa accide” per dirla con Cesare Chiominto il grande poeta di Cori.
Un tempo avrei detto che non siamo uno Stato (una Provincia) ma una nazione che è figlia di mille sfumature diverse dentro quella comune fede che ci fa unici nel mondo.
C’è un film sul capitano di un sommergibile italiano, Salvatore Todaro, che aveva affondato in atlantico una nave belga. Dopo l’assalto si è accorto che in mare c’erano 26 naufraghi. L’ordine era di ignorare i naufraghi, Todaro non solo li rimorchiò ma li fece salire a bordo del sommergibile e li sbarco alle Azzorre sani e salvi. L’ufficiale belga in seconda gli domandò: “Capitano ma perché lo avete fatto, non aveva questi ordini”. Todaro risposte: “perché sono italiano ed ho 2000 anni di storia e non si lasciano uomini in mare.”