Caro Frosinone, la passione vera non finisce mai… (di E. Ferazzoli)

Seguire il Frosinone su e giù per l'Italia: non per il risultato ma per la passione che scatena quella maglia. Ecco perché Empoli non è la fine. Perché la passione vera non finisce mai

Elisa Ferazzoli

Giornalista in fase di definizione

Posso affrontare tutto ma non l’idea che tu smetta di combattere per te e per me.

F: Perché continui a chiedermi di farlo? Non ti ho già deluso abbastanza? Non credi che oggi sia finita per davvero?

Può darsi. Ma credo anche, che nel deludere me, tu abbia deluso prima di tutto te stesso.

F: Ho sbagliato tutto nel giorno più importante. Avrei dovuto dare il massimo e invece non ho fatto che annaspare.

A chi non è successo almeno una volta nella vita?! È successo anche a me. So come ti senti, in bilico fra chiedersi il perché, prendersi a schiaffi da solo, mandare tutto al diavolo.

F: Anch’io so come ti senti. Avvilito, deluso, tradito nelle tue aspettative. Quando sono venuto sotto la curva a fine gara – siete venuti in 500 fino ad Empoli e solo per me – mi aspettavo di ricevere fischi e insulti. Li avrei meritati.

E invece ci siamo solo guardati negli occhi in silenzio. Nemmeno quei pochi battiti di mani sembravano far rumore.

F: Perché?

Perché forse per la prima volta da inizio campionato stavamo provando le stesse emozioni.

F: Ci credi ancora nella salvezza?

Vuoi sapere in cosa credo?

Credo che quando anche di domenica mi sveglio presto e ti seguo per tutta l’Italia mi sento felice; credo nell’ansia dell’attesa, nei sogni dei miei compagni di viaggio; credo nella bellezza di chiudere gli occhi e immaginare una partita mentre l’Italia corre veloce fuori dal finestrino; credo nelle risate, nei cori, nei pranzi mangiati in fretta nei piazzali dell’autogrill.

Credo che quando salgo le scale di uno stadio in giro per l’Italia, non importa se l’Olimpico o il Dino Manuzzi, e vedo la tua maglia, l’adrenalina sale, io mi sento nel posto giusto e so che non potrei essere altrove. A volte mi viene perfino da piangere e resto a fissare il seggiolino davanti a me nell’attesa che passi la delusione.

Credo ai viaggi di ritorno dopo una sconfitta come quella di ieri, ad una battuta che rompe il silenzio, agli sguardi complici, all’ultimo caffè della giornata. Credo che non c’è classifica o risultato che sia in grado di scalfire la mia voglia di organizzare la prossima trasferta a Firenze.

Credo che se questo campionato fosse una saga cinematografica si intitolerebbe “Salvezze mitologiche e come trovarle”, ci sarebbero leocorni, creature fantastiche ed un incantesimo ad aggiustare le cose.

F: Ma la magia non esiste, quindi …

Quindi smettila di avere paura e gioca come se la A fosse soltanto la prima lettera dell’alfabeto. Fai come me: emozionati per il viaggio e lascia stare il risultato. Scendi in campo e goditi i tuoi 90’, non pensare ai punti, alla classifica. Pensa al rammarico che avresti se decidessi di arrenderti. Mettici cuore e leggerezza. E soprattutto fidati di me “che la maggior pazzia che possa fare un uomo in questa vita è quella di lasciarsi morir così senza un motivo, senza che nessuno lo ammazzi, sfinito dai dispiaceri e dall’avvilimento.” Non te lo perdoneresti, lo so.

F: Come fai a saperlo? È un po’ folle quello che dici non trovi?

Perché siamo la stessa cosa e se non fosse folle non saremmo io e te.

F: Quindi mi aspetti a casa?

Io resto non me ne vado. Non ce ne sono milioni come te, sai? Per me come te ci sei solo tu.