Quando il tesoro di S. Gennaro e quello di Montecassino viaggiarono insieme

Il rocambolesco viaggio delle opere d'arte minacciate dalla guerra ed un ritorno difficile tra peripezie, dittatori ingordi ed equivoci

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Nell’estate del 1943 erano presenti a Montecassino una gran quantità e varietà di beni preziosi. In sostanza si trattava: dei beni privati di Montecassino (opere d’arte, carte, arredi, manufatti religiosi, libri, ecc.); dei beni di proprietà statale, nella fattispecie la Biblioteca monumentale formata da circa 70.000 volumi. E poi l’Archivio con circa 80.000 pezzi tra documenti, manoscritti, codici, incunaboli ecc.

A tutto questo complesso di beni si erano venuti ad aggiungere quelli portati in deposito a Montecassino tra la fine del 1942 e l’estate del 1943. Da Napoli era giunto appunto il Tesoro di San Gennaro e poi erano stati trasferiti quadri, tele, oggetti preziosi. Erano provenienti dal Museo Archeologico Nazionale e dalla Galleria di Capodimonte nonché materiali utilizzati per la Mostra d’Oltremare del 1940 e rimasti a Napoli a causa dello scoppio della guerra. Tutti beni portati a Montecassino da Amedeo Maiuri e Bruno Molajoli. (Leggi anche Montecassino, il Tesoro di San Gennaro e il suo salvataggio).

Ancora da Napoli erano arrivate le carte dell’Archivio Savoia provenienti dalla residenza reale dei Savoia a Napoli (Villa Rosebery o Villa Maria Pia). Invece da Roma erano giunti alcuni beni del Museo Keats e Shelley oppure dalla lontana Siracusa i beni del Museo Archeologico.

Beni statali e di Montecassino

La biblioteca di Montecassino (Foto: AG. Dire)

La distinzione più importante che può essere fatta relativamente ai beni presenti a Montecassino è quella che riguarda la loro proprietà. Innanzi tutto sono due le categorie che differenziano i beni. Da un lato i beni privati di Montecassino, dall’altro i beni di proprietà statale. In sostanza allora, come ancora oggi, a Montecassino la parte più cospicua è rappresentata dall’Archivio e dalla Biblioteca. Che erano (e lo sono tutt’ora) beni di proprietà dello Stato italiano, pur se gestiti dai monaci benedettini. 

Dunque l’Archivio e la Biblioteca presenti a Montecassino erano (e lo sono tutt’ora) beni di proprietà dello Stato italiano, pur se gestiti dai monaci benedettini. Sono divenuti di proprietà pubblica in seguito all’entrata in vigore delle leggi di soppressione degli ordini religiosi approvate nel 1866 e nel 1867. Cioè all’indomani dell’Unità d’Italia (l. 7 luglio 1866 n. 3036 e l. 15 agosto 1867 n. 3848). La maggior parte dei monasteri furono chiusi e anche per i benedettini il colpo fu molto duro.

Poterono continuare a operare solo poche grandi abbazie come Montecassino (oppure Cava de’ Tirreni, la Certosa di Pavia, S. Martino della Scala). L’abbazia di Montecassino fu dichiarata monumento nazionale e divenne una proprietà demaniale. Con i monaci cassinesi che riuscirono a conservarla «occupandola come custodi di un bene dello Stato».

Schlegel, Becker e l’abate Diamare

Julius Schlegel e Maximilian Becker

La diversificazione della proprietà dei beni venne prospettata dall’abate Gregorio Diamare fin da subito ai due ufficiali della «Divisione Göring» (Julius Schlegel e Maximilian Becker) giunti a Montecassino il 14 ottobre 1943. Poi le autorità militari germaniche ripresero pari pari tale distinzione che adottarono e fecero propria. In sostanza in quei primi colloqui l’abate aveva voluto precisare la proprietà dei beni proprio come strenuo tentativo. (Leggi qui: Quel 14 ottobre quando dall’abate andarono in due: fedeli al Reich).

Questo per evitare il trasferimento dell’Archivio e della Biblioteca. La precisazione che erano di proprietà statale stava a significare che il prelevamento e il trasporto altrove di tutti quei materiali aveva bisogno dell’autorizzazione dei competenti organi ministeriali italiani. (Allora il dicastero dell’Interno per l’Archivio e quello dell’Educazione Nazionale per la Biblioteca). Un tentativo rivelatosi fin da subito infruttuoso perché ai due ufficiali germanici poco importava di autorizzazioni e carte burocratiche italiane.

Per di più ai materiali di proprietà dello Stato italiano di cui l’abate di Montecassino fungeva da conservatore, si erano andati ad aggiungere quelli provenienti da Napoli (oltre che da Siracusa che erano sempre beni di proprietà statale). Oltre a opere d’arte, beni e materiali da Napoli e dal napoletano in genere in quei frangenti erano arrivati nel territorio dall’alta Campania e dell’odierno Lazio meridionale moltissime persone.

“Il ventre della vacca” dei De Crescenzo

Luciano De Crescenzo (Foto Paris © Imagoeconomica)

Persone che fuggivano dai martellanti bombardamenti cui era sottoposta la città partenopea e le aree limitrofe. Ad Atina, ad esempio, erano giunte una decina di suore della Carità provenienti da Fuorigrotta. Religiose che andarono ad aiutare le consorelle nella gestione dell’Asilo infantile Beatrice appunto di Atina. «Strano destino» perché tre religiose che erano scappate da Napoli morirono ad Atina nel corso del primo bombardamento subito dalla cittadina il 5 novembre 1943.

L’altro caso sempre citato è quello di Luciano De Crescenzo. Il padre voleva portare la sua famiglia in un luogo sicuro, «nel ventre della vacca» come scrisse lo stesso De Crescenzo. Tuttavia acquistò un biglietto familiare per assistere allo spettacolo non in prima fila ma proprio al centro dello spettacolo avendo raggiunto la campagna di S. Giorgio a Liri. In prima linea sulla Linea Gustav. 

Nel caso delle opere d’arte giunte a Montecassino, quando Schlegel e Becker iniziarono a ideare, ipotizzare, progettare le operazioni di salvataggio, non ne immaginavano minimamente la presenza a Montecassino. Lo scoprirono subito dopo il primo incontro con l’abate avvenuto il 14 ottobre 1943. E fu una scoperta del tutto casuale. Infatti in abbazia incontrarono alcuni custodi del museo e degli scavi di Pompei che Maiuri aveva fatto rimanere a Montecassino a protezione dei materiali depositati.

Due custodi e un inventario

Il colonnello Schlegel con l’abate Gregorio Diamare (Bundesarchiv)

Essi indossavano la divisa da custodi dei musei per cui furono immediatamente notati dai due ufficiali germanici. Per di più uno di essi aveva fatto da guida a Becker quando il giovane medico tedesco aveva visitato gli scavi di Pompei. Erano stati sorpresi da un attacco aereo alleato e il custode, che era rimasto ferito, fu medicato da Becker. Ovviamente la presenza di 187 casse di quadri e statue provenienti da Napoli aumentò di molto l’interesse degli uomini della «Divisione Göring».

Questa era una atipica unità militare che combatteva tra alta Campania e Lazio meridionale e portava il nome di Hermann Göring, l’alto gerarca del nazismo, il numero 2 del regime, secondo appunto solo a Hitler. Lo stesso führer gli aveva conferito una carica appositamente istituita, quella di Reichmarshall, cioè «Maresciallo del Reich», titolo che non aveva precedenti e che lo aveva reso il più alto ufficiale della Wehrmacht. 

La catena di comando della «Divisione Göring» sapeva perfettamente del forte interesse che Hermann Göring aveva nei confronti delle opere d’arte. Nonché delle sue mire accaparratrici di beni in Italia, in Francia e nel resto d’Europa.

Anche Hitler si era accaparrato molte opere d’arte italiane ma non le aveva razziate. Infatti le acquistava, le pagava e faceva pressioni sulle autorità italiane perché ne autorizzassero l’esportazione. (come avvenne per il Discobolo Lancellotti e tante altre). Questo contro le stesse leggi italiane che vietavano il trasferimento al di fuori dei confini nazionali dei beni posti sotto tutela. 

Il museo del Fuhrer in Austria

Benito Mussolini e Galeazzo Ciano

L’«incetta» di opere d’arte italiane era avvenuta con il beneplacito, l’interessamento o la connivenza dei massimi esponenti fascisti, a partire dallo stesso Benito Mussolini o dal genero Galeazzo Ciano. Che si erano adoperati nel favorire la fuoriuscita di capolavori d’arte italiani verso la Germania non solo prima ma finanche nei mesi di guerra, beni che erano stati acquistati per conto di Hitler se non addirittura donati da loro stessi.

Tale «incetta» era stata facilitata dal principe tedesco Filippo d’Assia che aveva sposato Mafalda di Savoia, la figlia di re Vittorio Emanuele III. (Fra l’altro dopo l’8 settembre 1943 Hitler fece arrestare Filippo d’Assia, che era un ufficiale delle SS presso il quartier generale a Berlino. E con l’accusa di aver preso parte al complotto del suocero che aveva portato alla destituzione di Mussolini. Lo fece internare nel campo di Flossemberg mentre la moglie, la principessa Mafalda, fu deportata a Buchenwald dove morì in seguito a un’operazione chirurgica non necessaria.

Il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, ritiene che Mafalda sia stata intenzionalmente operata in ritardo, seppur con procedura in sé impeccabile: un trucco per provocarne la morte. La tattica delle operazioni esageratamente lunghe o ritardate era già stato applicato a Buchenwald ed eseguito sempre dalle SS su alte personalità di cui si desiderava sbarazzarsi. Venne seppellita, come esempio di spersonalizzazione, in una fossa comune con un nome falso: frau Von Weber

Hitler aveva cominciato ad acquisire le opere d’arte perché intendeva esporle nel Führermuseum che nei suoi progetti doveva diventare, a fine guerra, il più grande e importante museo d’Europa. E che doveva essere costruito non in Germania, né a Berlino o in altra città tedesca, ma in Austria, a Linz, città destinata a divenire la capitale artistica del Terzo Reich. Un’idea balenata al führer visitando gli Uffizi e Palazzo Pitti a Firenze nel maggio 1938.

La villa del Feldmaresciallo fuori Berlino

Hermann Göring

Dal canto suo Hermann Göring aveva iniziato a concentrare migliaia di beni preziosi nella sua tenuta di campagna ubicata a qualche chilometro da Berlino. E che a fine guerra avrebbe voluto trasformare in Museo e che egli aveva chiamato Carinhall in onore della sua prima moglie, Carin Fock, baronessa svedese morta nel 1931. Carinhall, dove Göring riceveva Hitler e gli altri gerarchi nazisti, era, divenuta la destinazione di molti tesori d’arte saccheggiati in tutta Europa.

Quadri del Rinascimento italiano acquistati o donati e illegalmente trasferiti, opere tedesche e fiamminghe, grandi statue classiche prelevate in Francia. E poi tele e beni provenienti da importanti collezioni di famiglie di ebrei in Europa. Se nel 1939 la collezione di Göring si componeva di solo 200 opere d’arte, al momento del suo arresto nel 1945 gli Alleati inventariarono, nella sua grandiosa collezione, più di 2000 oggetti.

Tornando alle questioni di Montecassino dell’autunno 1943, la distinzione tra beni privati di Montecassino e beni statali, fatta propria, come già detto, dai tedeschi aveva determinato fatti. Per prima cosa che militari e ufficiali della «Divisione Göring» non interferirono mai nelle operazioni di imballo dei materiali. Essi, cioè, lasciarono ai monaci la libertà più assoluta nella predisposizione dei materiali da inserire nelle casse di trasporto.

Dove riporre le opere lo decisero i monaci

(Foto Archivio Privato Abbazia di Montecassino)

Furono dunque i benedettini cassinesi a stabilire dove riporre di volta in volta i materiali, se cioè nelle casse contenenti i beni privati o quelle con i beni statali. I tedeschi non effettuarono mai dei controlli sul contenuto delle casse. Essi «semplicemente stettero» alle attestazioni dei monaci cassinesi su ciò che dell’Archivio apparteneva allo Stato italiano. E su ciò che era di loro proprietà. Il solo limite stabilito da Schlegel era rappresentato dal peso degli effetti personali che ogni monaco portava con sé perché non poteva superare i 30 chili.

Proprio quella libertà lasciata nelle fasi di imballaggio offrì ai monaci l’opportunità di celare fra le cose di Montecassino anche altri beni preziosi. Come appunto il Tesoro di San Gennaro oppure il medagliere di Siracusa o i memorabilia del Museo Keats. Tutti beni della cui presenza a Montecassino i tedeschi non ebbero mai sentore, né si accorsero mai di averli inconsapevolmente trasportati e messi al sicuro a Roma.

Infatti la distinzione della proprietà dei materiali comportò che i beni privati cassinesi furono caricati su automezzi che partirono alla volta di Roma per essere scaricati al collegio di Sant’Anselmo all’Aventino. Oppure all’abbazia di S. Paolo fuori le mura. Va aggiunta, come altra opera altamente meritoria dell’abate Diamare, quella di essere riuscito a trasferire da Montecassino a Roma un’ottantina di persone: monaci, sacerdoti, suore, orfanelle e qualche civile. Mettendo in salvo vite umane dalla distruzione successiva.

L’ordine alla divisione, di restituire tutto

(Foto: Archivio Privato Abbazia di Montecassino)

Invece i beni statali, quelli gestiti dai cassinesi e quelli provenienti da Napoli, presero una strada diversa. I tedeschi li portarono a Spoleto. In una villa che la «Divisione Göring» utilizzava come deposito. Inizialmente il luogo in cui erano giunti era rimasto segreto. Non ne erano a conoscenza i monaci cassinesi né le autorità italiane del ministero dell’Educazione Nazionale. Ma neppure le stesse autorità diplomatiche e quelle militari tedesche (e cioè né il feldmaresciallo Kesserling né l’ente tedesco appositamente costituito per la gestione delle opere d’arte italiane che si chiamava Kunstschutz). 

Alla fine i vertici militari germanici riuscirono a imporre alla «Divisione Göring» la restituzione all’Italia di quei beni che erano stati portati a Spoleto. Ma solo dopo decisi interventi, in primis del feldmaresciallo Albert Kesserling e, presumibilmente, anche dello stesso Hitler.

La riconsegna dei beni e dei materiali che erano stati prelevati a Montecassino fu fatta dalla stessa «Divisione Göring». La restituzione fu effettuata nel corso di due distinte cerimonie organizzate dalle autorità militari tedesche. Infatti i tedeschi unilateralmente operarono una nuova distinzione, questa volta all’interno della stessa proprietà statale. I beni di proprietà statale ma in custodia ai monaci di Montecassino vennero restituiti, tutti, nel corso di una cerimonia tenutasi l’8 dicembre 1943 a Roma a Castel S. Angelo.

La cerimonia vicino Castel S. Angelo

La restituzione delle opere portate via da Montecassino. Sullo sfondo i dodici autocarri della Goering

Dodici autocarri militari della «Divisione Göring», dopo aver caricato i materiali a Spoleto giunsero a Roma. Fecero una sosta davanti al Colosseo, percorsero il lungotevere Tordinona, si infilarono lungo Ponte S. Angelo e si arrestarono in fila indiana sul lungotevere di Castel S. Angelo. A mezzogiorno si tenne una breve cerimonia con autorità militari germaniche, autorità ministeriali italiani, religiosi e monaci in rappresentanza di Montecassino.

Nell’occasione furono riconsegnate 235 casse di libri della Biblioteca, 26 casse contenenti codici e 128 «capsule» (o tiretti aperti, inchiodati a gruppi di quatto) con materiali d’archivio. Poi nei giorni successivi i materiali vennero caricati su autocarri italiani e portati in Vaticano. (Questo doppio passaggio perché i mezzi militari tedeschi non avevano accesso nella Santa Sede).

Invece i beni di proprietà statale provenienti da Napoli-Montecassino-Spoleto vennero restituiti nel corso di una successiva cerimonia tenutasi sempre a Roma ma in luogo differente rispetto alla prima. Infatti per volontà dei tedeschi la riconsegna fu fatta a Piazza Venezia. Un luogo emblematico e carico di significato poiché tante volte nel ventennio Mussolini si era affacciato dal balcone del palazzo omonimo per rivolgersi al popolo italiano.

Piazza Venezia per altre 172 casse

Palazzo Venezia e la piazza

Quaranta autocarri della Divisione «Hermann Göring» provenienti da Spoleto giunsero verso le 10 del mattino a Roma e dopo aver percorso Corso Umberto, si andarono ad allineare a Piazza Venezia. A mezzogiorno iniziò una «breve e austera cerimonia» nel corso della quale furono consegnate 172 casse. E nel corso della quale fu consegnato al comandante della piazza militare di Roma un attestato di ringraziamento da parte delle autorità statali della Repubblica Sociale Italiana.

Fin dai primi momenti i funzionari della Direzione delle Arti del ministero dell’Educazione Nazionale si erano accorti che molte casse erano state aperte. Che altre erano prive di imballaggi e che molte opere risultavano danneggiate. Soprattutto constatarono che c’era un salto nella numerazione progressiva e che dunque mancavano quindici casse. I tedeschi inizialmente si schernirono affermando che due camion avevano avuto un’avaria lungo il percorso per cui sarebbero giunti in ritardo.

Tuttavia nessun altro automezzo arrivò mai a Roma. Le casse avevano preso la strada per Berlino. Infatti mentre quei beni si trovavano in giacenza nel magazzino di Spoleto, era giunto da Berlino un esperto d’arte collaboratore di Göring. Che aprì molte casse e scelse dei quadri da inviare in Germania. 

In sostanza il particolare fervore della «Divisione Göring» aveva fatto giungere nella capitale del Terzo Reich vari capolavori. Al fine di compiacere Hitler, e infatti la statua dell’Apollo citarista che andò in dono a Hitler, il quale la tenne in casa.

I cervi di Goering e il silenzio a Norimberga

Rodolfo Siviero dopo aver recuperato la Danae di Tiziano

Tuttavia il fervore dell’operato della «Divisione Göring» era stato teso soprattutto ad accondiscendere Hermann Göring. Infatti tutti gli altri capolavori provenienti da Napoli-Montecassino-Spoleto arrivarono a Carinhall. Tra essi il quadro della Danae di Tiziano. Quadro che Göring il 12 gennaio 1944, nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno, mostrò compiaciuto ai suoi invitati. Göring, secondo Rodolfo Siviero, fece collocare il quadro della Danae sul soffitto della sua camera da letto in modo da poterlo rimirare quando si sdraiava. «Poi stanco, ne fece una spalliera del letto».

Göring fu altrettanto compiaciuto dell’arrivo dei due cerbiatti di Ercolano, immortalati in varie fotografie, «esposti all’aperto, su piedistalli» a fare da corona all’«elemento più ricorrente del mondo iconografico» del gerarca nazista. Cioè i cervi, abbondantemente rappresentati nelle decorazioni, negli arazzi, o statue. Va aggiunto che quando a fine guerra Göring fu arrestato e processato a Norimberga, negli interrogatori non confermò mai le sue responsabilità in merito alla vicenda dei beni di Napoli-Montecassino-Spoleto.

Ma «astutamente imputò l’iniziativa del furto» alla «Divisione Göring». Nonostante fossero stati ritrovati i documenti, «dichiarò di aver trattenuto per sé solo la statua di un santo … ritrovata tra le rovine di Cassino … un oggetto insignificante». E dal valore «tra 50 e 60 marchi e non un’opera d’arte»

Il viaggio su un treno blindato

La Madonna con Bambino, opera di Michelangelo Buonarroti

Negli ultimi mesi di guerra mentre la città di Berlino iniziava a essere sempre più minacciata dall’arrivo dell’Armata Rossa, le opere d’arte razziate e giunte nella capitale del Reich, compresi i tesori di Carinhall, furono caricate a bordo di un «treno blindato che si spostava continuamente a seconda delle posizioni del fronte». Quindi il 14 marzo 1945 con degli autocarri le opere, e fra esse quelle provenienti da Napoli-Montecassino-Spoleto, furono trasportate.

«In due tappe, a causa della neve; male incassate le sculture e senza alcuna protezione i dipinti» in una miniera di sale ad Altaussee una cittadina a 70 chilometri da Salisburgo, in Austria. Nel frattempo, il 28 aprile. Göring distrusse la residenza di campagna di Carinhall per evitare che cadesse nelle mani dei sovietici. E riducendola a un cumulo di macerie compresi tutti i beni preziosi che non erano stati portati via.

Nella miniera di sale erano concentrate decine di migliaia di opere provenienti da tutta Europa fra cui la scultura di marmo della Madonna col Bambino di Michelangelo (che poi ha dato l’ispirazione al film Monuments Man con George Clooney che paradossalmente si apre con una immagine di Montecassino ma poi delle vicende cassinesi non ne viene fatto assolutamente cenno).

Arrivano gli americani

I soldati americani con le opere d’arte

Le opere nascoste ad Altausee furono rinvenute dagli Alleati, anche su segnalazione dei servizi segreti italiani. Esse furono portate a Monaco di Baviera, poste sotto la giurisdizione degli Stati Uniti. Fu grazie all’abilità diplomatica di Rodolfo Siviero e di Giorgio Castellano se le opere furono restituite all’Italia. Non fu facile per la delegazione italiana convincere gli Stati Uniti.

Anche perché alcune nazioni come la Jugoslavia e la Grecia ne chiedevano il sequestro e l’assegnazione come risarcimento dei danni alle loro opere d’arte durante il periodo di occupazione italiana. Alla fine una quarantina di opere provenienti da Napoli-Montecassino-Spoleto, per la maggior parte dei musei partenopei oppure materiali utilizzati per la Mostra d’Oltremare, furono portate a Bolzano e restituite all’Italia.

Tutto quel complesso di beni fu esposto a villa Farnesina, a Roma in una mostra inaugurata il 9 novembre 1947 alla presenza di Alcide De Gasperi. Poi del capo provvisorio dello Stato il napoletano Enrico De Nicola, del gen. Lucius Clay comandante americano responsabile della gestione del deposito alleato di Monaco di Baviera.

Statue decapitate ed arti spezzati

Il discobolo Lancellotti

Le opere furono esposte così come erano arrivate dalla Germania anche danneggiate come la statua dell’«Hermes in riposo» che risultava priva della testa oppure uno dei cerbiatti di Ercolano che aveva gli arti inferiori spezzati. Rimaneva un altro importante problema e cioè il rientro in Italia di altri beni giunti in Germania. Come il Discobolo Lancellotti o le pale dell’altare di Vipiteno e altri beni. Infatti tecnicamente non si trattava di opere rubate in quanto erano state acquistate oppure donate.

Tuttavia si trattava di opere che erano state esportate illegalmente. Ancora una volta a consentire il recupero di quelle opere fu la costanza e la perseveranza di Rodolfo Siviero e di Giorgio Castellano. Che dovettero vincere anche la resistenza di alcuni studiosi e intellettuali tedeschi i quali interessarono della questione perfino il presidente americano Truman. Al quale chiesero di vietare la restituzione sostenendo che i beni non erano stati razziati o rubati durante la guerra ma vi erano giunti in seguito al loro acquisto o alla loro donazione.

Alla fine gli americani restituirono all’Italia un complesso di opere costituito da una quarantina di tele, più numerosi altri pezzi (arazzi, terracotte, manoscritti, statuette). Venne organizzata una «Seconda Mostra delle Opere d’Arte recuperate in Germania» che si tenne a Roma nel 1950 e a Firenze nel 1952. 

Viaggi pericolosi e bombardamenti aerei

Comunque non tutto ritornò in Italia. Alcune opere sono andate disperse. Qualcosa è stata recuperata decenni dopo rinvenuta negli Stati Uniti o dopo la caduta del muro di Berlino. Si presume che alcune siano andate a finire nell’ex Unione Sovietica razziate da militari dell’Armata Rossa.

Foto: Sgt. McConville / Collections of the War Imperial Museum

Alcuni aspetti particolari:  tutti gli automezzi partiti da Montecassino nel periodo dal 16 ottobre al 3 novembre 1943 raggiunsero le destinazioni d’arrivo senza patire alcun danneggiamento. Complessivamente sugli automezzi della «Divisione Göring» furono caricati i beni più di 500 casse e di 128 capsule.

Nonché quadri, tele e altri materiali trasportati senza imballaggi, cornice contro cornice, senza protezioni ma «neanche un camion fu annientato, dei tesori d’arte nulla fu distrutto, niente subì il minimo danno». Qualche camion fu oggetto di attacchi aerei che però non provocarono nessun danno. Una volta tra due autocarri che viaggiavano, come era stato loro ordinato, a trecento metri l’uno dall’altro, si inserì un terzo automezzo militare. Il convoglio fu attaccato da un aereo che distrusse il mezzo non proveniente da Montecassino, mentre gli altri due poterono riprendere il viaggio.

Più in generale, negli anni di guerra, e ancor di più nel corso del 1943-1944, si assistette a un vorticoso giro di trasferimenti di beni. Beni del patrimonio artistico nazionale dall’inestimabile valore spostati dalle sedi d’origine in luoghi ritenuti più sicuri, seppur soggetti a essere rimossi in caso fossero stati minacciati dagli eventi bellici o da fattori esterni, fino al definitivo ricovero in Vaticano.

Non una perdita

Uno dei pezzi del Tesoro di San Gennaro custodito a Montecassino

Con viaggi man mano sempre più rischiosi e pericolosi a causa dell’avvicinarsi del fronte di guerra. Fatti con mezzi (camion, autovetture ma anche con voli aerei) avviatisi sulle vie dell’Italia prima dai vari centri verso la periferia e poi dai depositi decentrati in direzione della Santa Sede. E percorrendo centinaia e centinaia di chilometri su strade dissestate, talora sotto attacchi aerei e mentre infuriava la battaglia, molto spesso con il favore dell’oscurità.

Anche a fari spenti e al buio per non essere individuati, a volte sotto una pioggia torrenziale o con freddo intenso, neve, nebbia, ghiaccio, dovendo provvedere a imballare le opere, a caricarle, sovraccaricando i veicoli. E poi a scaricarle, preoccupandosi di reperire, sempre con estrema difficoltà, i mezzi da adibire al trasporto e i carburanti. Superando enormi difficoltà compresi i timori degli autisti, con il coinvolgimento di molto personale del ministero dell’Educazione Nazionale, dirigenti, funzionari, soprintendenti, custodi, facchini e poi imballatori, autisti, operai, scortati talvolta da poliziotti italiani ma soprattutto da ufficiali tedeschi delle SS.

In quel frenetico turbinio di trasporti non un solo camion venne perso in seguito ad attacchi bellici. Non una sola opera d’arte andò distrutta e nemmeno danneggiata nonostante le numerose operazioni di carico e scarico dei materiali effettuate anche sotto i bombardamenti e nonostante il transito su strade quasi impercorribili. 

Cosa ritornò a Montecassino e Casamari

I beni che giunsero a Montecassino provenienti da Roma furono: i memorabilia del Museo Keats e Shelley. Ma si tratta di una scelta fatta da un ente privato; il medagliere di Siracusa recuperato nella città siciliana e portato con un rischioso viaggio aereo a Roma e da qui a Montecassino. Null’altro giunse dalla capitale italiana.

Eppure la Direzione delle Arti del ministero dell’Educazione Nazionale girò in lungo e in largo il territorio delle province laziali. Alla ricerca di ricoveri sicuri (sia dalla guerra sia da agenti esterni) dove depositare beni e materiali. Individuandone parecchi, dove poi finirono le opere d’arte di Roma e di altre città laziali (identica situazione a quella vissuta da dirigenti e soprintendenti di Napoli come Molajoli, Maiuri ecc.).

Vari beni culturali preziosi furono portati anche in provincia di Frosinone, specificatamente nell’abbazia cistercense di Casamari. Si dovette anche provvedere a realizzare a spese del ministero dell’Educazione Nazionale delle opere murarie per l’adeguamento del deposito. Questo al fine di renderlo più sicuro da eventuali sottrazioni e furti ma soprattutto per preservare i quadri e le altre opere dall’umidità.

Salvo poi dover spostare altrove le tele trasportandole vie a causa del manifestarsi di danni dovuti, appunto all’umidità). Invece Montecassino non vIene presa in considerazione come luogo di deposito da parte dei funzionari della Direzione delle Arti di Roma. Rimane da capire se a Roma, già prima dell’arrivo del fronte di guerra, avessero intuito la potenziale minaccia che gravava sull’abbazia cassinese.

Cosa che però appare difficile. Allora è come se quasi quasi fosse ancora riconosciuta un’appartenenza territoriale di Montecassino e Cassino alla Campania. E dunque quasi come se l’abbazia fosse di competenza delle soprintendenze di Napoli e non di quelle di Roma e del Lazio. (D’alta parte nella geografia ecclesiastica italiana Montecassino ha fatto parte fino a qualche decennio or sono della regione ecclesiastica campana).

Il convegno con Dom Fallica

dom Luca Fallica

Di queste cose se ne è parlato in un interessantissimo convegno tenuto il 18 novembre 2023 presso il Duomo di Napoli (Cappella del Tesoro di San Gennaro). Convegno dal titolo Il trasferimento del Tesoro nella Seconda Guerra Mondiale che ha visto le introduzioni di mons. Vincenzo De Gregorio (Abate Prelato della Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro). Poi di Dom Luca Fallica (Abate di Montecassino).

E con gli autorevoli interventi di Alessandra Rullo (Museo e Real Bosco di Capodimonte) La salvaguardia dei beni culturali a Napoli prima e durante il secondo conflitto mondiale. Di Laura Giusti (Museo del Tesoro di San Gennaro) Il ricovero del Tesoro di San Gennaro a Montecassino. Di Gaetano de Angelis Curtis (Università degli Studi di Cassino) I beni culturali a Montecassino: proprietà, deposito, prelievo, riconsegna, recupero, le conclusioni. E la moderazione di mons. Doriano Vincenzo De Luca. Un altro importante incontro sarà svolto il due dicembre 2023 nella Sala S. Benedetto a Montecassino.

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Le questioni relative ai beni culturali negli anni di guerra, e tante altre, si ritrovano nel volume, appena edito, di Gaetano de Angelis-Curtis, Il salvataggio dei beni artistici, culturali e religiosi nel 1939-1944 tra Montecassino e le località di deposito dell’Italia centrale. Cdsc-Aps, Cassino 2023, pp. 176, formato 21×29,9, prezzo 30 euro.