Il post Frosinone-Roma è un risveglio amaro. Ma anche di certezza: Baroni ha trasformato una rosa disorientata in una squadra con degli obiettivi. Non accontentarsi del pari contro la Roma è la dimostrazione rassicurante di quale squadra scenderà in campo per la salvezza
Il post Frosinone-Roma è un risveglio amaro. È uno di quei giorni con la memoria incagliata ai quegli ultimi 50’’ di gara. Alle lacrime calde che scendono incontrollate sul volto di molti dopo il goal di Pinamonti. Adulti che piangono di gioia come bambini. Poetico e tragico come è l’amore per questi colori quando vedi sfumare il risultato all’ultimo secondo.
È uno di quei giorni in cui non riesci a smettere di pensare alla tribuna che esulta in massa dopo i goal della Roma. Scomposta, prepotente e con l’arroganza di chi si sente a casa propria. Peccato che lo Stirpe sia lo stadio del Frosinone Calcio e non della squadra capitolina. Un affronto rincarato dai gesti alla “Simeone maniera” che i tifosi giallorossi presenti in Tribuna si sentono in diritto di mettere in scena indisturbati.
Esiste un confine nemmeno tanto sottile fra la libertà di tifare la propria squadra e sentirsi libero di offendere e istigare a casa d’altri. Si chiama rispetto. Il rispetto che si deve a chi ti ospita a casa propria. Battibeccare con in padrone di casa è legittimo, insultarlo e mandarlo a quel paese implica il rischio di diventare, a ragione, ospite non gradito.
Sul fronte settore ospiti, cambiano i colori ma la musica resta la stessa di Frosinone-Lazio. “Tornerete in serie B”, “Nun se vedemo più. Ce salutiamo adesso”. In mancanza d’altro, perfino la retrocessione del Frosinone – finora solo ipotetica – è fonte di soddisfazione e orgoglio. Si fa quel che si può. O meglio, ognuno gioisce di ciò che possiede.
Il post Frosinone-Roma è un risveglio che sa di insofferenza e rammarico. Inutile e controproducente tirare in ballo gli errori sportivi dei singoli. Se il Frosinone è stato in grado di mantenere aperta la gara fino all’ultimo minuto di recupero è merito di tutti, indistintamente. È merito di mister Baroni che ha trasformato una rosa disorientata e demotivata in una squadra compatta e con degli obiettivi.
Discutibili e inappropriati sono stati i fischi – pochi ma chiaramente udibili – all’indirizzo di Molinaro, al momento del suo ingresso in campo al posto di Beghetto. Discutibili perché il suo rendimento di inizio campionato è stato fortemente condizionato da un ruolo che lo ha penalizzato e che non gli ha dato la possibilità di esprimersi al meglio. Molinaro è probabilmente il giocatore che più ha pagato in termini di “indice di gradimento” le scelte tattiche di Longo.
Fischi ancora più discutibili se si prende in considerazione la buona prestazione di Torino. Inappropriati perché Cristian Molinaro è “uno dei nostri” e non è fischiando un giocatore a prescindere che lo si motiva e lo si esorta a fare bene. Fortunatamente il professionismo quando c’è si vede e nei 35 minuti di ieri, per la seconda gara consecutiva, Molinaro è stato prezioso sia nel dare sicurezza al reparto difensivo sia sulla fascia in fase di spinta.
Se al Frosinone di sabato sera può essere imputata una colpa, questa è senza dubbio di natura psicologica e non sportiva.
Le parole del Mister a fine gara spiegano alla perfezione quale sia l’origine della sconfitta.
“Bisogna capire i momenti della gara perché la Serie A è questa qua. C’è il momento in cui devi essere aggressivo, il momento in cui devi rifiatare un pochettino, il momento in cui devi gestire il pallone e il momento in cui il pallone lo devi buttare via. Ancora noi siamo acerbi nel leggere queste situazioni qua.”
Lo spiegano perché sul risultato di 1-0 e con una Roma disorientata e che fa fatica ad organizzare il proprio gioco, è stata una mancanza di furbizia cadere nelle provocazioni di Dzeko. Il pareggio e successivo vantaggio lampo dei giallorossi nascono subito dopo il battibecco fra lui e Goldaniga. Un episodio che destabilizza la concentrazione del Frosinone, che inevitabilmente rianima gli avversari, che fa spazio al nervosismo e fa perdere di vista una situazione oggettiva di vantaggio. Discorso che vale per la squadra e per chi quella squadra la tifa.
Perché se c’è una legge non scritta sui grandi campioni dal temperamento cocciuto e dai nervi saldi, quella dice che istigarli è controproducente; inevitabilmente si offre loro una ragione in più per cercare la controprova e ammutolire il pubblico.
È vero, sarebbe stato auspicabile che il Frosinone degli ultimi minuti non avesse fatto altro che spazzare la palla e aspettare di poter festeggiare un preziosissimo punto. Un’ingenuità pagata poi a caro prezzo. Tuttavia, non volersi accontentare di un pareggio contro la Roma è forse la dimostrazione più eloquente e rassicurante di quale squadra, da qui a fine campionato, scenderà in campo per la salvezza.
Perché nulla è ancora compromesso. E la sconfitta di ieri ha avuto il duplice vantaggio di mostrare la forza di questa squadra e allo stesso tempo quale sia il punto debole sul quale dover lavorare per migliorarsi. Ed è da questa consapevolezza che bisogna ripartire.
Perché svegliarsi dopo Frosinone-Roma è stato come svegliarsi dopo Frosinone-Foggia.
Perché c’era chi piangeva, c’era chi non faceva che criticare e chi non ci credeva più.
Poi è arrivata la Serie A.