Top e Flop, i protagonisti di sabato 26 agosto 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 26 agosto 2023

Top & Flop. I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 26 agosto 2023

TOP

RAFFAELE FITTO

Raffaele Fitto (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Con l’arrivo dell’autunno, che non è ancora arrivato ma che già bussa in termini di vita politica, il suo periodo nero sta passando. Raffaele Fitto vive ormai da mesi con le stimmate tutt’altro che santificanti della responsabilità diretta sul Pnrr. Cioè sulla cosa più importante che sia mai capitata sotto il grugno dell’Italia dai tempi del Piano Marshall.

Per mesi interi i ritardi, le mezze omissioni e soprattutto la mancanza assoluta di un linguaggio chiaro su un tema così cruciale erano stati la sua croce. Croce grossa, a contare che su una cosa come il Pnrr qualsiasi opposizione, anche la più evanescente, ci va concettualmente a nozze. Fitto perciò era diventato parafulmine di strali grossi e figura depotenziata in quanto a spessore politico perché usurata da rilievi praticamente quotidiani.

Dall’Ue che voleva certe cose, dal suo governo che ne voleva altre, dalle minoranze che volevano un bersaglio e dalla stampa che di bersagli ne cerca sempre. Il punto più caldo era stato quello poi dell’interlocuzione con gli enti di governo territoriale. Lì e con essi i soldi del Pnrr erano sempre stati sotto scacco di un depotenziamento, quantitativo e di settaggio, che avevano aumentato il logorio dell’azione del ministro del governo Meloni. Alla fine però Fitto è riuscito a calmare questi tutti ed a calmierare il tutto. Lo ha fatto infilando una spaventosa serie di summit mirati con i Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome, i rappresentanti di Anci e Upi e i Sindaci delle Città Metropolitane.

Lo scopo era confrontarsi sulla bozza di Revisione del Pnrr trasmessa alla Commissione Europea. E in agenda c’era roba serie: le “criticità attuative e rendicontative per le quali il Governo ha proposto lo spostamento dal Pnrr”, come ha spiegato AdnKronos. Fitto ne è uscito tutto sommato bene e il suo settembre si prospetta meno rovente di quanto le avvisaglie estive non facessero presagire.

Lui “conferma la validità dell’impostazione del Governo finalizzata ad ascoltare e confrontarsi con le Regioni, i comuni e tutti i soggetti attuatori assicurando un confronto costante per individuare le più opportune soluzioni in grado di assicurare la piena realizzazione del Pnrr”. Un po’ gli è andata bene, ma un bel po’ è stato resiliente in senso puro.

La buriana è passata, forse.

BARBARA DI ROLLO

Barbara Di Rollo

A prescindere dalle posizioni politiche, a prescindere da come andrà a finire. La mossa compiuta nelle ore scorse da Barbara di Rollo segna il ritorno della coerenza in politica. E conferma la regola base secondo la quale ad ogni azione corrisponde una reazione, quantomeno uguale e sempre contraria.

I fatti. Cinque anni fa è stata il consigliere comunale più votato a Cassino e per questo è stata eletta Presidente del Consiglio Comunale. Mettendo subito i puntini sulle i: scrisse a Nicola Zingaretti denunciando che una parte del Pd non aveva sostenuto la vittoria del sindaco di Cassino Enzo Salera. A distanza di quattro anni è stato chiaro il motivo per cui quella parte del Pd era perplessa. E lei stessa ha recuperato il rapporto con la componente di Pensare Democratico.

Il problema? Nei fatti, quello intorno ad Enzo Salera è un clan familiare (sia chiaro, non in senso camorristico) nel quale non è previsto il dissenso ma tutto ruota intorno al ruolo patriarcale del sindaco. Con Barbara Di Rollo sono entrati in collisione quando Salera si è messo in testa di creare una componente da contrapporre a Pensare Democratico.

Alle Politiche di autunno Salera non ha firmato per la candidatura di Francesco De Angelis in Parlamento mentre lei lo ha sostenuto; alle Provinciali di dicembre Salera ha appoggiato la candidatura perdente di Gino Germani, mentre Di Rollo ha sostenuto quella vincente di Luca Di Stefano. Poi alle Regionali di febbraio Salera ha sostenuto Antonio Pompeo mentre Di Rollo ha partecipato all’elezione di Sara Battisti. Nel mezzo, episodi poco concilianti: lui che non le fa gli auguri quando lei diventa per un paio di mesi Consigliere regionale; lui che sminuisce i suoi voti intestandosi il risultato; e sempre lui che elimina dalla Giunta Arianna Volante per un dispetto all’area di lei.

Trovare una sintesi, sulla base delle tre vittorie registrate alle Politiche, alle Provinciali ed alle Regionali, sarebbe stata la mossa magnanima della vincitrice. Invece Barbara Di Rollo ha mantenuto il gelo e le distanze. E ad un tavolo informale, durante un pranzo, ieri ha detto di essere pronta a valutare una eventuale candidatura a sindaco di Luigi Maccaro, storico direttore di Exodus. È stata la sua vendetta, politica, servita fredda. A prescindere da posizioni e risultati. (Leggi qui: Lo “strappo della Foresta”: Di Rollo vuole una coalizione anti Salera).

Mai farle arrabbiare.

GIANLUCA QUADRINI

Gianluca Quadrini (Foto © Stefano Strani)

È la costanza della goccia a bucare poco alla volta la pietra. Nelle ore scorse la Regione Lazio ha autorizzato l’abbattimento selettivo dei cinghiali nei Comuni che si trovano all’interno dell’Ambito Territoriale di Caccia numero 2 della provincia di Frosinone.

Il provvedimento prende le mosse dalle sollecitazioni fatte in queste ultime ore dal presidente della Provincia Luca Di Stefano e dal presidente del Consiglio Provinciale Gianluca Quadrini, dopo che erano stati registrati diversi attacchi degli ungulati agli umani: una pensionata di Isola del Liri ed un uomo di Esperia sono finiti in ospedale con morsi e fratture.

Il provvedimento stima che debbano essere circa 200 i capi da abbattere ed approva l’abbattimento in regime di urgenza dei cinghiali.

Era la soluzione più logica: il numero dei cinghiali è esploso perché troppi limiti son o stati imposti alla caccia. Che era il vero ‘regolatore’ della selvaggina nei boschi da quando si è drasticamente ridotto il numero dei lupi. Ma spesso le cose logiche non trovano spazio perché si ha il timore di affrontare le minoranze rumorose in cerca di visibilità nel nome delle cose più impossibili.

Le ossessive campagne contro i cacciatori hanno spinto centinaia di doppiette a finire appese sui muri. Con la conseguenza di ritrovarci assediati dai cinghiali e con più di una persona ricoverata a causa dei loro attacchi. Chi sostiene che siamo noi ad avere invaso il loro habitat mente con la piena consapevolezza di farlo: l’antropologia è una scienza. Che dovrebbe insegnarci l’equilibrio. E non ad aspettare che gli ungulati si antropizzino e scoprano la contraccezione.

Gianluca Quadrini ha avuto il coraggio di dirlo. Da subito ed a brutto muso. E di sbattere il problema sul tavolo della regione Lazio. Ottenendo la soluzione più logica ma meno scontata.

Il ritorno della doppietta.

FLOP

CARLO CALENDA-MATTEO RENZI

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Di solito per questa cose si usa l’immagine figurata ma molto efficace del “canto del cigno”. Ve ne sono altre, più funeree e meno letterario-musicali, e forse tra queste quelle del de profundis è quella che sta meglio al contesto. Lo è perché una volta i de profundis erano lunghi, farraginosi e davano l’impressione di voler tenere in piedi più l’idea della vita possibile che quella della morte certa.

Ecco, Carlo Calenda e Matteo Renzi sono stati un po’ così. Tutti e due pronti a dire che il partito unico del Terzo Polo era nato morto ed entrambi pronti a tenerlo in vita giusto ancora un po’ per poter dire di nuovo che sì, era proprio morente. Tutti e due severissimi nel fare la diagnosi del decesso ma entrambi prontissimi a spiegare che quel decesso non è stato colpa loro.

Insomma, i due leader centristi se la sono giocata per tanto, forse troppo tempo sul loop de “ha cominciato lui però eh?”. Salvo poi rendersi conto del fatto che quando una cosa si guasta in via di preparazione forse non è mai un problema di ingredienti, ma di cuochi.

Due nel Terzo Polo erano troppi e lo erano perché in due erano chef stellati, roba egotica e ammalata di cesarismo ai fornelli. Perciò è andata male e il “canto del cigno” lo ha cantato Calenda. “I gruppi di Azione-Italia Viva si separeranno? Credo di sì, lo ha detto lui (Renzi, ndr). E’ dietro le nostre spalle, ormai siamo due partiti separati, facciamo scelte separate”.

E poi: “Io non ho più alcuna voglia di mettermi a discutere e a litigare con Italia Viva. Faranno la loro strada e poi alle elezioni europee si misureranno col consenso come faremo noi”. C’è ovviamente un problema di timing, cioè e detta papale: e quando andranno a divorzio effettivo i due?

Ariecco il mantra di chi ha cominciato. “Dipende da loro perché c’è un problema: loro sono stati eletti con un logo che aveva dentro il mio nome, quindi io non posso andarmene via da un gruppo che si chiama anche ‘Calenda’. Possono andarsene loro, lo facessero quando gli pare. Renzi ha ribattuto a muso duro poche ore fa e il loop è ricominciato.

Si è rotto pure il cigno.