Gli scontenti di Renzi guardano a Zingaretti (con Prodi federatore)

Gli scontenti nel Pd guardano a Nicola Zingaretti (con Prodi federatore di centrosinistra): se Renzi perde, l'alternativa è Nicola, Lazio sfida nazionale

Angela Mauro

Inviato speciale

HuffingtonPost Italia

 

«Quello di Romano Prodi non è un endorsement a Renzi. Il professore si è semplicemente voluto porre come federatore del centrosinistra anche per la fase che verrà dopo il voto del 4 marzo». Nel Pd il partito del 5 marzo è già al lavoro. Al di fuori della ridotta renziana del partito, i musi lunghi per ‘l’operazione liste‘ non vanno via. Da queste parti si esaltano i toni critici del prof bolognese nei confronti di Matteo Renzi. «Non c’è dubbio che la gestione delle candidature non sia andata bene», dice del resto lo stesso Prodi a Repubblica. E allora? Il partito del 5 marzo guarda alla sfida delle regionali nel Lazio. «Per noi è un test nazionale», dice una fonte di minoranza orlandiana, «se Renzi va male alle politiche, Nicola Zingaretti diventa l’alternativa per il Pd: in automatico».

Alternativa per il Pd o per un altro Partito di sinistra? La domanda inquadra la posta in gioco. Dipende da chi si prende il Pd. Fonti della minoranza Dem dicono chiaramente, seppure in anonimato (“perché dovremo comunque fare campagna elettorale“), che “se Renzi perde male, se ne deve andare dal Partito“. Insomma, il giorno dopo il voto, chiederebbero un congresso e Zingaretti sarebbe il loro candidato segretario. “Viene dalla sinistra del partito, mentre ai posti di comando vero nel Pd sono rimasti solo i democristiani. E ha dimostrato di saper guidare una coalizione larga“, dal Pd a Liberi e uguali, che invece non hanno voluto allearsi al renziano Giorgio Gori in Lombardia. “La scommessa è su di lui: Nicola“.

I sondaggi gli danno oltre il 40 per cento. Certo, è tutto da vedere nelle urne. Ma in questi giorni di febbre alta nel Pd, la minoranza ha intensificato i contatti con gli ex Dem confluiti in Liberi e Uguali: Massimo D’Alema e anche Pierluigi Bersani. Per la verità, con loro il filo non è mai stato reciso. Ma comunque adesso si mettono a fuoco i ragionamenti, le ipotesi, a seconda di come finirà il 4 marzo.

Si parte dal presupposto che dentro Liberi e uguali ci sono culture politiche troppo diverse tra loro: gli Mdp e Sinistra italiana. Insomma, l’avventura elettorale capitanata da Pietro Grasso viene data per ‘defunta’ già in partenza, dopo il voto non sopravvivrà nei termini in cui la si conosce oggi. Gli ex Dem fanno progetti futuri con gli anti-renziani rimasti nel Pd e non con Nicola Fratoianni e i suoi. L’idea è di tornare insieme in una creatura di sinistra lontano da Renzi: fuori dal Pd, se il leader fiorentino ci resta. Nel Pd, se Renzi decidesse invece di fondare un Partito suo alla Macron. E’ chiaro che la seconda ipotesi è quella che fa più gola ai non renziani del Pd.

Domani intanto il governatore del Lazio partecipa ad un’iniziativa di campagna elettorale a Roma con Paolo Gentiloni. Non con Renzi, con il quale i rapporti non sono mai stati idilliaci. Men che meno in questa fase. Sia nel gruppo del governatore che nelle minoranze Pd si sospetta che sia stato Renzi a spingere Beatrice Lorenzin a minacciare di candidarsi governatrice del Lazio in alternativa a Zingaretti per scalfire quel 40 e passa per cento di vittoria che i sondaggi assegnano al governatore. Alla fine, la ministra non si candida alle Regionali (corre a Modena per la Camera), ma ‘Civica popolare’ va comunque da sola nel Lazio, niente accordo con Zingaretti, il loro candidato presidente è l’ex deputato Dem Jean Leonard Touadi. (leggi qui Il dispetto di Beatrice: l’ex assessore Touadì candidato contro Zingaretti)

 

Naturalmente sono progetti da verificare sul campo dopo il voto. Ma segnalano bene il malessere ormai generale nel partito. Michele Emiliano lo dice chiaramente: “Io invito con forza a sostenere il Pd, perché il 5 marzo si apre una nuova fase della storia e si può riprendere il progetto originario che Veltroni aveva intuito. Dobbiamo evitare che questo grande soggetto che raccoglie esperienze importanti e diverse si degradi e salti per aria. Se tutti lo abbandonano, chi ricostruirà il centrosinistra?“. Ma non con Renzi segretario: “La deriva di Renzi è perdente, con lui si rischia un processo di disgregazione inarrestabile. Dobbiamo convincerlo a lasciare, perché il suo modo di fare il segretario non porta risultati“.

 

Questo è lo stato dell’arte. Si chiama ‘scommettere sulla debacle del Pd così renzizzato’. Perché per le minoranze diventa tutto più maledettamente complicato se il Partito Democratico si attesta sul 25 per cento, tanto quanto prese il Pd di Bersani nel 2013. Invece uno scenario di sconfitta – tradotto in numeri dal 23 per cento in giù – alimenta anche le speranze che altre aree di maggioranza si stacchino dal segretario: Franceschini, Martina.

 

Perché con le liste Renzi ha scontentato anche i suoi. Oggi su Facebook c’è il duro sfogo di Ermete Realacci, uno degli esclusi vicini a Gentiloni, deputato da sempre attivo sui temi ambientali, schierato sul sì al referendum ‘No triv’. “In questi anni la prospettiva della centralità della sfida ambientale si è molto rafforzata nel mondo”, scrive. E via con gli esempi dei leader mondiali che, ad “eccezione di Trump, si sono mossi su questa strada: da Obama a Macron, dalla Merkel a Trudeau a Xi Jinping“. Invece, scrive Realacci, “Matteo e chi gli è più vicino è convinto che questo tema non sia centrale e non sia pagante dal punto di vista elettorale. Nonostante i miei tentativi, pensa di coprirlo con qualche battuta e qualche allusione sparsa. Ma quel tempo è finito…“.

 

Fermenti e progetti che vanno incastrati con lo scenario di governo. “Se Berlusconi vince insieme alla Lega, se la loro percentuale si avvicina al 40 per cento, Renzi si deve dimettere…“, è un altro pezzo di ragionamento nelle minoranze. “Se non vince nessuno e Mattarella chiama ad un governo del presidente“, quello ipotizzato da D’Alema in una recente intervista al Corsera, “è chiaro che il premier non sarebbe Renzi“. Insomma i giochi andrebbero avanti comunque, dal 5 marzo in poi.