Top e Flop, i protagonisti di martedì 27 giugno 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di martedì 27 giugno 2023.

TOP

GIORGIA MELONI

Per un partito ci sono due modi a ché le cose vadano bene: deve piacere a tanti elettori e deve avere i mezzi per poter continuare a farlo. Sì, mezzi economici. E’ un po’ come per le squadre di calcio che devono vincere e che per farlo devono avere le casse piene.

Ma in politica non vale la faccenda dei bilanci gonfiati, o almeno non dovrebbe valere. Di certo e secondo quest’ottica oggi, ed anche a fare la tara a qualche prima zoppia di iter parlamentare, Giorgia Meloni può dirsi soddisfatta. E può farlo non come premier, il che è l’effetto, ma come leader di Fratelli d’Italia, che sarebbe la causa.

Analizziamo lo scenario: i sondaggi continuano a dare il partito al vertice ed in ascesa, al più in flessioni minimal di assestamento. Ma c’è un dato in più: sul fronte economico le cose vanno altrettanto bene, con Fratelli d’Italia che da quanto si apprende ha chiuso l’esercizio 2022 con un avanzo di gestione pari a 492.259 euro. Lo dice e lo proclama, in un certo senso, la relazione del segretario amministrativo, Roberto Carlo Mele a corredo dell’esercizio finanziario di FdI. Sono in netto incremento i contributi annuali derivanti dalla destinazione del 2×1000 Irpef. E lo dicono i numeri, roba che in politica ha la coda.

Nel 2021 nelle casse del Partito della Meloni erano arrivati 2 milioni e 697mila euro, nel 2022 si era arrivati a 3 milioni 132mila euro. Il documento lo spiega bene a margine delle colonne contabili vidimate da Mele: “L’entrata del 2×1000 ha registrato nel 2022 una ulteriore crescita rispetto all’anno precedente confermandola come la più importante e diffusa fonte di micro-finanziamento di Fratelli d’Italia”.

E le contribuzioni da persone fisiche? In crescita anche quelle: si va dai 735mila euro del 2021 ai 3 milioni 715mila euro del 2022. Idem per le persone giuridiche con un incremento “monstre” tipico dell’Italia dei notabili che fiuta il vento più dei singoli cittadini: dai “miseri” 16mila euro del 2021 agli oltre 510mila arrivati in cassa nel 2022.

E se i sondaggi vanno bene e i conti benone allora vuole dire che, piaccia o meno e sul fronte politico puro, Giorgia Meloni è sulla strada giusta.

Piace e può spendere per piacere di più.

DE ANGELIS E LEODORI

Francesco De Angelis e Daniele Leodori

Salgono in cattedra. E danno vita alla più efficace lezione di rinnovamento del Partito Democratico. Non la mettono in campo due ragazzini ma due ‘grandi vecchi’ della politica laziale: a dimostrazione chegiovani‘ in politica non è un concetto anagrafico. Daniele Leodori e Francesco De Angelis sono ora i due timonieri del Pd nel Lazio, il primo è Segretario Regionale , il secondo è presidente.

Arrivano entrambi dai territori: lì dove per essere eletti bisogna avere le preferenze ed il consenso. E te li danno se guardi negli occhi l’elettore, lo convinci, se lui riconosce in te una persona alla quale affidare i suoi problemi perché sa che almeno proverai a risolverglieli. Ti pesano e ti valutano ogni giorno su come l’immondizia viene raccolta, le lampadine dei lampioni vengono cambiate, le strade vengono riparate… E loro hanno un consenso tale che Leodori è stato eletto con il 95%, De Angelis è stato il più votato all’Assemblea nell’intero Lazio.

Ma lì ci sono arrivati con una conta che per una volta non è stata massacro interno al Pd, dimostrando che oltre le correnti si può andare senza che sia necessario sopprimerle. Occorre avere idee, visione, progetto. Hanno dato vita ad un congresso Regionale che ha ridisegnato tutti gli equilibri Pd nel Lazio. Ma senza spargimenti di sangue.

Soprattutto hanno indicato al Pd del Lazio un futuro che affonda le radici in profondità nella storia ma guarda con decisione al rinnovamento. Non a caso Francesco De Angelis ha detto all’Assemblea che l’aveva appena eletto T”roppe divisioni hanno segnato la vita del Pd negli ultimi anni e penso che questo sia il tempo di unire, pur nelle diversità. Questo è il tempo di unire. L’unità è il bene più prezioso. Dobbiamo, nel pluralismo e nelle diversità, mettere fine alle contrapposizioni e dare il senso di una linea politica chiara e condivisa. Alle Primarie abbiamo dimostrato che quella del Pd è una comunità viva, forte ed unita. Abbiamo le forze, le idee, l’entusiasmo per tornare a vincere“. (Leggi qui: Leodori Segretario, De Angelis presidente: come si legge il Pd nuovo).

E Daniele Leodori annuncia che la rotta sarà verso  “un Partito diverso, all’altezza delle sfide che ci troveremo ad affrontare. Che rimetta al centro la nostra più grande ricchezza: la nostra gente“. Rimettendo i Circoli e la militanza al centro di tutto. Il futuro del Pd parte dalla loro esperienza.

Sarebbe piaciuto a Bruno Astorre.

FLOP

FEDERICA BRANCACCIO

Federica Brancaccio (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

La presunta “appropriazione indebita” da parte della Procedura penale di una delle prerogative in capo al Diritto amministrativo è da tempo sul tavolo della discussione. Ed è tavolo su cui non sono mancate le mani polemiche. L’abuso d’ufficio è visto a volte come strumento per inquadrare e perseguire un illecito. Altre come “malleo” malefico con cui bloccare le amministrazioni. Bloccarle con la spada di Damocle di un reato evanescente e praticamente impossibile da non commettere. Questo se ci si vuole assumere la responsabilità del pubblico mandato.

Il ministro della Giustizia del governo Meloni Carlo Nordio vuole intervenire – tra le altre cose – sul tema con una riforma strutturale. Ed ecco servita la girandola di pareri pro o contro che divide la politica e non solo. Premessa: il parere di Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, l’Associazione dei Costruttori Edili, è sacrosanto ed in perfetta linea con la mission di vertice che essa ricopre. “L’intervento del Governo sull’abuso d’ufficio va nella giusta direzione di promuovere l’amministrazione del fare. La paura della firma ha bloccato questo Paese per troppi anni”.

Quello in cui un certo margine di discutibilità occhieggia, tra le pieghe della posizione della Brancaccio, è il peso forse eccessivo. Eccessivo ed iperbolico di quello che lei definisce il “valore fondamentale” della fiducia. A beneficiarne dovrebbero essere le imprese e lo Stato nel nome di quella che la presidente Ance ha definito “una scelta coraggiosa”.

In linea teorica va tutto bene e i casi censiti in cui per abuso d’ufficio presunto sono state rovinate vite e fermata la propulsione delle amministrazioni locali sono oggettivi. Oggettivi e tanti. Tuttavia se nella vicenda forse c’è una chiave di lettura in punto di equilibrio e non di partigianeria interessata forse è proprio quella morbida. Che passa per una decantazione più attenta del problema.

Da un lato c’è l’indubbio peso di chi, nell’abusare di un funzione pubblica, viola la legge. Dall’altro c’è il bisogno di resettare la configurazione di “legge” per snellire procedure ed evitare casi di mala giustizia. Non ci vuole insomma un occhio attentissimo per capire che di questione controversa si tratta. E che delegarne la risoluzione solo ad una linea politica immanente e temporanea ed alla appetibilità di categoria è un atto legittimo, ma forse azzardato.

Serve maggior riflessione, e che il peso dell’analisi critica prevalga sulla pesantezza degli slogan di bottega.

Bilanciamo la bilancia.

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Il Molise è andato alle Urne. la sintesi del risultato è evidente: Fratelli d’Italia quadruplica i voti, il Movimento 5 Stelle si polverizza, il Partito Democratico recupera sul catastrofico esito del 2018.

Ci sta. Quello che non ci può stare è la conseguente scelta politica fatta dal Segretario Nazionale del Partito Democratico. Perché non è il risultato di un’analisi del voto e del risultato: ma ha tutte le sembianze dell’intestardimento di una ragazzina ostinata.

Se da un lato è innegabile che il Pd non sia autosufficiente (tradotto: da solo va da nessuna parte) è altrettanto vero che l’alleanza con il M5S non porta frutti. E anzi allontana molti degli elettori di entrambe le formazioni. Perché non c’è un anticomunista più convinto di chi sia stato comunista.

Il raggiungimento della quota di sufficienza non può passare per un accordo che non porta voti. E non li porta perché quell’intesa è un ibrido assoluto, messo su senza avere prima limato e reso parete da aggrappo le profonde contraddizioni tra Pd e M5s emerese fin dai tempi dell’esperienza del governo Conte II.

Giorgia Meloni ha dato una lezione che Elly Schlein continua a rifiutare: non ha portato i suoi Fratelli d’Italia al guinzaglio di Lega e Forza Italia. ma ha puntato i piedi e rivendicato la sua diversità da loro, costruito la sua forza sull’identità del Partito. E su una proposta diversa. Che poi quella proposta sia utile al Paese e sia attuabile è altra faccenda.

O si ricostruisce prima l’identità del Pd o non ci sarà alleanza che possa funzionare. E quell’identità passa non per la sudditanza al M5S ma per una chiara piattaforma capace di dare risposte agli azionisti di Calenda ed ai renziani di Italia Viva. Così come è stata capace di darla ad Articolo 1.

Si comincia dalle basi, altrimenti non si arriva ad alcuna vetta.

La forza dell’identità.