Top e Flop, i protagonisti del giorno: 9 luglio 2021

Top e Flop. I fatti ed i protagonisti di venerdì 9 luglio 2021. Per capire cosa è accaduto e cosa ci attende nelle prossime ore

Top e Flop. I fatti ed i protagonisti di venerdì 9 luglio 2021. Per capire cosa è accaduto e cosa ci attende nelle prossime ore.

TOP

MARIO DRAGHI

La riforma della Giustizia si vota così come è stata pensata e scritta dal ministro Marta Cartabia. Altrimenti non si vota. Punto e basta. Il premier Mario Draghi lo ha detto in faccia, e a denti stretti, alla delegazione dei Cinque Stelle. Non preoccupandosi nemmeno di ricevere un no come risposta.

Perché i Cinque Stelle possono anche “ribellarsi”, ma per fare questo dovranno prendersi davanti al Paese la responsabilità di portare l’Italia al fallimento. Infatti è di questo che stiamo parlando. Ancora una volta Draghi è stato costretto a spiegare che per accedere ai fondi del Recovery Plan bisogna fare le riforme. E quella della Giustizia è al primo posto.

Ad agosto inizia il cosiddetto semestre bianco, l’ultimo periodo di Sergio Mattarella al Quirinale. Da quel momento in poi non sarà possibile sciogliere le Camere fino a febbraio 2022. E’ chiaro che nei Partiti ci sono in questo periodo spinte alla ribellione … fine a sé stessa.

Mario Draghi lo sa e fa quello che deve fare: alza la voce e mette in riga. D’altronde, perché non dovrebbe farlo?

Intoccabile.

MASSIMILIANO BRUNI

Bruni e Caschera

Il Centrodestra si presenterà unito alle prossime elezioni Comunali di Sora: c’è poco da dire, Massimiliano Bruni è il vincitore di questa tappa del tour verso le urne. Ha iniziato a pedalare due anni fa: rompendo, in pieno consiglio comunale, la formula politica della Piattaforma Civica che aveva messo insieme forze politiche distanti tra loro, ammainando il simbolo di Partito per aggregarsi intorno al nome di Roberto De Donatis.

Aveva pagato caro quella mossa: il sindaco gli aveva ritirato la delega ai Lavori Pubblici grazie alla quale Bruni aveva costruito tutto il suo consenso amministrativo.

Per mesi ha dovuto subire la tattica del logoramento messa in atto da Lino Caschera, il leader delle truppe che stanno con Pasquale Ciacciarelli: capace di salire sul Carroccio, prenderne il controllo, assediare Bruni e Fratelli d’Italia. Per fare cosa? Impedire che si arrivasse all’accordo unitario. Perché? Il quadro politico a Sora è talmente frastagliato che il sindaco verrà eletto per forza al ballottaggio. E allora la sfida di Caschera è stata semplice: scucire di notte la tela che Bruni tesseva di giorno. Per usare il primo turno di voto come se fossero delle Primarie in cui decidere chi tra Lega e FdI dovesse eleggere il sindaco.

Invece si andrà al voto in maniera unitaria, con un candidato sindaco che è stato indicato da FdI, dopo avere superato trappole, trabocchetti politici, assedi, dilazioni. Bruni ha spento i fari e spostato la trattativa su un tavolo superiore: quello Regionale, bypassando gli avversari locali. Decisivo è stato il ruolo esercitato da Massimo Ruspandini e Claudio Durigon con Nicola Ottaviani. Quando gli altri se ne sono accorti era troppo tardi.

Come Nuvolari contro Varzi nella Mille Miglia del 1930

LUIGI DI MAIO

Luigi Di Maio

Nei Cinque Stelle balcanizzati si dimostra il più intelligente. Al Consiglio dei Ministri si è presentato dicendo che il Movimento non poteva accettare la bozza della Cartabia. Ben sapendo in anticipo quali erano i margini di manovra. Su due temi: la corruzione e la concussione.

“Incassati” i cambiamenti precedentemente concordati, ha fatto capire ai Cinque Stelle che su questo terreno è imbattibile. Comanda lui. Per ragioni semplici: nel 2018 è stato lui a portare i Cinque Stelle al Governo e adesso, dopo tre anni, la dimensione governativa è l’unica rimasta per i pentastellati. Non ce ne sono altre, considerando le fuoriuscite e la resa dei conti tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte e tutto il resto.

Luigi Di Maio è l’unico che ha ben chiaro quale sarà il ruolo del Movimento nel prossimo futuro. Quello di forza di sistema all’interno del Palazzo. Anche perché all’inizio la forza “rivoluzionaria” del Movimento era alimentata dai fondatori Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Oggi quel ruolo non può essere certo interpretato da altri. Luigi Di Maio sa stare in silenzio quando serve e non si vergogna certo della sua dimensione governativa. Perciò alla fine è sempre lui a condurre il gioco.

Abile.

FLOP

CONTE-BONAFEDE-DI BATTISTA

Alfonso Bonafede (Foto: Imagoeconomica / Livio Anticoli)

Non si sa da dove cominciare. Ci proviamo. Il Governo Conte 2 è stato silurato da Matteo Renzi perché la maggioranza era andata in pezzi sulla riforma della giustizia dell’allora ministro Alfonso Bonafede. Era franato tutto. E adesso Giuseppe Conte cosa fa? Dice che la riforma sulla Giustizia non ha il suo consenso e che non vede nulla da festeggiare. Lui è andato a casa su questo tema!!!!!!

L’abbondanza di punti esclamativi è puramente voluta. Ma poi, può davvero pensare Giuseppe Conte di essere politicamente credibile facendo sponda con i talebani dei Cinque Stelle, molti dei quali si sono messi di traverso proprio verso il suo Governo? Siamo davvero a metà tra Scherzi a Parte e un percorso di psicoanalisi da uno bravo assai.

Poi l’avvocato del popolo ha sentito il bisogno di precisare che guai a sostenere che lui è contro il Governo Draghi. Non scherziamo. Anzi, ridiamoci su. In realtà ha dato la sensazione di “rosicare”.

Alfonso Bonafede può davvero pensare di ergersi a Masaniello? La sua riforma della Giustizia è stata la mina che ha fatto esplodere la precedente maggioranza. Forse il silenzio è l’unica soluzione in determinate situazioni.

Infine, Alessandro Di Battista. Il Che Guevara del Movimento si è fatto sentire dal Sudamerica. Sparando alzo zero sulla riforma di Marta Cartabia. E unendo le forze con Giuseppe Conte. Sì, quel Giuseppe Conte al quale non aveva risparmiato critiche fino a qualche mese fa.

Armata Brancaleone.

ROBERTO DE DONATIS

Dice che si ricandiderà. Fosse pure per far perdere i suoi nemici. A prescindere dal risultato che ne deriverà alle prossime elezioni comunali di Sora c’è un dato che Roberto De Donatis non può continuare ad ignorare: per quasi tutto il suo mandato ha governato grazie ad un solo voto di vantaggio, ora che la consiliatura è finita nessuno gli è rimasto accanto (fatta eccezione per Patto Democratico) preferendo sostenere altri cadidati a sindaco. (Leggi qui De Donatis: “Di Ruscio dimettiti”. Caschera: “Sei un sindaco scaduto”).

Questo non significa che sia stato un pessimo sindaco. Ma che un ciclo si è chiuso. Fingere che le cose non stiano così è negare l’evidenza, asserragliarsi nella Cancelleria del Reich aspettando l’arrivo di inesistenti truppe dal Nord.

Chiedere, come ha fatto oggi, le dimissioni del suo assessore leghista solo perché era nella foto con cui il centrodestra annuncia la candidatura unitaria di Giuseppe Ruggeri significa negare ciò che è accaduto nella politica cittadina durante gli ultimi due anni. E questo non è sinonimo di una grande capacità di visione politica. Che è diverso dalla visione amministrativa.

Per sua fortuna, gli avversari che gli stanno mettendo di fronte non sono imbattibili. Ma così non fa altro che accreditarli, sbagliando una mossa dopo l’altra.

Isolato

BEPPE SALA

Beppe Sala

La sindrome da onnipotenza non risparmia nessuno. Neppure uno bravo come Beppe Sala. Il sindaco di Milano pensa di avere il bis in tasca. Ma non è così.

Luca Bernardo è un’ottima candidatura e nel capoluogo lombardo il centrodestra è forte. Circolano dei sondaggi che danno i due sostanzialmente appaiati. Ma è il precedente del 2016 che dovrebbe far riflettere molto Sala. Allora era dato in vantaggio nelle rilevazioni. Poi al ballottaggio arrivò con meno dell’1% di vantaggio su Stefano Parisi. Per poi ottenere il successo con un vantaggio del 3%. Sudatissimo quindi.

In questi anni Beppe Sala ha preso le distanze politiche da tutti, perfino dal Pd. Una sorta di Ghe Pensi Mi alla maniera di Silvio Berlusconi. Beppe Sala rimane il favorito, ma pensare di aver già chiuso la partita non lo aiuta. Rischia un calo di concentrazione di tutta la coalizione. E poi attenzione: Matteo Salvini farà di tutto per vincere all’ombre della Madonnina. Beppe Sala sembra non curarsene.

Chi entra Papa esce cardinale.