Perché non serve recriminare (di G. Lanzi)

Un metro di giudizio a 10’ dalla fine è diverso da quello che il direttore di gara ha tenuto fino a quel momento. Esattamente come a 10’ dalla fine spesso la tattica studiata a tavolino salta in gloria e ci si affida alla ‘garra’. E’ andata, recriminare a 7 giornate dalla fine non serve a niente perché fa dissipare solo energie.

Giovanni Lanzi

Se lo chiamano 'Il Maestro' non è un caso

Gli esami non finiscono mai. Come le partite del campionato di serie B. Infatti, cinque delle nove disputate sabato scorso hanno mutato fisionomia nei minuti di recupero (pari dello Spezia al 93’, pari del Carpi a Brescia al 94’, pari del Pescara in casa col Bari al 93’) e due in piena zona Cesarini (pari del Perugia in casa con lo Spezia e pari della Cremonese a Palermo).

Si è sempre detto che una gara è fatta di più gare messe insieme. Mai dire mai infatti. Mai dare per scontato che quanto può valere al 25’ del primo tempo, possa avere lo stesso ‘canovaccio’ magari a metà della ripresa. Gli allenatori lo sanno. Non a caso si parla di ‘chimica’ di una partita. Vale per chi la gioca e probabilmente vale anche per chi la arbitra. Cambiano le prospettive ma la sostanza è che quei 90’ e passa sono un coacervo di situazioni con le quali bisogna convivere con gli anticorpi giusti e dentro le quali soprattutto il cervello non deve essere mai disconnesso.

E così un metro di giudizio a 10’ dalla fine è diverso da quello che il direttore di gara ha tenuto fino a quel momento. Esattamente come a 10’ dalla fine spesso la tattica studiata a tavolino salta in gloria e ci si affida alla ‘garra’.

La controprova si è avuta in Frosinone-Spezia. Al termine della quale i giallazzurri hanno sommato al rammarico di aver pareggiato e quindi non aver allungato dal Palermo e dalla muta di cani affamati che per fortuna fanno a gara a rallentare perché tutti un po’ spompati, a quello essersi visti comminare un rigore contro perché quella maglietta del 17enne Mulattieri si è allungata come un chevin-gum e non ne voleva sapere di tornargli a fasciare il corpo. Il baby ligure ha fatto di tutto per divincolarsi, evidentemente i segreti del calcio debbono ancora raccontarglieli, sono fermi ai primi capitoli. Mulattieri ha fatto di tutto per evitare che l’ineffabile Minelli di Varese mettesse il fischietto alla bocca e indicasse tra lo stupore del traffico dell’area di rigore e quello dei 10.000 e passa spettatori, il dischetto dagli undici metri. Prima ancora c’era anche una probabile espulsione per il ligure Ammari, ex Latina. Minelli ha fatto finta.

 

E’ andata, recriminare a sette giornate dalla fine non serve a niente perché fa dissipare solo energie. Diceva quel vecchio marpione di Vujadin Boskov, “è rigore quando arbitro fischia”. E visto che ha fischiato, amen. Boskov diceva anche che “pallone entra quando Dio vuole” e che “allenatore deve essere allo stesso tempo maestro, amico o poliziotto?” ma questa già è un’altra cosa. Perché Dio evidentemente non ha voluto far entrare due o tre palloni invitanti come un barattolo di Nutella e quanto a Longo adesso più che mai deve coniugare le ‘tre fasi di Boskov’ al meglio. Perché gli esami non finiscono mai.

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