Quello che non dovete dimenticare prima di entrare nel 2020

Il racconto di un anno nel quale l'orizzonte politico è stato trasformato. Cosa è accaduto nel 2019. E che bisogna assolutamente ricordare prima di entrare nel 2020

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

Come un’onda sulla spiaggia della politica: il 2019 ha cancellato in un anno i castelli di rabbia costruiti di fronte al mare di problemi che circonda il territorio. Il profilo lasciato dall’acqua che si ritira a dicembre è completamente diverso da quello che disegnava l’orizzonte politico nel Lazio all’inizio dello scorso gennaio.

Non c’è più un Governo gialloverde a guidare il Paese: lo ha sostituito uno senza Lega. Con Pd e 5 Stelle insieme. Costruito grazie al sottile lavoro di mediazione compiuto dal Governatore del Lazio Nicola Zingaretti diventato nel frattempo segretario nazionale Dem. Fondamentale per il dialogo è stato il laboratorio Lazio dove le linee di conversazione con la capogruppo grillina Roberta Lombardi (quella che sgretolò in diretta streaming Bersani) sono sempre state intense e concrete: anche se separate da un rigido rispetto dei ruoli contrapposti.

Dalla Pisana a Palazzo Chigi

Nicola Zingaretti e Daniele Leodori Foto: © Imagoeconomica, Stefano Carofei

A stendere i cavi in rame per le comunicazioni sono stati in tre.

Daniele Leodori, il presidente d’Aula diventato nel 2019 il vice operativo di Nicola Zingaretti; il suo alter ego, il sostituto discreto e silenzioso che mai ha fatto notare l’assenza del titolare impegnato in giro per l’Italia a costruire il Pd ridotto in macerie.

Con lui il felpato Albino Ruberti, finissimo stratega e pragmatico attuatore, il Richelieu del Governatore, che l’ha voluto suo direttore generale.

E Mauro Buschini, il mediano che all’inizio del secondo tempo giocato in Regione Nicola Zingaretti aveva collocato a capo delle truppe Dem nell’Aula della Pisana; solo grazie ai suoi polmoni ed alla sua costanza si è riusciti a portare quei cavi di rame in ogni angolo, allacciare ogni utenza, far funzionare in maniera chiara ed efficace ogni conversazione; pronto a decifrare ogni parola poco chiara, appianare ogni interferenza. Non è un caso che nel 2019 Buschini sia diventato Presidente del Consiglio regionale del Lazio.

Roberta Lombardi © Imagoeconomica, Stefano Carofei

Quella linea di comunicazione, la chiarezza delle conversazioni, la consistenza dei risultati ed il rispetto dei ruoli, sono stati fondamentali quando tutto è saltato a Palazzo Chigi dopo tre mojito al Papeete Beach. Mentre i dirigenti a nomina fiduciaria già riempivano gli scatoloni di cartone e si preparavano all’inevitabile ritorno alle urne, nel quartier generale del Movimento 5 Stelle faceva il suo ingresso una Roberta Lombardi simile al colonnello Chabert di ritorno dalla battaglia di Eylau, narrato da Balzac: tutti la davano per finita politicamente, esiliata dal Parlamento e confinata alla Pisana, lontana dai luoghi dove si controlla il Paese. E invece è stata lei, uscita dalla fossa nella quale credevano di averla sepolta insieme ad ussari e granatieri di Napoleone, ad offrire una nuova linea di comunicazione con il Pd. Utilizzando l’esperienza costruita con la premiata ditta Leodori – Ruberti – Buschini per conto di Zingaretti.

Nasce tutto da lì. Che si sia sviluppato e concluso su altre linee e ad altri livelli nessuno lo può negare. Tanto quanto il fatto che tutto sia partito da quella testimonianza fatta dal colonnello Roberta Chabert Lombardi. È stata lei a sbattere le evidenze sul tavolo di Beppe Grillo e di Luigi Di Maio (che solo a dicembre ’18 volevano fucilarla, accusandola sul Corsera di intelligenza col nemico. Quali evidenze? Il fatto che il Pd non era quello di Bibbiano sul quale la narrazione a 5 Stelle stava riversando tonnellate di fango, bensì quello insieme al quale aveva ottenuto una nuova legge sul diritto allo studio nel Lazio, nuovi parchi, una lunga serie di punti che erano stati inseriti nel programma elettorale. Senza inciuci. Solo politica.

Con Bokassa al Nazareno

Nicola Zingaretti dopo le consultazioni

Un’operazione resa possibile dal fatto che Nicola Zingaretti nel 2019 è diventato Segretario nazionale del Partito Democratico. Avviando una profonda e radicale trasformazione. Compiuta parlando quel linguaggio e toccando quei temi che il popolo della sinistra e del centro non sentivano ormai da quando se n’è andato Berlinguer.

Chiaro come un cruciverba di Bartezaghi nei giorni peggiori, Nicola Zingaretti però è stato riconosciuto al volo dal suo popolo: quello che aveva smesso di andare alle urne. Il giorno prima delle Primarie che l’hanno eletto Segretario si scommetteva su un Pd ridotto a 800mila militanti, ne sono arrivati ai seggi un milione in più. Tutti per lui. In provincia di Frosinone si sono rivisti ai gazebo vecchi Compagni che non tracciavano la matita su una scheda da un tempo infinito.

A resuscitarli è stata la sostanza di Zingaretti contrapposta alle parole di Matteo Renzi. L’inclusività del primo contro la mania per le rottamazioni del secondo. Che Renzi sia un genio nessuno lo può negare: i suoi Industria 4.0, il Super Ammortamento ed il Jobs Act hanno salvato decine di fabbriche e posti di lavoro. Ma gli italiani non sopportano i bulli, se proprio devono farsi male votano direttamente i duci.

Zingaretti con Buschini e De Angelis

Il Lazio è stata la base della grande marcia del Governatore verso il Nazzareno. I primi segnali si sono avuti all’inizo dell’anno: Francesco De Angelis rompe con il presidente nazionale Matteo Orfini e tiene fede al patto di sempre con l’amico Nicola. Il giorno in cui le loro strade si erano divise (uno al Congresso con Renzi e l’altro con Orlando) De Angelis gli aveva detto “Nico’ se il candidato Segretario sei tu veniamo tutti con te, se il candidato è un altro devo salvaguardare la componente e proteggerla dagli attacchi in caso di sconfitta”.

Quando il candidato è stato Nicola, Francesco De Angelis gli ha restituito tutto con gli interessi: oltre il 90% dei voti della Federazione sono stati per lui. In molte sezioni della provincia di Frosinone Zingaretti ha preso il 100% dei voti, in tante altre i suoi avversari hanno preso uno o due preferenze. Chissà perché il soprannome politico di De Angelis è Bokassa o, per i più gentili, il Cannibale.

La Rivoluzione non russa

Quei risultati innescano la più grande rivoluzione degli ultimi vent’anni nel Pd. Il primo a comprenderlo è Bokassa stesso. Che a fine anno compie un gesto con cui spiazza i suoi fedelissimi. Decide che è arrivato il momento di sbranare anche se stesso: ritagliarsi un posto diverso in un empireo superiore.

Annuncia che la sua poderosa componente Pensare Democratico non presenterà il candidato al prossimo Congresso Provinciale del Pd. Disarma tutti: niente battaglia sul nome del futuro Segretario provinciale. In un colpo solo manda all’aria il correntismo.

Luca Fantini

Volendo, gli basterebbe pronunciare un nome ed avrebbe tutti i voti per eleggerlo ad occhi chiusi. In pratica, farà il padre nobile nel Partito preparandosi a favorire il dialogo. Se non indica un candidato, il migliore potrà essere il candidato di tutti.

Spiana in questo modo la strada ad un nuovo ricambio generazionale. Tutti gli occhi a quel punto si girano verso Luca Fantini, segretario regionale dei Giovani Democratici. Il ragazzino con le palle che disse no a De Angelis e Buschini ed al Congresso votò per Orlando anziché seguirli sulla via vincente per Renzi; quello che a brutto muso disse ad un dirigente nazionale: “I giovani non sono i facchini del Pd”. Proprio quello che Zingaretti ha voluto al suo fianco in quasi tutte le tappe di Piazza Grande in giro per l’Italia.

Il 2020 potrebbe essere il suo anno.

Il crocevia di Cassino

Sul fronte del centrodestra il 2019 ha dimostrato che la Lega è una straordinaria forza di attrazione. Capace di intercettare la pancia del Paese. E di parlargli proponendo le soluzioni più gustose. Ma amministrare è un’altra cosa.

I limiti emergono in tutta la loro sostanza quando si passa dal grande palcoscenico nazionale a quello concreto che sta sul livello locale. Nel 2019 cade il governo del secondo comune in provincia di Frosinone: a Cassino si sgretola dopo poco più di due anni e mezzo il centrodestra di Carlo Maria D’Alessandro. Logorato dall’interno: consumato giorno dopo giorno da una evidente inesperienza amministrativa, sfociata spesso in liti e scontri frontali; il sindaco rassegna due volte le dimissioni e altrettante le ritira, un giorno la lite è talmente accesa che deve fare il suo ingresso in municipio l’equipaggio di un’ambulanza del 118 arrivata a sirene spiegate.

Carlo Maria D’Alessandro

Il colpo di grazia lo dà la Lega. Qui le versioni sono due. L’allora segretario provinciale Carmelo Palombo, già vicesindaco, giura che sia stato il coordinatore regionale Francesco Zicchieri ad ordinargli di ritirare la fiducia. L’onorevole Zicchieri, vice capogruppo del Carroccio a Montecitorio, giura che Palombo stia mentendo e che abbia portato il Partito in un vicolo cieco, incapace poi di uscirne.

Fatto sta che a febbraio il governo cittadino di Cassino cade. Ma il peggio deve ancora venire. La scelta del candidato di centrodestra è una specie di autoscontro nel quale i nomi vengono lanciati e bruciati nel giro di 24 ore, un falò alimentato dai veti incrociati. Incuranti di esporsi al ridicolo. Il professor Lena ritira la candidatura la sera, ritira il ritiro della candidatura al mattino, gliela ritira definitivamente la Lega al pomeriggio; Carlo Maria D’Alessandro si ricandida a mezzogiorno e la sera non è più vero; e così con commercialisti, sindacalisti e ciascuno che provi a farsi avanti. Alla fine l’unico in grado di unificare è la vecchia volpe di Mario Abbruzzese che tutti davano per finita in pellicceria.

Quelle di Cassino saranno le elezioni delle spaccature e delle riconciliazioni: si rompe la storica amicizia tra il due volte sindaco di centrosinistra Giuseppe Golini Petrarcone e la squadra che lo aveva sempre affiancato: lui vorrebbe ricandidarsi per la quinta volta e loro invece schierano il suo assessore Enzo Salera.

Il sindaco di Cassino Enzo Salera

Deve venire il segretario regionale Bruno Astorre ad imporre la pace. Lo fa a norma di Statuto, disinnescando – con abilità tutta democristiana – le trappole ed i trucchetti che provano ad opporgli. Le Primarie non servono a sanare la rottura, anzi spaccano ulteriormente: il segretario cittadino del Pd Marino Fardelli si dimette e va con Petrarcone. Che diserta le primarie e si candida comunque. Vince Salera, primarie ed elezioni, battendo Mario Abbruzzese. Che per aggregare quanti più voti possibile al ballottaggio invece aveva sanato finanche le più antiche rotture: con Niki Dragonetti e Massimiliano Mignanelli con i quali aveva rotto da anni.

Lega, la Borsa per restare in vita

Alle Comunali la Lega non passa. Nè a Cassino né a Veroli dove si era speso addirittura il vice premier Matteo Salvini. La forza del centrosinistra è tutta nel suo radicamento territoriale, come dimostra la conferma ottenuta in maniera facile dal sindaco Simone Cretaro.

In provincia di Frosinone l’unico sindaco leghista è Nicola Ottaviani: eletto però in Forza Italia; nel 2019 saluta polemicamente Berlusconi accusandolo di non voler cambiare il Partito e sale sul Carroccio.

Foto © Aif / Giorgio Di Cerbo

A distanza di pochi mesi vanno via anche Mario Abbruzzese e Pasquale Ciacciarelli: sponda Giovanni Toti. Si rivela un drammatico errore di calcolo politico: Cambiamo doveva servire per traghettare i transfughi di Forza Italia nell’orbita della Lega, appoggiandola nelle elezioni nazionali estive che ormai tutti davano per certe. Invece, come abbiamo visto, dopo i tre mojito non si vota. E Abbruzzese con Ciacciarelli si ritrovano sulla scialuppa abbandonata in mezzo al mare, lontani da Forza Italia e lontani dalla Lega. Solo a fine anno un salvagente viene concesso a Ciacciarelli che entrerà nel Gruppo della Lega in Regione Lazio.

Il profilo della Lega in provincia di Frosinone cambia totalmente con il passo di lato fatto da Francesco Zicchieri e la nomina dell’onorevole Francesca Gerardi a Coordinatore Provinciale. Lei archivia i modi del suo superiore: Zicchieri nell’ultima riunione provinciale aveva sfiorato la rissa, sbagliando anche a scegliersi l’avversario, un consigliere comunale campione di arti marziali; ci vogliono ben otto persone per impedire il contatto con il Coordinatore.

Francesca Gerardi è di altra pasta. Impone il rispetto del suo ruolo centrale, incontra gli alleati ad uno ad uno. E poi fa la sintesi. Innesca il dibattito che a Sora apre la trattativa nel centrodestra per il rinnovo dell’amministrazione comunale. Pretende il ricambio a Pontecorvo.

Fabio Forte e Alessia Savo

La Lega però ha un problema sul territorio. Finché è Matteo Salvini a tirare il Carroccio i voti arrivano. Ma sul territorio manca il radicamento. Anche perché per mesi si è proceduto a colpi di epurazioni: in estate va via Alessia Savo con le sue migliaia di preferenze alle Regionali, denuncia l’isolamento l’ex coordinatore Fabio Forte (il 2020 dirà se è stato accolto il suo ricorso per l’elezione a Montecitorio come Deputato). In autunno saluta con garbo l’ex presidente della Provincia Peppe Patrizi che se ne torna in Forza Italia.

Ecco il perché alla fine è necessaria l’operazione Ciacciarelli. La stessa motivazione che ha portato in Regione a far salire anche Laura Cartaginese. Alla Pisana ormai Forza Italia è ridotta a due soli consiglieri, il capogruppo Pino Simeone ed il consigliere Giuseppe Cangemi. La Lega sale a quattro. Fratelli d’Italia drena altri consiglieri.

I nuovi assetti in Regione

Gli spostamenti tra i Gruppi non avvengono solo nel centrodestra. Il 2019 è l’anno in cui finisce il Patto d’Aula costruito nell’anno precedente da Mauro Buschini. In base al Patto i due consiglieri del Misto (Giuseppe Cangemi uscito da Forza Italia ed Enrico Cavallari uscito dalla Lega) appoggiavano in maniera non organica la maggioranza: garantivano però i numeri al governo regionale uscito zoppo dalle urne nel marzo 2018.

Nel 2019 però il rottamatore per eccellenza si autorottama: Matteo Renzi fonda Italia Viva. In in provincia di Frosinone lo segue il capogruppo Dem in Provincia Germano Caperna e la pasionaria renziana Valentina Calcagni. In Regione aderiscono in due: Enrico Cavallari (che esce dal Misto) e Marietta Tidei che esce dal Pd. In più prosegue il gioco di sponda con i 5 Stelle. I numeri non sono più un problema. Anche se il Gruppo grillino si spacca: l’ex capogruppo Davide Barillari diventa il riferimento nazionale dei grillini duri e puri, che chiedono né con il Pd né con la Lega.

Mauro Buschini nel 2019 diventa il nuovo presidente del Consiglio Regionale del Lazio. È il riconoscimento per il ruolo svolto personalmente nello stendere i cavi di comunicazione con il resto del Consiglio Regionale, tenendo in piedi per oltre un anno una maggioranza che non aveva i numeri. E poi per il ruolo svolto dalla componente sua e di Francesco De Angelis, Pensare Democratico: sia nell’elezione di Bruno Astorre a Segretario Regionale e sia nell’elezione di Zingaretti a Segretario nazionale.

Zingaretti riconosce anche il ruolo amministrativo svolto da Francesco De Angelis: come presidente dell’Asi ha rivitalizzato il Consorzio industriale riportando la politica al centro del dibattito. È la politica a dover disegnare lo sviluppo industriale traducendo in atti amministrativi una visione di crescita del territorio. E nel 2019 Francesco De Angelis riesce a piazzare il rudere industriale della ex Videocolor, ad assegnare i lavori per rifare la via che attraversa l’area industriale di Anagni, tenere in piedi il dibattito incontrando i deputati del M5S nel suo ufficio: mai prima di allora era accaduto. Per questo Nicola Zingaretti lo sceglie come commissario per l’unificazione dei consorzi industriali del Lazio. È un incarico potentissimo: l’equivalente di un assessorato, senza i lacci della politica e totalmente operativo.

La fine dei Civici

Il sindaco di Ceccano Roberto Caligiore

Il 2019 segna la fine dei movimenti Civici ed il ritorno della politica. Fallita l’amministrazione del sindaco di Cassino Carlo Maria D’Alessandro, l’ingegnere prestato alla politica, in estate cade anche l’amministrazione comunale di centrodestra che guida Ceccano. La guidava il luogotenente dei carabinieri Roberto Caligiore alla guida di una serie di movimenti civici d’area. A dicembre il sindaco Caligiore annuncia la sua ricandidatura: ma questa volta i presupposti sono diversi, sono i Partiti a chiedergli di scendere in campo. Ci mette la faccia Fratelli d’Italia con il senatore Massimo Ruspandini.

A proposito di ritorno della politica: in Forza Italia rientra Gianluca Quadrini, come vice coordinatore regionale. Avvia una campagna di search and rescue, andando a riprendere gli iscritti che si erano accasati altrove o erano semplicemente usciti. È sotto l’ala del vice coordinatore regionale Claudio Fazzone.

Fazzone ha dimostrato nel 2019 di essere il signore assoluto delle preferenze in provincia di Latina. Ha umiliato la Lega alle Provinciali imponendole un perentorio 4-1. È riuscito ad eleggere il suo sindaco di Fondi Salvatore De Meo in Europa anche se per entrare dovrà aspettare la Brexit e che gli inglesi lascino libero il seggio. Entrano subito altri due pontini: il sindaco di Terracina Nicola Procaccini ed il leghista Matteo Adinolfi.

Pompeo ed i suoi fratelli

Antonio Pompeo con la sua amministrazione

Nel 2019 viene eletto il nuovo consiglio provinciale di Frosinone: dei 12 consiglieri eletti solo 4 sono del Pd, 3 della lista unitaria con Fratelli d’Italia (2) e Forza Italia (1), 2 per la Lega (ma uno è del Polo Civico di Gianfranco Pizzutelli ed uno è espressione diretta di Nicola Ottaviani) e 3 indipendenti. Di fatto il centrodestra è in vantaggio con un presidente di centrosinistra.

Ma la posizione di Pompeo non è in pericolo: non è sfiduciabile. E poi – siccome la Provincia è un ente di secondo livello – assegna la presidenza d’aula a Fratelli d’Italia. Che sviluppa così una sensibilità istituzionale molto spiccata: raramente Pompeo ha avuto problemi di numeri durante l’anno. Nonostante i colpi di spillo della Lega.

Antonio Pompeo nel 2019 si disegna poi un ruolo strategico nel Partito Democratico. Anche lui ha appoggiato Nicola Zingaretti. Ma ha voluto che ci fosse una sua lista affinché si potessero contare i voti portati dalla sua componente Base Democratica. E differenziarsi da Pensare Democratico di De Angelis e Buschini.

Pompeo punta sull’aspetto amministrativo, cerca di attrarre quel mondo che è all’esterno del Pd. Fatto di sindaci e consiglieri comunali civici, di area ma dialoganti. Diventa presidente regionale dell’Unione delle Province Italiane e sempre più spesso viene investito del compito di rappresentare l’Upi Nazionale in Parlamento.

Un ruolo dai numeri minori rispetto a Pensare Democratico ma non subalterno. Pompeo lo rimarca ogni volta. Pretendendo una distinzione anche nel prossimo congresso. A dicembre, incontrando i suoi amministratori, annuncia una svolta per gennaio 2020.

La Camera unita

Foto: © Imagoeconomica, Giacomo Quilici

A dicembre Nicola Zingaretti firma il provvedimento che avvia la fusione delle Camere di commercio di Frosinone e Latina; la sede sarà nel capoluogo pontino, in Ciociaria resterà una sede operativa e l’azienda speciale. Sarà l’ottava Camera in Italia per peso economico.

Marcello Pigliacelli è stato tra i visionari che più di ogni altro ha voluto quella fusione. Invitando a ragionare in termini complessivi e non di campanile.

Il 2020 sarà l’anno della effettiva fusione. Sarà l’anno in cui scopriremo se ci abbiamo guadagnato o ci hanno fregato.